Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ieri Bossi, saputo che il governo ha incaricato il consiglio d’amministrazione dell’Alitalia di trattare la vendita della compagnia ai francesi di Air France, ha annunciato grandi battaglie per gennaio, con occupazioni di strade eccetera. Ma Bossi e i leghisti stanno all’opposizione e non sono loro che possono far cadere il governo Prodi. Invece chi sembra seriamente intenzionato a buttare giù il premier è Lamberto Dini, la cui forza consiste in appena tre senatori.
• Questo Dini non fa troppo il gradasso? Che cosa vuole alla fine?
Si dice: se cade Prodi e non si va alle elezioni, chi può guidare il nuovo esecutivo? Un’ipotesi è che venga reincaricato lo stesso Prodi. Un’altra ipotesi è che si faccia il cosiddetto governo istituzionale con Marini oppure con Draghi. Una terza ipotesi ipotizza un governo per la riforma elettorale, e poco altro. Il capo di questo governo non dovrà essere sgradito né alla destra né alla sinistra. I nomi sono solo due: Amato o, appunto, Dini. Lasciamo perdere per il momento Amato, che sta copertissimo e ancora ieri ha detto che, in caso di caduta di Prodi, bisogna andare a votare. Vediamo invece questo Dini, che va di continuo all’attacco e, nella sua ultima dichiarazione, ha promesso per gennaio un programma “prendere o lasciare”, col quale si propone addirittura di «fermare il declino dell’Italia».
• Ma chi è?
Beh, a suo modo è un grand’uomo. Fiorentino, figlio di fruttivendoli, fino a 16 anni non ha nessuna voglia di studiare, gioca a pallone come mediano sinistro, fa l’attore dilettante, guarda intensamente le donne (ha avuto due mogli e la seconda è la famosa Donatella Pasquali Zincone, ex modella e condannata adesso per bancarotta fraudolenta). Poi il cervello gli gira a un tratto nel modo giusto, si mette a studiare, si laurea, va a perfezionarsi in Michigan e in Minnesota (nessun politico oggi parla inglese come lui), entra al Fondo Monetario Internazionale, dove lo costringono a tagliarsi il barbone, e fa una gran carriera fino a esser promosso direttore esecutivo. Nel 1979 entra in Banca d’Italia e anche qui procede come un fulmine e diventa direttore generale. Uomo di grande intelligenza, che ha il gusto di ricordare sempre, e con gratitudine, l’umile origine dei suoi genitori. Però, durante quegli anni, frequenta Craxi, frequenta Andreotti, stringe legami con i politici e questo in Banca d’Italia non piace. Quando Ciampi lascia l’istituto e bisogna scegliere il successore, i saggi di via Nazionale lo ignorano e chiamano Antonio Fazio. una ferita grave, perché di solito, a quell’epoca, era proprio il direttore generale a diventare governatore. In ogni caso, viene ricompensato proprio da Berlusconi che, nel suo primo governo, lo fa ministro del Tesoro. Poi però D’Alema e Scalfaro, che ne conoscono indole e ambizioni, lo adoperano per il governo tecnico che serve a evitare le elezioni anticipate e a tenere Berlusconi fuori da Palazzo Chigi. Dini, partito da destra, s’è abilmente spostato a sinistra. Fa la legge sulle pensioni, poi fonda un partitino suo che si chiama Rinnovamento italiano, e infine confluisce nella Margherita. Ma senza mai smettere di far capire a tutti che lui sta a sinistra sì, ma per modo di dire. Ogni suo atto, ogni sua dichiarazione – le rare volte che parla – lanciano il seguente messaggi «Sono un uomo libero. Stavo di là, adesso sono di qua, ma potrei benissimo tornare di là».
• Che è quello che sta facendo adesso, no? Farà cadere Prodi e si metterà con Berlusconi.
Non è mica detto. Ossia, non è detto che la cosa sia così netta. Lui sa che la sua fortuna sta nel collocarsi al confine: stare da una parte, ma non troppo. Dini è interessante anche perché alla fresca età di 77 anni (li compirà il 1° marzo) si muove come un trentenne. Testa fresca, ambizioni, progetti per il futuro, tanta energia.
• Avrà però un programma, no? Che cosa si propone, in concreto?
Dini passa per il paladino del rigore, cioè si presenta come l’uomo che vuol combattere gli sprechi di denaro pubblico. Quindi i suoi sei punti contro il declino riguarderanno sicuramente tagli da fare e tasse da abbassare.
• Non potrebbe essere un buon programma?
Al momento della norma che voleva tagliare a 275 mila euro gli stipendi dei manager pubblici, s’è messo di traverso. E ha fatto poi in modo che Banca d’Italia, Consob e altre authority venissero esentate dal tetto. Dini sa benissimo che esistono gli intoccabili e che sindacati, sinistra radicale, lobby varie non faranno fare neanche a lui quello che non hanno fatto fare agli altri. Quello che dice gli serve a puntare l’obiettivo. Ma quello che accadrebbe una volta raggiunto l’obiettivo, non lo sa lui e non lo sa forse neanche il Padreterno.[Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 29/12/2007]
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