Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2007  dicembre 29 Sabato calendario

Dal primo gennaio diventerà legge la Finanziaria 2008, approvata il 21 dicembre, che prevede, tra l’altro, l’introduzione anche in Italia della class action, ovvero l’istituto dell’azione collettiva risarcitoria a tutela degli interessi dei consumatori

Dal primo gennaio diventerà legge la Finanziaria 2008, approvata il 21 dicembre, che prevede, tra l’altro, l’introduzione anche in Italia della class action, ovvero l’istituto dell’azione collettiva risarcitoria a tutela degli interessi dei consumatori. E il 21 dicembre è già stato dichiarato «giornata del consumatore e dei diritti». La class action all’italiana prevede che le cause possano essere collettive e il giudice, una volta deciso se l’impresa va condannata, fisserà anche le modalità per stabilire gli importi dovuti e la procedura per attribuire il rimborso ad ogni cittadino. Dalla causa collettiva si passa quindi a stabilire rimborsi individuali: questo passaggio sarà gestito da una Camera di Conciliazione. La parcella degli avvocati sarà pagata dalla società condannata, anche se solo parzialmente. Chi rappresentano le associazioni dei consumatori? «Gran parte degli associati dichiarati sono falsi», dicono gli stessi presidenti. Paolo Martinello, leader di Altroconsumo: «Il sistema che accredita le associazioni è in apparenza rigoroso, in realtà si tratta di un colabrodo pazzesco». Carlo Rienzi, Codacons: «Gli iscritti alle associazioni dei consumatori non muoiono mai: le adesioni degli anni passati si rinnovano d’ufficio». Secondo alcuni esponenti storici del movimento consumerista gli iscritti di alcune associazioni dei consumatori sarebbero un decimo di quelli dichiarati. Certo, non per tutti è così. Le organizzazioni rigorose esistono. Ma distinguere è difficile. Vacche grasse In virtù del numero di iscritti dichiarati le associazioni entrano nel Cncu (Consiglio nazionale consumatori e utenti, presso il ministero dello Sviluppo) e accedono ai fondi pubblici. Soldi distribuiti sia a livello nazionale (alle associazioni con almeno 31 mila iscritti) che regionale (i criteri di accreditamento variano da regione a regione, in Lombardia, per esempio, servono almeno 2.000 iscritti). Dal 2003 le associazioni dei consumatori hanno cominciato a mettersi in tasca parte delle multe incassate dall’Antitrust. In cinque anni le casse del movimento consumerista hanno ottenuto 47.700.000 euro. Un mare di soldi per associazioni che chiudevano l’anno con bilanci limitati a qualche centinaio di migliaia di euro. Oggi nove associazioni su dieci vivono di fondi pubblici. Spesso i finanziamenti di Stato e regioni costituiscono l’80-85 per cento del bilancio. «In queste condizioni è difficile contestare le scelte di governo o Regioni – fa notare Paolo Martinello ”. Così si rischia di diventare la foglia di fico delle pubbliche amministrazioni». Bilanci fantasma A discolpa delle associazioni va segnalato il fatto che i controlli sugli iscritti dichiarati sono stati finora approssimativi. E’ vero che i soldi servivano a finanziare progetti. Ma la meritocrazia è scarsa: le associazioni finiscono per portare a casa tutte la stessa cifra. Non aiuta anche la poca trasparenza del settore. Ministero e Cncu non forniscono i bilanci delle associazioni. Povero 2008 L’aria, però, sta cambiando. Per il 2008 le associazioni potrebbero restare a bocca asciutta. Ci sarebbero 6 milioni di euro ma, per una serie di questioni burocratiche, rischiano di non essere messi a disposizione in tempo. «Li terremo in vita all’interno del decreto milleproroghe », assicura il sottosegretario al ministero dello Sviluppo, Sergio D’Antoni. Ormai anche per il governo la questione della rappresentanza dei consumatori è all’ordine del giorno: «La legge è del ’98, va aperta una riflessione che porti alla sua revisione, con il contributo delle stesse associazioni», continua D’Antoni. Inoltre il ministero dello Sviluppo sta pensando ad altri modi di utilizzare i fondi. «Se, oltre ai sei milioni di euro di cui si è parlato finora, potessimo contare anche su altri 36 milioni di multe incassate dall’Antitrust, potremmo pensare a progetti ambiziosi per aiutare i possessori di mutui prima casa e le vittime dell’usura», rilancia D’Antoni. Imprese & veleni Un altro capitolo delicato è quello del rapporto associazioni-imprese. «Troppi prendono soldi tramite sponsorizzazioni, e questo non è giusto», lamenta Gavino Sanna, ex segretario generale del Movimento Consumatori e ora fondatore dell’Associazione consumatori Italia. Il grado di litigiosità tra associazioni è altissimo. Il Codacons, in particolare, in passato, ha vinto una causa contro Altroconsumo (inadeguatezza della struttura dell’associazione rispetto ai criteri di rappresentanza) e così Altroconsumo è dovuta uscire dal Cncu. Adesso è toccato a Cittadinanza attiva, che ha perso una causa intentata dal Codacons in cui si contestavano i contributi ricevuti dalle imprese (ora si attende il Consiglio di Stato). Certo è che il Codacons sforna cause a raffica. Contro tutto e tutti. E anche questo può essere un modo per finanziarsi. «Soprattutto se in cambio del ritiro della denuncia si incassano ricche transazioni», fanno notare le associazioni concorrenti. «Siamo i più rigorosi, per questo tutti ci temono», ribatte Carlo Rienzi. Tutti in politica Molte associazioni si fanno forti dei rapporti con il sindacato. Federconsumatori legata alla Cgil, Adiconsum alla Cisl, Adoc alla Uil. E poi c’è il Movimento consumatori vicino all’Arci, la Lega consumatori alle Acli. Il mondo del consumerismo ha spesso giocato la carta della politica. Dalla Federconsumatori all’Acu, passando per Movimento consumatori, Codacons, Adusbef. «Alcuni hanno sfruttato il movimento consumerista per cercare di avere più visibilità e fare il salto in Parlamento», dice chi pensa male. Certo è che per tutti il successo è stato scarso. Da una costola del Codacons è nata la Lista consumatori che ha contribuito in Calabria all’elezione del senatore Fuda. Proprio quel Pietro Fuda che Silvio Berlusconi avrebbe cercato di sfilare al centrosinistra anche grazie a favori sentimental-televisivi (la raccomandazione di un’attrice ad Agostino Saccà). Voti investiti male? «Mah, la garanzia che si trattava di una persona per bene ce la davano Prodi e Loiero – commenta oggi Carlo Rienzi del Codacons ”. Con Fuda abbiamo chiuso appena eletto, adesso non so nemmeno più che faccia abbia». Il Codacons rivendica la sua disinvoltura politica: «Alle regionali ci siamo candidati in alcune regioni con il centrodestra, in altre con il centrosinistra. Dipende da chi ci promette di più». Anche il leader dell’Adusbef, Elio Lanutti, ha cambiato bandiera, pur restando nel centrosinistra: si è candidato sia con i Verdi che con l’Italia dei Valori: «Grazie alla politica ho ottenuto vantaggi per i consumatori. Perché mi dovrei pentire?». Rita Querzé CORRIERE DELLA SERA 29/12/2007 ROBERTO BAGNOLI ROMA – In attesa che anche in Italia si affermi un personaggio del calibro di Ralph Nader, il leggendario «Robin Hood» del mercato americano che trascini e nobiliti tutto il variegato mondo dei consumatori, le associazioni stanno aspettando la partenza della class action come punto di svolta. La posta in gioco è enorme. «Dovete partire subito con il piede giusto, una vittoria darà al cittadino la speranza che le cose possono cambiare» ha consigliato lo stesso Nader durante un suo recente passaggio a Roma invitato dall’Unione nazionale dei consumatori. E proprio per seguire i consigli del guru, le principali associazioni dei consumatori stanno affilando le frecce per non sbagliare bersaglio. «Speriamo che le società di telecomunicazioni, le banche e le assicurazioni entro luglio diventino più virtuose – avverte Massimiliano Dona, segretario generale dell’Unione nazionale dei consumatori, circa 50 mila associati e un centinaio di sedi in tutta Italia – se il loro comportamento continuerà ad essere lesivo anche in futuro entreranno nel nostro mirino». La sfera di applicazione della causa collettiva è destinata ad abbracciare molti settori. Come quello dei trasporti. Le Ferrovie, per esempio, settimana scorsa hanno deciso di rimborsare per 800 euro a testa i 450 poveri passeggeri rimasti bloccati dentro un Eurostar per oltre 12 ore. Da luglio in poi, quell’incidente sarà una tipica rivendicazione da «azione collettiva» e pensare di chiudere la vicenda con 800 euro (per di più in biglietti gratis) non sarà più possibile. E’ solo un piccolo esempio per dare l’idea dello tsunami che si prepara ad arrivare sulle imprese che fino ad oggi si sono mosse con troppa disinvoltura. A dire la verità, le prime mosse della giurisprudenza si sono già avute dal 1998 con l’introduzione delle «azioni inibitorie » per eliminare le clausole vessatorie nei contratti e nei prodotti pericolosi o con la tutela degli azionisti di minoranza. Paolo Martinello, avvocato e presidente di Altroconsumo, ricorda la battaglia contro la Lancia Dedra i cui fumi della marmitta finivano nell’abitacolo. «Riuscimmo a farne ritirare oltre 200 mila dal mercato ma fu una battaglia durissima». Così come a giorni Altroconsumo sta aspettando la sentenza della Cassazione – dopo aver vinto gli altri due gradi di giudizio – su una vecchia azione inibitoria contro le banche sui costi dei conti correnti e delle cassette di sicurezza. Anche in Italia c’è naturalmente il rischio che la class action diventi la gallina dalle uova d’oro per gli studi legali che possono esercitare il diritto del patto di quota lite, cioè la percentuale sul risarcimento stabilito dal giudice. La legge, modificata per intervento di Confindustria e anche del garante della Concorrenza, prevede un «filtro» giuridico per vagliare se sussistono le condizioni della causa e se il gruppo dei consumatori ha capacità di rappresentanza. In teoria, dunque, i ricorrenti in giudizio dovrebbero pagare la quota associativa più le spese legali e tenere tutto il malloppo nel caso di vittoria. Ma le associazioni dei consumatori, a loro volta, possono delegare la causa a uno studio legale esterno che pretende la percentuale. Un terreno scivoloso e molto delicato. Lo riconosce l’avvocato Dona che per la sua Unione ha deciso di «non appaltare le cause all’esterno perché è facile perderne il controllo». Insieme alla reputazione del movimentismo associativo, per larga parte fatto di volontariato ma che nasconde anche reti di avvocati pronti a incassare profumatissime parcelle. Internet avrà un ruolo determinante. Viaggerà infatti sul web l’indignazione del consumatore colpito e l’associazione più veloce e brava sarà quella in grado intercettarla prima e di trasformarla in una causa miliardaria. «Dobbiamo muoverci con grande senso di responsabilità – precisa Massimiliano Dona – perché se la legge funziona aumenterà il grado di civiltà di questo Paese dove, finora, al di sotto di 300 euro di danno il cittadino è abituato a subire e a lasciar perdere». Ma con i tempi lunghi della giustizia italiana forse è meglio agire anche su altri fronti. E ricordare che Ralph Nader il successo non lo ha raggiunto con una causa ma con un libro-inchiesta – «L’auto che uccide» – per dimostrare che la Chevrolet Corvair della General Motors non era sicura. Roberto Bagnoli