Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2007  dicembre 29 Sabato calendario

Ha riscosso un grandissimo successo in Egitto una fiction prodotta da una televisione satellitare saudita dedicata alla figura di re Faruk

Ha riscosso un grandissimo successo in Egitto una fiction prodotta da una televisione satellitare saudita dedicata alla figura di re Faruk. Dopo tanti anni si è riabilitata la figura di un sovrano morto in Italia e a lungo descritto come un personaggio ambiguo, poco affidabile e dedito a leggerezze di ogni genere. Ma chi fu realmente quel pittoresco re deposto dal colonnello Neguib nel 1952, fuggito dal suo Paese con un panfilo pieno di lingotti d’oro? Sergio Carrara sergiocarrara@yahoo.it Caro Carrara, S ui lingotti d’oro che Faruk avrebbe portato con sé quando dovette abbandonare l’Egitto, non posso dirle nulla. Gli storici dovrebbero avere per santo patrono l’apostolo Tommaso ed essere increduli fino all’accertamento dei fatti. vero tuttavia che Faruk, negli anni dell’esilio, ebbe fama di personaggio sfaccendato, opulento, cinico, grande frequentatore di casinò dove giocava e perdeva sino alle luci dell’alba. La pingue corporatura e la vita da epicureo facevano la gioia dei rotocalchi ed ebbero l’effetto di oscurare il suo ruolo nella politica egiziana dal 1936, quando succedette al padre Fuad, sino al colpo di Stato del 1952 che lo costrinse all’abdicazione. A giudicare dalla lettura dei giornali che si occupavano di lui negli anni Cinquanta e Sessanta, Faruk meritava di passare alla storia soltanto per una frase memorabile. «Fra poco – avrebbe detto una sera giocando a carte – vi saranno nel mondo soltanto quattro re: di cuori, quadri, picche e fiori». Quando salì al trono e divenne il decimo sovrano di una dinastia che risaliva a Mohammed Ali, il sedicenne Faruk trovò una ingrovigliata situazione politica. Erano cominciati i negoziati per la fine del protettorato britannico, ma il governo di Londra andava per le lunghe e dava la sensazione di voler conservare il controllo del Paese. Vi era un partito nazionale, il Wafd, che si batteva per l’indipendenza e spronava il sovrano ad assumere atteggiamenti più energici. Ma esistevano anche la Fratellanza musulmana, costituita nel 1928, e altri gruppi islamici che attaccavano da posizioni religiose la dinastia laica e filo-occidentale dei discendenti di Mohammed Ali. Benché giovane e inesperto (non aveva completato i suoi studi presso l’Accademia militare di Woolwich, in Inghilterra), Faruk riuscì a concludere i negoziati e a firmare un accordo che avrebbe permesso all’Egitto di riconquistare l’indipendenza nel giro di vent’anni. E poco dopo, nel 1937, poté dare un colpo al regime delle capitolazioni ottenendo pieni diritti di giurisdizione e tassazione su tutti i residenti stranieri. Lo scoppio della guerra nel 1939 ebbe due conseguenze. Ritardò il disimpegno britannico dall’Egitto e creò nel Paese un nuovo nazionalismo, deciso a puntare, per meglio raggiungere i suoi scopi, sulla vittoria dell’Asse. Faruk aveva amici nella comunità italiana e fece del suo meglio per proteggerla dalle angherie inglesi durante la guerra, ma non era filo-tedesco. Cercò tuttavia di tenere testa alle ingerenze britanniche. La crisi scoppiò nel 1942 mentre le forze italo-tedesche avanzavano verso Alessandria e il grido «viva Rommel» cominciava a risuonare nelle strade del Cairo. L’ambasciatore di Gran Bretagna ingiunse al re, con un ultimatum, di nominare un nuovo governo. E quando Faruk cercò di prendere tempo, fece circondare il palazzo reale dai carri armati, vi entrò con la forza e sottopose al re un documento che richiedeva la sua abdicazione. Dopo tredici ore Faruk capitolò e si piegò, per conservare il trono, alle richieste dell’ambasciatore. Ma quella vicenda ebbe l’effetto di rendere ancora più accesi i sentimenti anti-britannici del nazionalismo egiziano. Nel dopoguerra la posizione di Faruk fu complicata dalla questione palestinese e dalla riluttanza del governo di Londra ad abbandonare l’Egitto. Il re decise di partecipare alla guerra contro Israele e pagò il prezzo della sconfitta perdendo buona parte dell’autorità che era riuscito a conquistare negli anni giovanili. Quando i militari (molti dei quali, qualche anno prima, avevano preso partito per l’Asse) organizzarono il loro colpo di Stato, Faruk era politicamente esausto. Il suo comportamento negli anni dell’esilio e la propaganda anti-monarchica della repubblica di Nasser fecero di lui un personaggio mondano, frivolo, politicamente insignificante. Ma non è sorprendente che gli egiziani ricordino ora con piacere il giovane re che seppe incarnare, prima e durante la guerra, il sentimento nazionale del Paese.