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 2012  giugno 10 Domenica calendario

«INEVITABILE L’UNIONE FISCALE DELL’EUROZONA»

«Mentre gli altri fuggivano, noi siamo rimasti. Anzi, abbiamo aumentato la nostra esposizione nei confronti di controparti italiane nel terzo e quarto trimestre del 2011. Restiamo uno dei principali primary dealer a sostegno delle aste dei titoli di Stato italiani. Questo, in fondo, è uno dei vantaggi di essere grandi. Siamo uno dei più grandi player bancari al mondo, secondo i dati di fine marzo siamo esposti per circa 12,5 miliardi nei confronti dei Paesi cosiddetti Euro5 (Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia). Possiamo permetterci di restare in Europa. Assistiamo clienti italiani ed europei da decenni, per non dire da secoli, e in questo momento di crisi noi vogliamo esserci, qui in Italia e in Europa, al loro fianco. Un giorno vorremmo essere ricordati per questa scelta».
Nel dire questo, James E. Staley, chief executive officer dell’investment bank J.P. Morgan meglio conosciuto come "Jes", ha un’espressione seria, non cupa ma seria. Si trova a Firenze per incontrare clienti istituzionali italiani e europei, ed è consapevole della gravità della situazione. «Era difficile aspettarsi che la moneta unica europea potesse reggere strutturalmente in presenza di 17 regimi fiscali diversi - afferma in un’intervista esclusiva al Sole24Ore, la prima in Europa di un top manager di J.P. Morgan dopo l’annuncio della perdita da 2 miliardi di dollari in derivati e le dichiarazioni pubbliche di Jamie Dimon -. L’unificazione fiscale dell’Eurozona è inevitabile; è l’unica soluzione e rappresenta ora la vera sfida per la classe politica europea, quella stessa politica che si è impegnata per realizzare un’unione europea che ha garantito 60 anni di pace. Avrà il tempo di realizzare l’unione fiscale? Io credo di sì ma servirà molto tempo».
La politica ha un passo lento mentre i mercati corrono. L’Eurozona rischia il meltdown e molti investitori istituzionali americani hanno abbandonato e stanno abbandonando l’euro. E J.P. Morgan?
J.P. Morgan resta. Sono convinto che l’Europa troverà il meccanismo per uscire dalla crisi, ma dovrà comprare il tempo necessario per arrivare alla soluzione. Quel che serve è un sistema fiscale federale, simile a quello degli Stati Uniti, dove per esempio, per ogni 4 dollari di tasse pagate, 3 dollari vanno allo Stato federale, 1 dollaro allo Stato di residenza. Ricordiamoci che quando l’euro è nato, il rischio "Eurozona" era percepito dai mercati come un unico rischio. Adesso l’euro rappresenta 17 rischi diversi. Si dovrà tornare a un solo rischio in tutta l’area dell’euro
Qual è il rischio più grande e più immediato che sta correndo l’euro?
La fuga dei risparmiatori dai depositi bancari.
E come si può neutralizzare questo rischio?
Il progetto di un’unione bancaria europea è buono ma è identico a quello dell’union bond: dei titoli di Stato europei si parla da tanto tempo ma senza fare progressi...L’Italia sfortunatamente sta pagando le conseguenze di questa incertezza e soffre il contagio proveniente ora dalla Grecia, ora dalla Spagna. Quello che stanno facendo i due "Marios" (Mario Monti e Mario Draghi alla Bce ndr.) tuttavia è molto importante. Il Governo italiano sta portando avanti cambiamenti strutturali forti e questo rafforza il nostro rapporto già molto stretto con il vostro Paese. La gamma dei servizi che offriamo alla clientela corporate italiana ed europea resta ampia: nell’investment banking ci occupiamo di M&A, collocamenti in Borsa e aumenti di capitale, emissioni di bond, e siamo controparte di transazioni in strumenti derivati, prevalentemente swap sui tassi e sui cambi, utilizzati al 98% dalla nostra clientela istituzionale.
Ma i recenti 2 miliardi di dollari di perdite sono stati provocati da posizioni in Cds, dai credit default swaps, che sono strumenti particolari e noti per essere illiquidi. Se è vero che avete venduto Cds, è come se aveste venduto opzioni, esponendovi a rischi enormi...
Noi operiamo in derivati prevalentemente perchè offriamo questo servizio alla nostra clientela istituzionale. Siamo controparti in transazioni in derivati di banche, imprese e grandi investitori istituzionali (come i grandi asset managers istituzionali, per esempio).
Il valore nominale dei derivati è a quota 650.000 miliardi di dollari, 9 volte il Pil mondiale e 14 volte la capitalizzazione delle borse mondiali. E questa, che alcuni considerano una bolla, spaventa. Si teme che le prime cinque banche americane, tra le quali J.P. Morgan, rappresentino oltre il 90% del mercato dei derivati. Non c’è un rischio sistemico? Non va diviso il trading effettuato con i soldi dei depositanti e dei contribuenti con il proprietary trading?
Per prima cosa va precisato che il valore dei derivati non andrebbe calcolato come importo aggregato ma dopo il "netting" delle posizioni. Non va fatta la somma di tutte le transazioni: questo non avviene in Borsa, per esempio, dove non si addiziona il valore di chi vende al valore di chi acquista. Gli ammontari reali, netti, dei derivati sono molto più contenuti di quelli da lei citati. Inoltre non c’è un rischio sistemico solo per il fatto che le banche sono grandi e hanno portafogli e posizioni grandi. Al contrario, la globalizzazione e l’innovazione tecnologica renderanno sempre più importante l’economia di scala, e questa si realizza solo con dimensioni grandi e globali. Serve, questo sì, un contesto operativo adatto ai players globali: regole globali, istituzioni di vigilanza globali, borse globali e servizi di custodia globali. Le divisioni non servono perchè non aiutano le economie di scala.
Ma avete pur perso 2 miliardi di dollari per colpa dei derivati. Cosa fare per evitare che questo si ripeta?
La banca non è certo a rischio. La perdita di 2 miliardi a cui lei si riferisce non tiene conto dei guadagni e degli offset (altre posizioni finanziarie aperte, ndr). Al momento dell’annuncio, infatti, abbiamo dichiarato che la perdita netta era di circa 800 milioni di dollari. Abbiamo 140 miliardi di capitale; solo nel 2011 abbiamo pubblicato profitti record per 19 miliardi di dollari. La perdita sui derivati non ha fatto perdere denaro nè alla nostra clientela nè ai contribuenti, ma solo agli azionisti: tra i quali i dipendenti della banca. Stiamo indagando sull’accaduto; siamo già intervenuti e interverremo ancora, se necessario, con la massima trasparenza, per assicurare la solidità della banca. E le persone responsabili dell’accaduto subiranno le conseguenze delle loro azioni. Siamo emersi dalla crisi del 2008 più forti di prima. Ma questo non significa che non abbiamo commesso errori in passato e che non ne commetteremo in futuro. Questa ammissione è suonata come uno shock alle orecchie di qualcuno. Ma noi riteniamo che la cosa importante sia dimostrare di saper gestire con efficacia e trasparenza gli errori, evitando di ripeterli in futuro.