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 2007  dicembre 29 Sabato calendario

PADOVA – E’

un piccolo paradiso, tra storie, leggende, fiori insoliti e profumi. Nemmeno la stagione grigia e fredda, le foglie a terra e i rami nudi verso il cielo riescono a togliere il fascino che avvolge l’Hortus Botanicus Patavinus, il più antico del mondo. I primi semi prendevano dimora nel 1545 quando il Senato della Repubblica Veneta per migliorare la salute dei suoi cittadini ne decretava la nascita. Si volevano coltivare piante medicinali utili a fabbricare i «semplici», cioè i farmaci ricavati dalla natura. Per questo gli orti botanici sono chiamati anche Horti Simplicium, giardini dei semplici. E qui, per sottolineare quasi una certa sacralità, sopravvivono accanto a gemme e radici, l’anima dello svedese Carlo Linneo, settecentesco classificatore dei vegetali, e la lingua latina, come l’Index Seminum, appena pubblicato, certifica.
Insomma, varcare l’ingresso dell’Hortus significa entrare in uno scrigno di 6 mila piante, motivo per il quale dieci anni fa, nel dicembre 1997, l’Unesco lo inseriva nella lista del patrimonio mondiale.
Ma dalle prossime settimane tra i disegni geometrici della aiuole assieme ai botanici si muoveranno tecnici ed operai perché il giardino si rinnova per rimanere quel punto di riferimento internazionale che oggi è. I suoi confini saranno estesi, quasi raddoppiando la superficie e nel nuovo territorio sorgerà un lungo palazzo di cristallo alto più di quindici metri. «Al suo interno – spiega Mariella Elsa Cappelletti, prefetto dell’Orto e docente di botanica farmaceutica all’Università di Padova – si creeranno cinque aree distinte riproducenti tutti gli ambienti del pianeta, dall’Equatore alle aree sub-artiche, mostrando le diversità vegetali esistenti e i rapporti con l’uomo. Ma non solo: cercheremo pure di coltivare piante in condizioni estreme come quelle esistenti nelle navicelle spaziali oppure nella futura colonia lunare ».
La struttura dell’avveniristica grande serra trasparente è frutto di un concorso europeo bandito dall’Università patavina e vinto da uno studio di architettura di Marostica (VS Associati) alla guida di un gruppo di altri tre studi (due italiani, Sintingegneria e Simoncello Associati, e il britannico Stanton Williams). «La nuova struttura – aggiunge Mariella Cappelletti – oltre a consentire indagini sulla biodiversità accrescerà le opportunità di ricerca sulla preservazione delle specie per le quali è già attiva nell’Orto una banca del germoplasma che ora sarà ampliata».
Per la creazione dell’orto botanico «satellite» sarà anche necessario «asportare il terreno superficiale esistente sostituendolo con uno nuovo – nota Vittore D’Ambra, professore di patologia vegetale e delegato del Rettore per i beni ambientali biologici – tenendo poi conto dei nemici presenti nell’ambiente, come certi tipi di funghi capaci di aggredire le piante mettendone a rischio l’esistenza».
Chi infatti visita oggi il giardino vede spuntare dal suolo qualche tubicino trasparente. «E’ il canale attraverso il quale effettuiamo dei controlli endoscopici delle radici – prosegue D’Ambra ”. Così abbiamo salvato dopo una grave malattia, uno dei nostri gioielli, la Magnolia grandiflora,
piantata nel nel 1786 e ritenuta la più antica d’Europa».
Altri preziosi monumenti vegetali si incontrano tra i vialetti, dal Ginkgo biloba del 1750 al Platanus orientalis del 1680 con un impressionante tronco aperto, al Cedrus deodara,
primo esemplare del genere introdotto in Italia nel 1828. L’elenco delle oltre sessanta piante importate in Italia dall’Hortus Patavinus comprende fiori noti come il Giacinto o la Robinia, ma anche popolarissime piante alimentari come la patata o l’olivo fragrante. Ma la curiosità che più attira l’attenzione è protetta da una vetrata: è la «palma di Goethe», l’albero reso celebre dal poeta naturalista tedesco che venne a visitarla nel settembre 1786. La palma
(Chamaerops humilis) risale al 1585 ed è la pianta più antica, ispirando a Goethe la singolare teoria sulla metamorfosi.
«L’Orto è stato uno dei primi laboratori della nostra università – commenta il Rettore Vincenzo Milanesi ”. Era un dovere pensare al suo futuro per mantenere la sua valenza scientifica e culturale e il suo ruolo a livello internazionale ».
Giovanni Caprara