Francesco Verderami, Corriere della Sera 29/12/2007, 29 dicembre 2007
Dimettendosi dalla Consulta, Vaccarella ha alimentato sospetti per la sua clamorosa decisione, ma ha infranto anche quel tabù secondo cui la Corte è immune alle pressioni politiche
Dimettendosi dalla Consulta, Vaccarella ha alimentato sospetti per la sua clamorosa decisione, ma ha infranto anche quel tabù secondo cui la Corte è immune alle pressioni politiche.D’altronde, un insigne giurista come Zagrebelski ha spiegato che in altri Paesi democratici le Corti costituzionali non sono estranee alle logiche di sistema. Ed è sposando questa tesi che il leghista Calderoli apre uno squarcio nel velo dietro cui si cela la battaglia sui referendum elettorali, ricostruendo «senza tema di essere smentito » quali sono gli schieramenti in campo: «Rispetto al passato – secondo il vice presidente Senato – la Consulta oggi non esprime un blocco solido, ma è divisa tra chi appoggia il governo e auspica le elezioni nel 2011, e chi - sempre in area di centrosinistra – rappresenta un’altra linea e vede invece con favore il voto nel 2009. I primi sono contrari all’ammissibilità dei quesiti, i secondi favorevoli. E siccome sotto il profilo giuridico ci sono diverse scuole di pensiero, è chiaro che la sentenza sarà squisitamente politica. Perciò la decisione non è scontata. E chi dice che non vengono esercitate pressioni sulla Consulta, sa di dire il falso. So per certo che in questi giorni il fronte degli anti-referendari sta facendo sentire la propria voce». Calderoli non vuol fare nomi, e le sue rivelazioni potrebbero sembrare interessate, se non fosse che da leghista auspica il fallimento dei referendum. Solo che è diventato «intollerante» dinnanzi a questo «balletto dell’ipocrisia»: «Anche perché le pressioni non arrivano solo da una parte». Ed è singolare (ma nemmeno troppo) come la tesi coincida con quella di Mastella, altrettanto ostile al referendum. Giorni fa il Guardasigilli si è sfogato con i suoi: «Si parla solo di chi è contrario alla consultazione. Ma di chi la sostiene niente. Comunque, non facciamo troppo affidamento sulla sentenza. I favorevoli hanno due voti di vantaggio». Se Mastella non dà nulla per scontato, è perché sa che la storia della Consulta è piena di ribaltoni, come testimonia la sentenza sul referendum che prevedeva la smilitarizzazione della Guardia di Finanza: la Corte, favorevole al quesito, mutò giudizio nel cuore della notte, perché sottoposta a pressioni «istituzionali», come si fece sfuggire l’ex presidente Baldassare. Il punto però oggi è un altro: se la politica arriva a tenere minuziosamente il conto di favorevoli e contrari, salta la tesi di chi smentisce l’assedio ai giudici costituzionali. E c’è un motivo. Spiega il democratico Carra: «Come nel ’91 il referendum sulla preferenza unica provocò il cambio di regime più delle inchieste di Mani pulite, così gli attuali quesiti sconvolgerebbero il sistema, non foss’altro perché sarebbero uno sparo nel buio». Carra, con il suo passato democristiano, ricorda il referendum del ’91 non a caso. Come non a caso lo rammenta l’ex segretario dc, De Mita. Ogni volta che si parla di pressioni sulla Consulta, torna con la mente a quei giorni: «Alla vigilia del pronunciamento della Corte – ha confidato ad alcuni amici – venni invitato a pranzo da Cossiga, al Quirinale. Lui mi disse che non avrebbe mosso un dito sui giudici, poi – giunti al caffè – li chiamò tutti». Di tre quesiti elettorali ne passò uno solo, ma tanto bastò. E fu l’inizio della fine per la Prima Repubblica. Ma sarebbe un errore ritenere che le pressioni sulla Corte siano state esercitate solo allora, almeno a sentire Carra: «Volete non ci siano state anche ai tempi dei referendum sul divorzio e da ultimo sulla fecondazione assistita?». Il fatto è che la sentenza sui quesiti elettorali influirà sull’esito dello scontro politico, «perciò bisogna tenere i riflettori accesi», commenta l’ex radicale Capezzone, secondo il quale «è in atto l’operazione per boicottare i referendum. Ed è chiaro per chi Prodi faccia il tifo: senza la consultazione, potrebbe sperare in una boccata d’ossigeno per il suo governo». Tale è l’importanza del verdetto che il premier avrebbe pronta la contromossa. Se la sentenza della Consulta, prevista per il 16 gennaio, dovesse dar ragione ai referendari, starebbe meditando di indire la consultazione per l’ultima domenica di aprile. Sarebbe un modo per giocare d’anticipo con avversari esterni e interni, togliendo spazio e tempo al dialogo tra Veltroni e Berlusconi, cogliendo di sorpresa quanti lavorano a far saltare l’esecutivo. Se la Corte è al crocevia di molti destini politici, è possibile che resti estranea alla sfida? Anche perché, come ebbe modo di spiegare De Mita con una metafora, «in paradiso ci sono nove gradi di beatitudine. Ma per arrivar lassù non bastano i meriti. Serve l’intercessione dei santi». Francesco Verderami