Paolo Guzzanti, Il Giornale 21/4/2013, 21 aprile 2013
STORICO RECORD DI RE GIORGIO: ORA PUÒ MANDARE TUTTI A CASA
È fatta e non poteva che andare così. Non è questione del senno del poi: in questi giorni ci siamo trovati (in pochi) nelle numerose trasmissioni televisive che seguivano l’elezione del nuovo presidente a ripetere fino alla noia che l’unica soluzione possibile era l’immediata rielezione di Giorgio Napolitano. Personalmente, ho sempre sostenuto che una tale scelta del Parlamento sarebbe dovuta avvenire, se necessario, persino contro la volontà di Napolitano stesso, lasciando a lui, una volta rieletto, la responsabilità di rifiutare. Per fortuna non è stato così perché il presidente ha generosamente accettato e si è rimesso alla responsabilità del Parlamento. Ed è implicito che il prolungamento di servizio non lo obbliga a restare prigioniero del Colle per altri sette anni. Resterà per il tempo necessario per salvare il Paese e rimettere la democrazia su binari a prova di deragliamento. Chi sosteneva questa soluzione ha sempre aggiunto che bisogna però subito passare ad una riforma costituzionale che sancisca il passaggio al presidenzialismo che Giorgio Napolitano ha inaugurato. La vera ragione del prolungamento della sua permanenza sul Colle sta proprio nel fatto che lui e soltanto lui può incarnare di fatto una Repubblica presidenziale che però attende di essere regolata da una riforma costituzionale. Nel linguaggio del tweet : Lei ha fatto la frittata negando le elezioni nel 2011, ora rimetta insieme i cocci e finisca il lavoro iniziato.
Già nell’ultima fase del governo Berlusconi il presidente del Consiglio era stato costretto ad accettare il nuovo ruolo di «primo ministro del presidente» il quale presidente stabiliva lui se e quali decreti legge autorizzare, mentre guidava da monarca la politica europea anticipando per telefono i viaggi del primo ministro. Poi con Monti la cosa è diventata istituzionale: lo schema del «governo del presidente » si sarebbe ripetuto e forse si ripeterà se ci sarà un nuovo governo «del presidente». Tutto ciò è servito a Napolitano per affrontare empiricamente una gravissima situazione, ma lungo un cammino che non è più reversibile.
Il fatto poi che la gente vada a manifestare in piazza pro o contro i candidati al Quirinale, è un’altra novità,perché fino a sette anni fa era un fatto accettato persino dal cosiddetto inconscio collettivo, che l’elezione del primo cittadino fosse un affare misterioso tutto interno al Palazzo, una procedura segreta come quella di un conclave i cui cardinali sono i Grandi Elettori. Questo schema è saltato perché la nuova moda esaltata dal grillismo edalla mistica del web spinge a simulare che l’intero popolo intervenga. E così abbiamo visto e sentito molti grandi elettori di sinistra, specialmente i più giovani che si esprimono con un nuovo insopportabile birignao , ammettere candidamente di non voler più prendere ordini dai segretari di partito, ma soltanto dai loro constituents i loro elettori «sul territorio» che gli stanno col fiato sul collo con i cellulari, gli sms, i tweet , le pagine Facebook , i filmati su YouTube e le email. Questa nuova antropologia elettronico politica ha sviluppato una tossicodipendenza nei confronti della rete e non risponde più all’analisi politica, ai necessari e nobili compromessi della politica, alle decisioni finali della politica. Abbiamo già visto il Pd in preda a queste metastasi incrociate con i giochi di potere e i blocchi contrapposti.
Non esiste altro modo, per bloccare questo fenomeno di «zombizzazione», che dare per davvero e non nella finzione del web la parola al popolo elettore affinché elegga un presidente che abbia una legittimazione di primo grado e non di secondo perché eletto dagli eletti e non dagli elettori. Un modo poco rispettoso di sintetizzare la questione per il presidente Napolitano potrebbe essere il classico: hai voluto la bicicletta, e adesso pedala. Il fatto è che la bicicletta di Napolitano è una buona bicicletta, di cui il Paese ha bisogno anche per definire i poteri reali del Quirinale e di Palazzo Chigi, ridurre apparti di partito, le spese della politica e riformare le Camere. Napolitano è stato trascinato dalle circostanze ad accroccare un semipresidenzialismo incompiuto e imperfetto e oggi ne paghiamo le conseguenze perché il vecchio sistema è saltato senza che il nuovo possa funzionare con regole chiare e scritte, cioè costituzionali.
Tutto ciò che accade in questi giorni ha come palcoscenico la devastante situazione del Partito democratico (che è anche il partito del presidente) diventato un partito «fiorentino» non soltanto perché c’è di mezzo il sindaco Renzi, ma proprio nel senso machiavellico dei coltelli e dei veleni, dei tradimenti e dei voltafaccia.
Ma l’origine della crisi sta nella scelta difficile e coraggiosa di Giorgio Napolitano quando nel novembre 2011 anziché restituire al popolo la facoltà di decidere, mise in pista il governo tecnico del presidente. Lì cominciò lo spappolamento del Pd. In quella circostanza si registrò la pavidità di Bersani che non volle saperne di affrontare elezioni anticipate che lo avrebbero forse costretto a governare avviando le riforme «lacrime e sangue» che il suo elettorato non gli avrebbe mai perdonato.Secondo un’altra versione Bersani era terrorizzato anche dall’idea che Berlusconi, con uno dei suoi tipici colpi di coda riemergesse e vincesse. Bersani frattanto si era imprigionato nella melassa dell’antiberlusconismo fondamentalista, fanatico, da fatwa , lasciando spazio alla ventata degli umori della cosiddetta democrazia del web, che si manifesta sempre per estremismi, infantilismi, posizioni demenziali e coatte. Così, quando si è trattato di avviare un processo di condivisione con il Pd di Berlusconi, Bersani è stato divorato vivo dalle formiche rosse della rete e dei piccoli dirigenti «sul territorio» che in quella rete vivono, dominati e impassibili.
Le mancate elezioni di allora e il deterioramento successivo al governo Monti hanno agito da moltiplicatore del fenomeno Cinque Stelle, che ha il vantaggio, rispetto ai partiti tradizionali, di avere una sperimentata confidenza del Web. Anche questa è stata una conseguenza, almeno in parte, della impervia, coraggiosa ma incompiuta nuova strada inaugurata da Napolitano. Gli italiani sono così diventati disorientati e furiosi, vedevano soltanto un teatrino indecifrabile mentre dovevano stringere la cinta e tremare per il futuro della loro vita e quella dei loro figli.
E quando Napolitano ha annunciato che stava riempiendo gli scatoloni per abbandonareil Quirinale alla vigilia del suo ottantottesimo compleanno, nessuno ha avuto il coraggio, e anche la sfacciataggine, di dirgli: presidente, ci spiace ma lei non può lasciarci in questo disastro perché soltanto lei ne conosce i meccanismi, le psicologie, le nevrosi, gli equilibri e i confini entro cui si può lavorare, perché lei li ha guidati finora. Certo, non poteva fare di più perché non disponeva del potere di sciogliere le Camere e se avesse avuto quel potere certamente Bersani non si sarebbe potuto intestardire per due mesi mandando al macero un punto di Pil e provocando un’emergenza democratica.
Ora questo scoglio è stato superato. Napolitano ha accettato di restare, vedendosi restituire il potere di sciogliere le Camere e di ricorrere alle elezioni anticipate. Ma ora ce l’ha e speriamo che scelga presto una formula che segni il ritorno alla democrazia e non un ulteriore scollamento. Le voci sul governo dei dieci saggi che si sentono in queste ore sono allarmanti. Se si vuole fare un governo con questo Parlamento, occorre che sia politico e parlamentare, basato su una reale maggioranza prefissata e affidabile. Un governo che dia subito risposte potenti e visibili alla sofferenza del Paese e che affronti le riforme istituzionali su cui ormai tutti si dicono d’accordo. Questo significa che il Pd deve smetterla con i suoi altezzosi capricci e governi insieme al Pdl. Se così non fosse, Napolitano usi immediatamente del potere riconquistato, sciolga le Camere e indica subito elezioni generali.