PAOLO FESTUCCIA, MATTIA FELTRI, La Stampa 10/6/2012, 10 giugno 2012
Lorenza Lei avvisata all’ultimo momento “Rischi del mestiere” - In viale Mazzini quasi nessuno immaginava il blitz
Lorenza Lei avvisata all’ultimo momento “Rischi del mestiere” - In viale Mazzini quasi nessuno immaginava il blitz. Pochissimi, anche nei partiti, conoscevano le intenzioni di Mario Monti. Poi, giovedì mattina, trentasei ore prima dell’annuncio, Luigi Gubitosi (futuro direttore generale) ha ricevuto la telefonata del capo del governo. E’ chiaro, però, che nelle "segrete" stanze dei partiti, qualcuno aveva saputo. Conosceva le intenzioni, e pure le dinamiche. Magari non condivideva la strategia: sia nel merito che nel metodo, ma certamente, ad alti livelli, sapevano. E capivano, pure, che per evitare lo stallo era necessario uno strappo. Uno strappo forte, sia sul fronte delle indicazioni dei nomi che nel metodo della scelta. Al punto, «che se fosse stato Silvio Berlusconi - argomenta il capo dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri - ad annunciare le nomine della Rai così sarebbe scoppiata la guerra civile». E, probabilmente, anche a parti inverse - sarebbe accaduto se il Pd avesse scelto di annunciare in conferenza stampa il nome del futuro direttore generale. Una assoluta «sorpresa» che, ovviamente, non era tale per il Capo dello Stato e pochi altri «selezionatissimi» uomini delle istituzioni, e ancor meno per il top management della Rai. A cominciare dal Direttore generale, Lorenza Lei che poco prima dell’annuncio in conferenza stampa ha ricevuto la telefonata del premier. Ormai, un «dettaglio» a quel punto. Ma l’indicazione per certi versi la stessa fornita ai leader di partito - a tutti era chiara: occorre discontinuità per risolvere l’ingorgo di viale Mazzini. E Lorenza Lei, raccontachi l’ha incontrata subito dopo, pare non aver fatto una piega. «Il carattere germanico non ha subito scalfiture», assicura una sua fidata collaboratrice. Certo, «certe decisioni pesano», ma del resto, «lei conosce bene i rischi del mestiere». Tant’è, che quando Alfano parla dei risultati ottenuti dalla Lei, «le si dovrebbe almeno riconoscere di aver preso un’azienda con un passivo di oltre 100 milioni di euro e di averla risanata... ma è chiaro che ci sarà tempo e modo per parlarne». Ma la «parola d’ordine», dicono al settimo piano di viale Mazzini «dove essere discontinuità». Dal passato? Certo. La Lei ai suoi ha detto che «sino all’ultimo momento lavorerò per il meglio dell’azienda, così come ha fatto in questo unico anno di sua gestione. Azzerando il debito, lasciando un bilancio risanato, con i conti in ordine. Ma lasciando soprattutto un’azienda leader nello share annuale e vittoriosa anche in questo ultimo periodo di garanzia contro la concorrenza. Con Raicinema vincitrice di ogni premio e alloro nel mondo cinematografico». Chi verrà, insomma, troverà una «Rai diversa da come è stata troppe volte maldestramente, e forse strumentalmente descritta». Insomma, chi «vivrà vedrà, chi arriverà dopo di me valuterà». Così come potrà fare il futuro consiglio di amministrazione che si andrà ad insediare. Come e quando, naturalmente, è ancora tutto da stabilire. Così come è da delineare cosa sarà la Tv pubblica nell’era montiana. Una Tv pubblica, che in parte esce modificata nella governance (secondo le indicazioni fornite dal premier sui cambiamenti allo statuto), ma che nella sostanza resta ancora organizzata sui criteri fondamentali della legge Gasparri. Sarà per questo, forse, che Beppe Giulietti di Art.21 parla di «commissariamento mascherato». Di certo, Mario Monti spiega che la «Rai è un grande patrimonio» pensa pure alla centralità del servizio pubblico. E non a caso da Fabio Fazio nel gennaio scorso aveva annunciato che «servono passi avanti per la Rai». Venerdì scorso, dunque, ha avviato l’opera. Un’opera che nasce da lontano. Con l’analisidei profili tecnici di alcuni selezionati giovani uomini di prodotto come Andrea Scrosati di Sky. Ma alla fine, il governo ha scelto profili completamente diversi. Spiazzando anche le più classiche logiche di investitura per la Rai: pochi boatos e pochissime mediazioni. Ora, però, all’appello mancano sette consiglieri. E non sarà semplice. Come sempre. PAOLO FESTUCCIA *** Allineati e copertissimi aspettando gli “alieni” - Percorriamo i corridoi di Saxa Rubra, megasede Rai a Roma Nord, come quelli dell’Overlook, l’hotel maledetto di Shining . Soltanto i nostri passi sulla moquette color ratatouille, lungo rettilinei interminabili. E’ un sabato indolente d’inizio estate. Imboscarsi è niente. «Ti porto in un bar poco frequentato... Scusa, eh, ma capirai». E volete che non si capisca? Questo è un mondo a parte. E ogni volta che cambiano presidenti o direttori generali, arrivano in truppa i giornalisti della carta stampata a raccontare con gusto maramaldo lo smarrimento dei colleghi, cui l’orizzonte di riferimento politico si scompagina per ricomporsi chissà come. «Certo, il regno della lottizzazione. Ed è una lottizzazione a cui molti si aggrappano. E quando c’è cambio di presidenza e di direzione tutti si guardano in giro per capire che cosa succederà, e a quale carro attaccarsi. E’ lottizzazione e lotta per la sopravvivenza». Già, se non fai così qua dentro muori. Altro amico, altri corridoi, altro occultamento. «Qualche volta mi chiedo se davvero siamo antropologicamente diversi. Como l’homovidens di Giovanni Sartori. Soltanto che lui parlava dei telespettatori, ma i veri homovidens siamo noi, da questa parte della telecamera. C’è gente che ha perso il posto in diretta tv, e gira con lo sguardo dello zombie. Ora negli occhi degli zombie c’è la scintilla della speranza, e l’ombra della paura in chi li ha sostituiti». Alberto Maccari, successore di Augusto Minzolini alla direzione del Tg1, sarebbe di quelli braccati, sempre che si senta braccato un giornalista di lunga carriera e già pensionabile. «Sarà, ma è da giovedì che non lo vediamo», dicono i suoi. Il pertugio è il posto della confidenza: «Stiamo ancora aspettando il suo piano editoriale...». In cambio dell’anonimato, si hanno le quotazioni dei direttori, Marcello Masi del Tg2 anche lui barcollante, Bianca Berlinguer del Tg3 salda come le colonne del cielo. Ma poi non è tutto così. Paolo Corsini, vicedirettore del GiornaleRadio, presidente dell’associazione Lettera 22 e membro di opposizione dell’Usigrai, il nome e il cognome li vuole senz’altro: «Perché ritengo di avere ancora diritto di parola, no?». Fantastico, il taccuino è tutto per lui: «Allora, i politici mettono i politici, i banchieri mettono i banchieri. Fin qui, tutto ovvio. Se i banchieri faranno bene o male, lo vedremo. Abbiamo capito che vengono per tagliare e speriamo che taglino i tanti rami secchi. Poi naturalmente qui sono tutti spaesati perché atterrano gli alieni. Ma gli alieni sopprimono oppure portano civiltà, dipende da qual è il film di fantascienza. E vale la pena di guardarlo». Ecco, i rami secchi. Ci sarebbe da stare qui due giorni perché ognuno ha il suo ramo da raccontare (e sono racconti volutamente divertiti e paradossali). Uno, c’è ancora il Televideo, con un direttore, quattro vicedirettori e più capiredattori che utenti. Due, il Tg1 ha centosessanta giornalisti di cui quaranta che sgobbano, sessanta che si girano i pollici e sessanta che non si sa che faccia abbiano. Tre, il Tg2 e il Tg3 hanno circa centoventi giornalisti per testata e anche lì lavora seriamente forse un terzo. Quattro, la Rai ha un clamoroso patrimonio immobiliare di 2,5 miliardi di euro, con sedi spettacolari in ogni centro città, a partire da quella di corso Sempione a Milano fino a Palazzo Labia a Venezia. «Tutta roba da vendere e andarsene in periferia. Solo la sede di corso Sempione credo valga cinque o seicento milioni di euro», dicono al Tg2. In compenso nelle stanze ci sono videoregistratori grandi come monolocali, televisori a tubo catodico epoca Non è la Rai , «e quando a Roma c’è stata la gran nevicata, ho fatto un servizio per il tg col mio iPad personale», dice il suo compare . Insomma, alla lunga non c’è soltanto sconcerto, ma pure speranza. Gennaro Sangiuliano, vicedirettore del Tg1, sostiene di avere i titoli di studio e professionali (per la Treccani ha redatto la voce “Economia della comunicazione”) per non temere i tecnici: «Ben vengano, se sapranno trasformare un’azienda televisiva in un’Internet company, capace di produrre contenuti per multipiattaforma». Un altro che non si fa problemi è quel totem della tv che è Giovanni Minoli: «Le intenzioni di Monti sono di risanare l’azienda e, se contribuirà a eliminare le eterne incrostazioni della Rai, e magari a recuperare i soldi dell’evasione del canone per rilanciare un servizio pubblico che metta al centro il cittadino e non il consumatore, bè, sarà un miracolo del cielo». Proprio un miracolo, ci vorrebbe. Per ora ci si accontenta di un piccolo prodigio, uno che arriva da dietro, un colpo sulla spalla, sorride simpaticamente demoniaco: «Sai che devi scrivere? Che si tratta di stare buoni un annetto, forse meno. Poi tornerà la politica, e ricominceremo a scannarci secondo stili tradizionali». MATTIA FELTRI