VALENTINA ARCOVIO, La Stampa 10/6/2012, 10 giugno 2012
L’Italia sta ruotando, durerà anni - È da quasi un mese che sentiamo tremare il nostro paese sotto i piedi
L’Italia sta ruotando, durerà anni - È da quasi un mese che sentiamo tremare il nostro paese sotto i piedi. Non che così tante scosse di terremoto siano un’anomalia senza precedenti. È solo che dal 20 maggio scorso, l’intensità di queste vibrazioni viene percepita distintamente dalla popolazione che vive sulla Pianura Padana. L’ultima scossa forte risale a ieri, quando un terremoto di magnitudo 4.5 ha colpito le Prealpi Venete. Nel frattempo una serie di vibrazioni lievi, le cosiddette scosse di assestamento, continuano a turbare l’Emilia Romagna e ad alimentare gli incubi di una popolazione già provata. Per gli scienziati non c’è un collegamento diretto fra tutti questi terremoti, ma il motore di queste scosse sembra comunque lo stesso. «I terremoti in Emilia e nelle Prealpi Venete non sono in stretta relazione fra loro, anche se rispondono alla stessa dinamica generale» osserva la sismologa Lucia Margheriti, dalla sala sismica dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). La dinamica generale riguarda il movimento della placca Adriatica, che costituisce la punta più settentrionale della placca Africana, allungata come una sorta di lingua che comprende la costa orientale dell’Italia e l’Adriatico. In questo movimento generale la placca Africana spinge verso Nord, contro la placca Eurasiatica, e in questo movimento la placca Adriatica scende sotto le Alpi. «È l’Italia che si riorganizza, o meglio sono i pezzi di crosta terrestre sotto i nostri piedi che ora cercano di trovare un nuovo equilibrio, seppur temporaneo» sottolinea Giovanni Gregori, geofisico del Consiglio Nazionale delle Ricerche. In questo senso i terremoti, anche quelli che in quest’ultimo mese hanno colpito altre parti d’Italia, dal Sannio al Pollino ad esempio, sono il segnale di un processo geologico ben più profondo. «L’Italia - dice Gregori - sta ruotando in senso antiorario. La parte meridionale della crosta terrestre spinge verso la parte settentrionale e, trovando resistenza nei pressi dello Stretto di Messina che fa da perno, ruota e si conficca sotto le Alpi». Questo movimento generale può provocare terremoti che fra loro sono indipendenti ma che rispondono agli stessi processi geologici. Come d’ora in poi la situazione si evolverà, impossibile dirlo se non sul piano delle probabilità. Secondo la relazione della Commissione Grandi Rischi «è significativa la probabilità che si attivi il segmento compreso tra Finale Emilia e Ferrara con eventi paragonabili ai maggiori eventi registrati nella sequenza». Non solo. «Non si può escludere l’eventualità - si legge nel documento - che, pur con minore probabilità, l’attività sismica si estenda in aree limitrofe a quella già attivata sino ad ora». Non è la previsione di un nuovo terremoto. «Abbiamo solo espresso le nostre valutazioni scientifiche scaturite dall’analisi dei fenomeni in corso e delle strutture geologiche coinvolte, su cui abbiamo accumulato molte informazioni», precisa Luciano Maiani, presidente della Commissione Grandi Rischi. «Purtroppo i margini di errore di questi probabili scenari sono elevati perché la crosta terrestre è ben lontana dai nostri occhi», dice Warner Marzocchi, dirigente dell’Ingv. L’unico modo per prospettare un possibile scenario futuro è ricorrere ai documenti storici, alle testimonianze dei terremoti passati. Questo significa per l’Emilia Romagna andare di molti secoli indietro nel tempo. «Abbiamo a disposizione modelli - sottolinea Marzocchi - che al momento ci dicono soltanto che il terremoto potrebbe durare anche qualche anno». L’intensità delle scosse dovrebbe tendere a diminuire ma, considerata la struttura complessa dell’Emilia Romagna, non possiamo escludere sismi di magnitudo pari o superiore a 6. La parte orientale della struttura sismica padana, quella sotto i piedi di Ferrara, fino ad oggi è stata relativamente tranquilla. Il timore degli scienziati è che, così come hanno fatto quella centrale e occidentale, arrivi a un punto di rottura provocando un terremoto di intensità simile a quello del 20 o del 29 maggio scorso. «L’ultima parola, quindi, spetta alla Natura che, nel caso dei terremoti, parla un linguaggio incomprensibile per noi esseri umani», conclude Marzocchi.