Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Stamattina Madrid chiederà ufficialmente all’Europa un prestito per salvare le sue casse di risparmio (cajas) sull’orlo del fallimento. Ieri s’è tenuta in teleconferenza una riunione dei ministri delle Finanze e dell’Economia dei paesi che adottano l’euro (Eurogruppo) e dopo due ore di discussione è stato deciso che alla Spagna verranno concessi al massimo 100 miliardi. Le condizioni sono da stabilire, ma è evidente che Madrid dovrà prendere tutta una serie di impegni che garantiscano la restituzione dei soldi. Era in linea con i ministri europei anche Christine Lagarde, direttore del Fondo Monetario Internazionale.
• È una settimana almeno che si parla di queste difficoltà delle banche spagnole e del prestito europeo. Come mai ci stanno mettendo tanto tempo?
Perché chi presta i soldi vuole avere delle contropartite. E cioè: ristrutturazione delle banche finite nei guai per la cattiva gestione del passato e provvedimenti economici che introducano anche in Spagna una qualche austerità, «anche se la Spagna non è la Grecia», come ha assicurato il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker. Il debito spagnolo l’altro giorno è stato declassato da Fitch a livello BBB, cioè spazzatura. Sul mercato Madrid non trova soldi a meno del 7%. Se lo Stato si facesse prestare questi 80-100 miliardi, non potrebbe più emettere titoli se non a tassi impossibili e si renderebbe quindi del tutto dipendente dall’Europa. L’arrivo dei rappresentanti della Trojka (Ue-Bce-Fmi) farebbe però cadere il governo. Mariano Rajoy, attuale primo ministro, ha vinto le elezioni di novembre, mandando a casa Zapatero, sul presupposto che «avrebbe saputo come fare». Sono passati sette mesi e si intravede dietro l’angolo una soluzione greco-italiana: umiliazione del Paese, non più padrone in casa sua, e sostituzione di Rajoy con un governo tecnico sostenuto da tutti e gradito ai banchieri, come è accaduto da noi. Rajoy ha posto come condizione per chiedere il prestito che nessuno del Fondo Monetario si faccia vedere a Madrid e che i soldi vadano direttamente alle banche. • Come hanno risposto quelli della Trojka? Intanto la Spagna deve presentare una richiesta ufficiale di prestito, e con tutti i crismi. I soldi si prenderebbero da un fondo che si chiama Efsf, costituito in previsione di crisi come questa e che è dotato di 440 miliardi. L’Efsf non può però prestar denari alle banche. Bisognerebbe dunque che lo Stato spagnolo si indebitasse col fondo Efsf e poi usasse i denari per ricapitalizzare le cajas. In questo modo, però, precipiterebbe in una condizione greca. Il ministro delle Finanze olandese, de Jäger – peraltro un falco – ha proposto di dare gli 80-100 miliardi al Fondo de Reestructuración Ordenada Bancaria, che è un’entità statale e potrebbe girare i denari alle cajas senza compromettere Stato e governo. Quaranta miliardi almeno serviranno per le ricapitalizzazioni e ce ne vorranno altri quaranta per le ristrutturazioni. Gli uomini di Rajoy hanno incaricato due società di consulenza, Roland Berger e Oliver Wyman, di stabilire le somme di cui le banche hanno bisogno. Berger e Wyman risponderanno solo il 21, ma la Ue (e Obama) vuole che il problema sia risolto prima delle elezioni greche, in programma il 17 giugno.• Suppongo che non vogliano trovarsi di fronte a due problemi, invece che a uno solo. La Merkel che dice?
Linea dura: «Dobbiamo mostrare solidarietà, ma non senza contropartite».
• Moody’s sostiene che il problema bancario della Spagna è «in gran parte specifico del Paese» e che non ci sono pericoli di contagio «eccetto per l’Italia».
Relativamente asll’Italia è una bugia. L’esposizione verso le banche spagnole è la seguente (in miliardi di dollari): Germania 146,1; Francia 114,7; Gran Bretagna 83,1; Stati Uniti 45,8; Italia 27,7; Portogallo 23,1; Giappone 21,7; Svizzera 21,3 (fonte Banca dei Regolamenti Interrnazionali). Se saltassero le banche spagnole quelli maggiormente nei guai sarebbero proprio i tedeschi, che sono fortemente esposti anche verso il sistema greco. Il pericolo di contagio riguarda soprattutto i depositi bancari.
• Cioè la fuga dei capitali all’estero?
Sì. L’uscita dall’euro significa che i depositi bancari del Paese fallito vengono dalla sera alla mattina ricalcolati in dracme o peseta o lire (a seconda del Paese saltato per aria). Quindi, se uno vuole salvare il gruzzolo, gli conviene aprire un conto in Svizzera o più frequentemente in Germania e trasferire i suoi risparmi lì. In questo modo nessuno potrà trasformare gli euro in qualche altra cosa. In Grecia, ufficialmente sono stati portati all’estero il 25% dei depositi bancari. In realtà tutti dicono che si tratta di una percentuale molto maggiore. I numeri non si conoscono, ma gli esperti dicono che qualcosa del genere sta avvenendo anche in Spagna e in Italia.
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 10 giugno 2012]