Paolo Festuccia, La Stampa 21/4/2013, 21 aprile 2013
BARCA SFIDA I DEMOCRATICI SU RODOTA’: "MA NON ATTACCO NAPOLITANO"
Né una presa di distanze da Napolitano né un «distacco» dal Partito democratico. Ma in pochi giorni, dal lancio del suo memorandum politico Fabrizio Barca ha visto impallinare in sequenza un ex presidente del Senato (Franco Marini) e il fondatore dell’Ulivo (Romano Prodi) candidati, seppur con tempi, metodi diversi e tensioni, al Quirinale. Non solo. All’appello al Nazareno, nelle prossime ore, per loro stessa ammissione, mancheranno pure il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, e la presidente, Rosi Bindi.
Così, nel vuoto politico e di potere il twitter di ieri a metà giornata di Fabrizio Barca, «incomprensibile che il Pd non appoggi Rodotà o non proponga Emma Bonino», è apparso ai più come un vero e proprio anatema. Una scomunica globale sia sul metodo che sulla strategia ai dirigenti del partito, alle loro scelte, alle alleanze «improvvisate» e a quella eventualmente «sacrificata» a causa del metodo sbagliato.
Insomma, a tutta quella élite che governa le forze politiche e a quei partiti «stato-centrici» che lo stesso Barca (nel suo memorandum lanciato la scorsa settimana) aveva messo all’«indice», e che di fatto sono gli attori principali di una «commedia» politica mal riuscita – sia sul dopo elezioni che sul voto per il Colle - e «alla base di quella filiera perversa che mina alla radice le istituzioni pubbliche».
Una diagnosi spietata, dunque, che Barca aveva sostanzialmente messo nero su bianco nella sua agenda politica, e che ieri ha condensato in pochissimi caratteri digitali ma che – si tienea puntualizzare – sono ben distanti «da un attacco al presidente Napolitano». Anzi, osserva, «il comportamento di Napolitano rappresenta un atto di straordinaria generosità, di fronte a ciò che i partiti gli chiedevano e che lui aveva chiesto di evitare». Nessuna vena polemica quindi. Certo è, però, che il tema resta e si intreccia, inevitabilmente, alle istituzioni e al ruolo che i partiti rivestono al loro interno.
Per questa ragione è inevitabile per chi come Fabrizio Barca, che poco più di una settimana fa si è iscritto al partito democratico e ha lanciato il suo «manifesto» per «un partito nuovo per un buon governo» richiamare l’attenzione proprio «suo ruolo del suo partito». Un partito, «quello democratico – osserva – che non doveva chiedere questo sacrificio al Presidente Napolitano». Ma, anzi, si lascia intendere avrebbe dovuto, almeno «avere la forza di saper proporre e imporre o saper scegliere». Da qui, l’idea di «sposare», eventualmente, una candidatura come quella di Stefano Rodotà, lanciata sì dal M5Stelle ma sostenuta e pure votata dal Sel di Vendola. Quel Sel che pare far parte, anche dei «disegni» politici di Barca; insomma, di quel «partito di sinistra» a cui pensa il ministro e intorno al quale si è detto disponibile a lavorare. Oggi, forse, più di prima. Al punto che molti, proprio ieri, hanno cominciato a chiedersi, non solo ironicamente, «a quale partito si fosse iscritto il ministro». «Al Pd – commenta – e la mia non è più né meno che una tra le moltissime voci che in questi giorni si sono levate nell’ambito del confronto all’interno del partito». E quindi a ben ragionare «sono iscritto al partito che unisce cultura liberale, cattolica e socialista».
Insomma, normale dialettica, confronto. Classificato da molti osservatori, però, come caos e scontro, «al punto – fa capire il ministro, rimasto silente in questi giorni per il rispetto al profilo istituzionale che riveste – che il Pd non è stato capace di giocarsi bene le carte a disposizione». Tre, soprattutto, «le tre soluzioni politiche che meglio incarnano le anime del partito. Quella di Romano Prodi ovvero quella cattolica-riformista, quella di Stefano Rodotà più socialdemocratica e infine quella di Emma Bonino ovvero l’anima liberale».
Tre figure popolari, adatte, competenti. Ecco, l’aver rinunciato a sposare una di queste opportunità scegliendo, invece, accordi traballanti avrebbe determinato la débacle totale del partito. Che che ha indotto il Pd, e altre forze a ricorrere ancora una volta al Presidente Napolitano. Senza peraltro attenersi agli auspici del Presidente, cioè quelli di evitare contrapposizioni, per evitare strappi e tensioni. Al punto sostiene il ministro che «l’odio, il risentimento che domina questi giorni si scioglie solo tornando ai principi che ci muovono». Principi che si rifanno alla Carta costituzionale e che dovrebbero animare la politica. Altro, allora che golpe come attacca Beppe Grillo. Perché il leader del M5Stelle «semplicemente straparla», sostiene Barca. Non è la prima volta né l’ultima. «Ma noi dobbiamo saper far politica».