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 2012  giugno 10 Domenica calendario

IL NUOVO CHE AVANZA E IL CASO LIGRESTI

Capita che il piano Unipol per salvare il gruppo assicurativo Fonsai e azzerare i Ligresti sia avversato in nome di un altro, quello Sator-Palladio, che ai Ligresti tende la mano. La preferenza non parte da un giudizio positivo sui beneficiari, anzi. Si fonda sul fatto che Unipol è sostenuta da Mediobanca e Unicredit, colpevoli di aver finanziato per anni Salvatore Ligresti. Eppure, se le responsabilità aziendali permangono, la loro formazione nel tempo dovrebbe pur interessare il nuovo che avanza, talvolta senza memoria.
Fu la Mediobanca di Enrico Cuccia a convincere il sistema bancario a garantire l’aumento di capitale con cui la Premafin entrò in Borsa nel 1989 e si salvò. Del resto, le banche erano pubbliche e Ligresti costituiva il pegno preteso da Bettino Craxi per autorizzare la privatizzazione di Mediobanca. La ligrestiana Sai ha sostenuto, fra gli altri, Carlo De Benedetti in Olivetti e Tronchetti Provera in Pirelli.
Travolto da Tangentopoli, l’ingegnere di Paternò venne salvato una seconda volta da Mediobanca. Ma Vincenzo Maranghi non gli sfilò la Sai. Si limitò a far comprare i palazzi dell’indebitato Ligresti all’Immobiliare Lombarda, costituita dalle banche creditrici, non più pubbliche. Il delfino di Cuccia aveva un debito politico. Ma gli altri banchieri? Nel 2001, Maranghi tolse Fondiaria da Montedison ormai preda della Fiat, delle banche e dei francesi. L’affidò alla Sai. La Fondiaria aveva tante azioni Mediobanca. Maranghi temeva che queste, unite a quelle di Fiat, Unicredit e Capitalia, avrebbero potuto ribaltargli la casa. Speculando su Fondiaria, la Fiat avrebbe commesso l’errore di fare altri debiti. L’operazione fu fatta senza Opa. Venne censurata a ragione dall’Antitrust, non dalla Consob, ormai orfana di Gianni Manghetti. Maranghi cercò di imporre una gestione manageriale e corretta. Ma i Ligresti liquidarono Enrico Bondi e scelsero accomodanti famigli. Fonsai venne chiamata da Cesare Geronzi nel sindacato azionario di Capitalia. Che finanziò Ligresti, seguita da Unicredit, epoca Profumo e seguenti.
Ora, se si considerano i banchieri attuali corresponsabili delle scelte fatte dai loro predecessori in nome della continuità delle aziende (e ci sta), come fanno i giornalisti senza macchia e senza paura a dimenticare che i loro stessi giornali hanno esaltato lo scandaloso collocamento di Premafin come un capolavoro di Cuccia, quando Ligresti aveva una lira di patrimonio e 12 di debito, e di aver decantato la liquidità di «don Salvatore» fino all’altro ieri?
La verità è che Ligresti è sempre stato Ligresti. E i suoi interlocutori — tanti e diversi — si giustificano con l’interesse aziendale, novella ragion di stato del capitalismo trionfante. Possono i giornali misurare tutti questi interessi? Dovrebbero. In qualche caso lo fanno. Ma è imbarazzante. E non tanto per le moral suasion che arrivano dalle opposte sponde quanto perché, alzando lo sguardo, si dovranno pur pesare i modelli reali di Mediobanca, Unicredit, Intesa e... Goldman Sachs, laddove agli italici peccati corrispondono i sacrilegi di quel mondo anglosassone dal quale abbiamo tratto i metri di misura.
Massimo Mucchetti