Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2007  dicembre 29 Sabato calendario

La storia si fa business. Sembrerebbe un binomio improbabile. Quando uno studia da storico può sognare un carrierone universitario ma di certo non si illude di firmare, quando sarà grande, chissà quali ricchi contratti di consulenza con le imprese

La storia si fa business. Sembrerebbe un binomio improbabile. Quando uno studia da storico può sognare un carrierone universitario ma di certo non si illude di firmare, quando sarà grande, chissà quali ricchi contratti di consulenza con le imprese. E invece c’è una grossa compagnia americana, la History Factory, con una squadra di 45 fra laureati in Storia e in Archivistica (e anche qualche giornalista, per scrivere bene i testi...) che ha fatto della ricerca storica per le società multinazionali un’attività da decine di milioni di dollari all’anno - dal quartier generale in Virginia rifiutano di fornire cifre esatte - in vertiginosa crescita del 40% in 12 mesi. Fra i clienti: le «sorelle» del petrolio Bp, Shell, Standard Oil e Texaco, i giganti del software Microsoft e Accenture, la rete tv Cnn, i Lloyd’s di Londra, i giornali Playboy, Time e Chicago Tribune, gli alberghi Marriott e le lamette Gillette, le carte di credito Diners e i telefoni Mci, le auto Daimler e Subaru e i farmaci Bayer e Pfizer, i servizi di Deloitte & Touche, Goldman Sachs, Moody’s e Saatchi e poi (citando alla rinfusa) Boeing, Fortune 500, Kimberley Clark, Bausch & Lomb, Brooks Brothers e pure Pizza Hut. Dunque le imprese ingaggiano storici. Ma per ricavarne quali «prodotti»? E a che scopo? Innanzitutto le aziende tengono all’immagine, e per soddisfare questa loro esigenza la History Factory sforna a pagamento libri, brochure, filmati e siti Internet di storia aziendale, e organizza eventi in occasione di anniversari; ma sa anche creare e avviare i musei delle imprese (un business importante soprattutto nei Paesi anglosassoni) e poi risistema e gestisce su richiesta i labirinti degli archivi (attività non facile, soprattutto se si tratta di imprese con una storia secolare) e vi fa pure ricerche ad hoc per ogni tipo di necessità, anche di ordine molto pratico: per esempio in vista di cause legali per le quali bisogna trovare pezze giustificative, oppure in caso di crisi aziendali che richiedono una ricostruzione documentata per verificare le responsabilità personali o scovare gli errori da correggere (perché la storia è maestra di vita...) o ancora in caso di contenziosi amministrativi con autorità locali o statali. La rilettura del passato può pure essere critica, tutt’altro che celebrativa. La History Factory oltre al centro di comando in Virginia ha sedi a Washington, New York, Boston, Chicago, Atlanta, Nashville, San Francisco e San Diego. Il fondatore e top manager della società, Bruce Weindruch, dice «i clienti sono esigentissimi» perché si tratta di uomini d’affari con qualcosa di più che un pizzico di pregiudizi sul conto degli storici e degli archivisti, quindi «bisogna dimostrare che anche uno studioso può avere una mentalità orientata al cliente e al business». E in Italia, che cosa succede in Italia? La compagnia il cui lavoro più si avvicina alla History Factory è la Story and Glory di Torino e Ivrea, che redige su richiesta monografie e brochure storiche, oltre a organizzare eventi per anniversari. Altre ditte compiono l’una o l’altra parte del processo storico ricostruttivo complessivo: per esempio c’è chi risistema gli archivi o chi vi compie ricerche di documenti legali ad hoc. Invece si è organizzata in proprio la Reale Mutua che ha appena inaugurato a Torino il suo museo storico: il lavoro è stato affidato al responsabile degli archivi Roberto Dinucci, coadiuvato da ricercatori esterni che hanno riordinato l’archivio contabile mentre Dinucci ha esplorato 300 faldoni di documenti con i registri dei cda e altre carte ancora, le più antiche risalenti al 1827. L’opera, proseguita anche dopo l’apertura del museo, verrà completata entro il 2008 per un costo totale di qualche decina di migliaia di euro. Le aziende di tutta Italia che desiderano organizzare un loro museo storico possono chiedere la consulenza di Museimpresa di Milano, associazione specializzata di Confindustria e di Assolombarda che facilita anche lo scambio di informazioni e di oggetti fra i soci in vista di mostre o di esposizioni permanenti; sempre a Milano, e sotto lo stesso ombrello confindustriale, c’è il Centro cultura d’impresa, che si occupa della conservazione degli archivi e interviene pure per impedire la dispersione di quelli di società fallite e che rischiano di lasciarsi dietro il nulla, cancellando la Storia. Questo non deve succedere. Stampa Articolo