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 2007  dicembre 29 Sabato calendario

WASHINGTON – «

inevitabile che l’assassinio di Benazir Bhutto influisca sulle nostre primarie. Il caos e l’instabilità nell’unico Paese islamico dotato dell’atomica rafforzano la tesi che il futuro presidente degli Stati Uniti debba essere esperto di sicurezza e di politica estera. Ma fino a quando e quanto vi influisca è difficile da prevedere, molto dipenderà dagli sviluppi in Pakistan». Per ora, aggiunge Benjamin Barber, l’autore di «Guerra santa contro McMondo », «si può solo dire che tra i democratici il dramma pakistano aiuta Hillary Clinton e il quasi sconosciuto John Richardson, mentre danneggia Barack Obama. E tra i repubblicani favorisce il senatore John McCain e l’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani, mettendo in ombra Mitt Romney e il sorprendente Mike Huckabee». Barber, il fondatore di un movimento civico liberal, docente di scienze politiche all’Università del Maryland, esclude tuttavia che «il terrorismo e il radicalismo islamico condizionino il voto del 2008 come condizionarono quello del 2004». A suo parere, la maggioranza degli elettori «cerca alternative alla strategia del pugno di ferro di Bush, che è stata un fiasco».
I democratici. Lei pensa che Hillary, che era in difficoltà, sia stata rilanciata e che Obama sia rimasto spiazzato?
«In una certa misura, sì. In questa campagna elettorale, Hillary sta giocando la carta dell’esperienza. Ex first lady, senatrice, ha viaggiato in tutto il mondo e ne conosce i leader. Si è identificata con la Bhutto – due donne pioniere – e ha indicato come stabilizzare il Pakistan. Obama sta invece sta giocando la carta del cambiamento, e si vede che è inesperto: a caldo, ha saputo solo dire che la crisi pakistana è un prodotto della guerra dell’Iraq, che ci ha depistato dalla caccia a Bin Laden e ai talebani ».
I repubblicani. E’ più avvantaggiato McCain o Giuliani? «Secondo me McCain, ex eroe della guerra del Vietnam – fu tenuto cinque anni prigioniero ad Hanoi – un anziano senatore, addentro ai problemi del Pentagono e del Dipartimento di stato, un falco della sicurezza. Politicamente, Giuliani è per così dire il figlio dell’11 settembre 2001, il simbolo del coraggio di New York, una garanzia di sicurezza a sua volta. Ma a differenza di McCain, Giuliani non si è mai cimentato nell’arena mondiale ».
Nello Iowa il 3 gennaio e nel New Hampshire l’8 vincerebbero Hillary e McCain?
«Non sono pronto a scommetterci perché si tratta di due stati dove la politica estera – non la sicurezza – è in secondo piano. Tra i repubblicani, in particolare, nello Iowa non sottovaluterei Huckabee, un fautore dei valori; e nel New Hampshire, non sottovaluterei Romney che governò il vicino Massachusetts».
Lei crede che la Casa bianca andrà ai democratici anche se in Asia centrale e in Medio oriente scoppieranno altre crisi?
«Io credo che l’America abbia capito che lo hard power, la potenza militare, non basta a sconfiggere il terrorismo e il radicalismo, lo si vede adesso in Afghanistan, e che ci vuole anche il soft power, la diplomazia, l’assistenza economica, il dialogo e così via».
Ennio Caretto