Fulvia Caprara, La Stampa 29/12/2007, 29 dicembre 2007
FULVIA CAPRARA
ROMA
L’alba della tv, tra grandi entusiasmi e tentativi rudimentali, prima che scoppiasse la guerra, quando c’era chi provava a registrare programmi radiofonici su dischi di vinile, fino al 1939, anno in cui a Roma, da un piccolo studio al quarto piano di via Asiago, i tecnici dell’Eiar mandano in onda spettacoli comici e musicali irradiandoli dal trasmettitore di Monte Mario. Un’età della pietra curiosa e affascinante, messa in ombra dall’anniversario ufficiale della nascita della televisione (gennaio 1954), ricostruita da Gregorio Paolini con spirito da «Indiana Jones dei poveri» nel documentario Radiovisione la preistoria della televisione, coprodotto con Raitre e realizzato in collaborazione con Rai Teche: «Sono nato nel ”54, il pallino del piccolo schermo ce l’ho da sempre, la storia della tv l’hanno raccontata in tanti, a me interessava ripercorrere il prima, una fase bruscamente interrotta dallo scoppio della seconda guerra mondiale».
Creatore nel ”93 di un rotocalco innovativo come Target, condotto da Gaia De Laurentiis, e poi di tanti altri appuntamenti, da Verissimo a Tintoria Show di cui sta per andare in onda su Raitre la terza edizione, Gregorio Paolini è riuscito a scovare materiali inediti in luoghi dimenticati come un deposito della Rai di Acilia, a Sud della capitale, dove pile di vecchie foto sono ammassate sui raccoglitori polverosi, ma è anche andato a parlare con le persone che materialmente fecero i primi esperimenti: «La storia della tv anteguerra è interessante, il fascismo rappresentava una forma di modernizzazione d’autorità, in due anni, senza computer né nient’altro, quei dipendenti Rai misero in piedi la televisione».
Tra radio e tv, racconta il documentario, ci fu, nella prima fase, un testa a testa serrato, lo testimoniano personaggi come Sergio Zavoli e annunciatrici come Lidia Pasqualini, che a diciott’anni parlò per la prima volta ai microfoni della radio: «Ero emozionata, mi sentivo come se stessi per fare spettacoli magici». A Roma, nel ”39, i primi apparecchi televisivi apparvero nei negozi del centro e al Villaggio Balneare al Circo Massimo, Mussolini ne aveva uno a Palazzo Venezia e uno a Villa Torlonia. Sotto la cappa del regime iniziò a farsi le ossa una squadra nutrita di tecnici come Guido Terranera, il primo aiuto cameramen della tv italiana, e poi di cronisti. Alla fine degli anni Quaranta si riafferma il progetto di una tv nazionale e prende il via il periodo eroico del dopoguerra, con i primi tg e le prime domeniche sportive, si affermano Salvino Sernesi, Sergio Pugliese e Vittorio Veltroni. Si arriva così alla data storica, quel 3 gennaio del ”54 in cui, confessa Nicoletta Orsomando, «avevo un gran batticuore». A quel punto l’Italia «non è ancora unita dalla tv, sotto Roma non arriva e sopra costa troppo», ma è da allora che la tv inizia a trasformarsi nella «mamma cauta e timorosa» che abbiamo sempre conosciuto, «frutto di una realizzazione tecnica, volano della modernizzazione».
Nella tv preistorica, dice Paolini, «c’era un’aria di grande modernità e originalità, una spinta all’innovazione molto vivace, una gran passione». Sensazioni più evidenti se paragonate all’oggi: «La tv è ormai un mezzo maturo, ma anche un po’ stanco, un luogo dove i più giovani faticano a farsi spazio». Anche i generi, almeno alcuni, hanno il fiato corto: «Solo da noi esiste ancora la fiction per famiglie, dedicata a un pubblico anziano, da grandi ascolti, in cui si finisce per parlare solo di santi, eroi e navigatori. In altri Paesi, invece, la fiction ha una funzione di stimolo, è più avanti rispetto al cinema». La Rai, poi, ha altri problemi: «Non si decide che cosa se ne vuol fare, la vogliono insieme puttana e madonna, il risultato è che adesso sembra una signora un po’ bistrata...».
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