Piergiorgio Odifreddi, la Repubblica 21/4/2013, 21 aprile 2013
LA TEORIA ANCHE “POLITICA” DELLA RELATIVITÀ DI EINSTEIN
Per una strana coincidenza, il 18 aprile sono iniziate le votazioni al Parlamento per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. E si è commemorato anche, o almeno l’ha fatto chi se n’è ricordato, l’anniversario della morte di Albert Einstein nel 1955, a settantasei anni. Le due cose parrebbero senza connessione, se non fosse che il grande scienziato era anche un personaggio politico, oltre che pubblico. Al momento della trionfale conferma di una delle sue previsioni, nel 1919, aveva dichiarato al Times: «Ecco l’applicazione della teoria della relatività ai gusti del pubblico: oggi vengo definito uno scienziato tedesco in Germania e un ebreo svizzero in Inghilterra. Ma se domani la mia teoria cadesse, diventerei un ebreo svizzero per i tedeschi e uno scienziato tedesco per gli inglesi». Sempre in quell’occasione, a una studentessa che si trovava con lui al momento dell’arrivo del telegramma con gli esiti dell’esperimento, e che gli domandò cosa avrebbe pensato se il responso fosse stato contrario, rispose: «Mi sarebbe dispiaciuto per il buon Dio, perché la teoria è corretta». Tanto in un Dio non credeva: o almeno, considerava “inconcepibile” un Dio che ricompensa e punisce, come quello della Bibbia. Nel 1948 protestò per la visita di Begin negli Stati Uniti, perché considerava il suo partito “ispirato al nazismo”. Ciò nonostante, nel 1952 gli fu offerto di diventare il secondo presidente israeliano. Anche perché era stato un simbolo di pacifismo per tutta la vita, e di opposizione al nazismo fin dall’avvento di Hitler. Naturalmente rifiutò, perché «non aveva le capacità necessarie». Da noi, a uno scienziato come Einstein, non l’avrebbero mai neppure chiesto.