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 2012  giugno 10 Domenica calendario

Stranamente gli alieni continuano a tacere - Per 35 anni Jill Tarter ha diretto la caccia agli extraterrestri

Stranamente gli alieni continuano a tacere - Per 35 anni Jill Tarter ha diretto la caccia agli extraterrestri. Ora va in pensione senza aver trovato nessuna traccia di alieni. In compenso ha ispirato il film Contact eTime l’ha inserita tra le 100 personalità più influenti del mondo. Il fisico Gerry Harp la sostituirà alla guida dell’Istituto Seti ( Search for Extra Terrestrial Intelligence ) di Mountain View, California. Mantiene invece il suo posto Paul Davies, lo scienziato che dovrà decidere che cosa fare se scoprissimo una civiltà aliena in quanto responsabile del Seti Post-Detection Taskgroup. Nato a Londra nel 1946, fisico teorico, divulgatore scientifico tra i più letti nel mondo, Davies crede all’esistenza di E.T.? Dipende – spiega – dal cappello che si mette in testa. Se indossa il cappello di scienziato, non ci crede: la vita intelligente è qualcosa di così improbabile che noi potremmo essere soli «nell’universo osservabile» (attenzione alle parole!). Con il cappello del filosofo, Davies «prova disagio» nel pensare che l’immensità dell’universo sia lì esclusivamente perché noi si possa occuparne un angolino insignificante. Se si mette il cappello di sognatore, vorrebbe un «universo in cui la vita intelligente è qualcosa di comune». Risposta finale: la ricerca di E.T. è eccitante per un motivo semplicissimo: «Non sappiamo». È così. Ma ogni giorno sappiamo qualcosa di più. Poche settimane fa il satellite della Nasa Kepler ha scoperto un sistema planetario quasi uguale al nostro. Nel 1995 non si conosceva ancora un solo pianeta oltre a quelli del sistema solare. Oggi sono un migliaio, si stima che saranno decine di migliaia nel 2020 e che in totale siano miliardi di miliardi. Almeno uno su mille è simile alla Terra. Per la vita, non è il «posto» che manca. E p p u r e, da quando nel 1960 Frank Drake per la prima volta usò un radiotelescopio nella ricerca di segnali intelligenti, non abbiamo trovato nient’altro che un grande silenzio. Gli ottimisti dicono: l’assenza di prove non è una prova di assenza; occorrono secoli di osservazioni per indagare un numero significativo di stelle. I pessimisti evocano la laconica domanda che Enrico Fermi pose nel 1950: «Dove sono?». Tradotto: se l’universo pullulasse di esseri intelligenti ne avremmo già incontrati chissà quanti. Invece... Nel suo ultimo libro, Uno strano silenzio (Codice Edizioni), Davies fa un discorso interessante: quello del Grande Filtro. Eccolo. Se è vero che la vita si sviluppa in modo spontaneo dove esistono condizioni adatte, perché mai la vita intelligente è così rara come il silenzio dell’universo suggerisce? Le spiegazioni possono essere due. Noi abbiamo una civiltà tecnologica che usa i segnali radio da appena un secolo, mentre la vita terrestre ha 3,5 miliardi di anni. O c’è un Grande Filtro nel passato che rende estremamente improbabile il sorgere della vita, e quindi siamo davvero unici «nell’universo osservabile». O c’è un Grande Filtro nel nostro immediato futuro: cioè le civiltà intelligenti hanno vita brevissima perché si autodistruggono, come accadrebbe a noi se per qualche sciagurato motivo scoppiasse una guerra nucleare globale. Dovremmo quindi augurarci che il GrandeFiltro sia alle nostre spalle, cioè che la vita sia una eccezione, cioè che E.T. non esista. Troppo semplice. E.T. potrebbe comunicare con mezzi ben più avanzati delle onde radio. Potrebbe non rivelarsi per prudenza o per rispetto, come noi nei parchi cerchiamo di proteggere i panda. Potrebbe essersi estinto come organismo biologico ma sopravvivere sotto forma di macchine intelligenti (Davies parla di ATS, Auto-Teleological Super System ). Potrebbe essere diversissimo dalle nostre immagini antropomorfe e quindi presente ma irriconoscibile, e così via. Una cosa è certa: quando pensiamo a E.T. siamo troppo provinciali. Romanzi e film di solito disegnano gli extraterrestri come esseri ostili. Ma una civiltà aliena sopravvivrebbe alla fase storica nella quale corre il rischio di autodistruggersi (quella che noi umani stiamo attraversando) solo sviluppando un alto senso morale. Gli alieni che sopravvivono, quindi, per questo solo fatto devono essere buoni. Incontrarli sarebbe per noi una grande occasione: la più grande scoperta della Storia. Ma ammettiamo che questo universo ospiti solo la nostra civiltà. Le cose sarebbero diverse se fosse vera l’ipotesi del multiverso, cioè se esistesse un numero virtualmente infinito di universi generati da fluttuazioni quantistiche, e per di più con doppia direzione del tempo: alcuni, come il nostro, che viaggiano verso il futuro, altri in cammino verso il passato. È il tema del saggio Dall’eternità a qui (Adelphi) di Sean Carroll, fisico del California Institute of Technology, che ha capovolto il titolo del mitico film interpretato da Deborah Kerr e Burt Lancaster (e proprio il titolo di questo saggio è stato preso a prestito da Gianluigi Ricuperati per la rassegna che dal 19 giugno parlerà a Torino di Arte e scienza). L’enigma di partenza è la freccia del tempo. Per noi il tempo va inesorabilmente dalle uova alle frittate, dalla vita alla morte. Ma nel microcosmo i fenomeni fisici sono simmetrici rispetto al tempo, e quindi reversibili: le frittate possono tornare ad essere uova. La radice della freccia del tempo sta nell’Inizio, il Big Bang. Le cose vanno diversamente se è vera la teoria del multiverso, nel quale le possibilità virtualmente infinite sono necessariamente tutte realizzate. Non sarebbe male. Alla lotteria del multiverso vinceremmo sempre perché in tasca avremmo tutti i biglietti.