Note: [1] Carlo Jean. Il Messaggero 28/12; [2] Ennio Caretto, Corriere della Sera 28/12; [3] Enzo Bettiza, La Stampa 29/12; [4] Francesca Paci, La Stampa 28/12; [5] a.v.b., la Repubblica 29/12; Lorenzo Cremonesi, Corriere della Sera 28/12; [6] Bernardo V, 29 dicembre 2007
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 31 DICEMBRE 2007
Benazir Bhutto, leader del Partito del Popolo Pakistano assassinata a Rawalpindi il 27 dicembre, avrebbe vinto le elezioni dell’8 gennaio. Carlo Jean: «I sondaggi la davano al 64%, contro il partito militar-religioso del presidente Musharraf. Il suo ritorno in Pakistan era stato voluto dagli Usa. Washington sperava di portare al potere forze moderate, che avrebbero combattuto al Qaeda e i Talibani, con maggiore impegno dell’attuale presidente». [1] Secondo Michael Walzer, decano dei filosofi politici americani, il delitto Bhutto potrebbe rendere «l’Asia centrale più pericolosa del Medio Oriente». [2] Enzo Bettiza: «Ci troviamo di fronte a un rischio dagli effetti incalcolabili: la possibile trasformazione del Pakistan in uno Stato talebano di prima classe con un arsenale di almeno 50 testate nucleari». [3]
Il Pakistan è oggi per il mondo una minaccia peggiore dell’Iran. Ely Karmon, docente all’Institute for Counter-Terrorism di Herzliya:
«È un arcipelago di gruppi radicali che rivendicano l’atomica ”islamica”, non tanto l’arma estrema nella Guerra Fredda contro l’India quanto quella contro gli infedeli occidentali». [4] Il Pakistan è il più popoloso Paese islamico al mondo dopo l’Indonesia. Soprattutto, è l’unico Stato a maggioranza musulmana dotato di arma atomica. [5] Bernardo Valli: «Quando le strade delle sue città, a Islamabad, a Karachi, a Lahore, sono invase dagli integralisti sensibili ai richiami dei taliban e dei capi di Al Qaeda, arroccati nelle incontrollabili contrade pachistane confinanti con l’Afghanistan, gli strateghi del Pentagono vivono un incubo». [6]
Su 160 milioni di pachistani, 120 milioni campano con meno di due dollari al giorno. [7] Flavio Pompetti: «Miliardi di dollari di aiuti entrano nel paese per mano dell’alleato americano, giustamente preoccupato per la vicinanza di paesi ostili all’occidente, e delle tensioni terroriste interne». [8] Ennio Di Nolfo: «La geopolitica colloca il Pakistan in uno dei punti strategici più difficili del globo: al confine con l’Iran, ma soprattutto con l’India (dalla quale è diviso per la disputa sul Kashmir) e, peggio ancora, con l’Afghanistan, lungo le più impervie montagne del mondo, dove la vita tribale e le cospirazioni terroristiche e fondamentalistiche hanno il loro centro di incubazione». [9] Renzo Guolo: «Più che la retrovia, il Pakistan è ormai il fronte meridionale del conflitto afgano». [10]
Il Pakistan è un Paese che non è mai stato un successo. Peter Galbraith, esperto di Medio Oriente: «Un Paese dove la democrazia non ha messo radici, dove non c’è neanche una vera unità di governo, ma un esercito, un servizio segreto, un presidente, che dividono il potere e sono spesso in lotta fra di loro, e dove due delle regioni più grandi, il Punjab e il Sindh vivono in costante tensione». [11] Sergio Romano: «Questo Stato contraddittorio nasce tumultuosamente nel momento in cui la Gran Bretagna decide di mettere fine al suo secolare dominio sull’India. Gandhi vorrebbe l’unità dei popoli che abitano il subcontinente, ma anche i musulmani hanno un leader, Mohammed Ali Ginnah, che vuole e conquista l’indipendenza». [12]
Il Pakistan è stato formato come Stato democratico per i musulmani. Lo scrittore Hanif Kureishi: «Ma gli islamisti non sono capaci di essere democratici, perché mettono la religione davanti a tutto. Islam e democrazia non sono compatibili. Per quanto mi riguarda, il Pakistan non doveva essere creato come Stato. Doveva restare parte dell’India». [13] Magdi Allam: «Se consideriamo gli Stati che si autodefiniscono ”Repubblica islamica”, quali il Pakistan, l’Iran, le Comore, Mauritania e Afghanistan, in aggiunta all’Arabia Saudita che ha adottato il Corano come Costituzione, ebbene nessuno di loro è democratico». [14]
Il Pakistan rappresenta da tempo un’incognita. Valli: «La sua immagine è quella di un paese con due volti: talvolta prevale quello che esprime stabilità militaresca in una regione tormentata; talvolta quello che al contrario annuncia, minaccia esplosioni di fanatismo capaci di sconvolgere ancor più la già traumatizzata regione. In realtà più che alternarsi le due facce si confondono in un profilo ambiguo». [6] Tra le stanze dell’establishment tramano personaggi come il presidente della Pakistan Muslim League, Chaudhry Shujaat, uno dei maggiori alleati del governo, autore del teorema «Il cuore a Osama, il cervello a Musharraf». [4]
Dall’11 settembre 2001, Bush ha considerato Musharraf il più stretto alleato nella «guerra contro il terrorismo». Valli: «Non c’era un’alternativa anche se il Pakistan era al tempo stesso alleato dell’America e il retroterra di Al Qaeda e dei Taliban. E non solo perché il suo forte esercito (tre volte vittorioso nelle guerre con l’India) non era in grado di controllare la cossiddetta ”area tribale” a ridosso dell’Afghanistan. Né la sua polizia di sorvegliare sul serio i labirinti delle scuole coraniche, inevitabili vivai di integralisti e di naturali alleati dei fratelli afghani. La non tanto segreta aspirazione di Islamabad era di ridurre l’Afghanistan alla condizione di un suo protettorato, e quindi covava l’inconfessabile speranza di vedere quel paese sfasciato e trascurato dalla superpotenza». [4]
In questi anni, gli Usa hanno donato al Pakistan decine di milioni di dollari di materiale. Jean: «Il presidente pakistano accettò di muovere le testate in bunkers sicuri, all’interno di basi militari e di accrescere la sicurezza dei depositi delle testate e degli impianti nucleari, con dispositivi anti-intrusione, costituiti da barriere fisiche ed elettroniche e da sensori molto sofisticati. Musharraf accettò poi di immagazzinare i noccioli nucleari delle bombe in luoghi diversi sia dai loro detonatori sia dai missili per lanciarle». [1]
Il ministro degli Interni pachistano, Hamid Nawaz, ha addossato la responsabilità dell’assassinio della Bhutto ad Al Qaeda e ai Taliban. [15] Sher Baz Khan, analista di Dawn, il più autorevole quotidiano in inglese: «Non troverai nessuno, in Pakistan, che creda a questa pista». [16] Il tenente-generale in pensione Hamid Gul, ex direttore dei servizi segreti pachistani: «L’assassinio di Benazir Bhutto fa parte di una cospirazione che punta a denuclearizzare il Pakistan. In molti, soprattutto in Occidente, si sentirebbero più tranquilli se il nostro Paese non avesse la bomba atomica». [17]
Richiesta di commentare l’attacco suicida costato la vita al premier libanese Hariri, la Bhutto rispose: «Prima di emetter sentenze bisognerebbe far pulizia in casa, anziché, regolarmente, accusare Al Qaeda col solo risultato di cacciare l’immondizia sotto il tappeto». [7] Ahmed Rashid, tra i più noti giornalisti pachistani: «Molti accusano Musharraf, ma secondo me la cornice del delitto, la maniera in cui è stato eseguito sono una firma piuttosto chiara: l’uso del cecchino, il tentativo di distrazione e poi l’esplosione potentissima. la mano di Al Qaeda». [18] Ajai Sahni, direttore dell’Institute for Conflict Management di New Delhi: «Certamente è opera di Al Qaeda, se per Al Qaeda si intendono i numerosi gruppi jihadisti che operano in Pakistan. Ma altrettanto certamente, qualcuno ha chiuso gli occhi e ha voltato la testa dall’altra parte mentre tutto questo avveniva». [19]
Il fanatismo che ha ucciso la Bhutto non è una macchina da guerra globale e di conseguenza inafferrabile. Barbara Spinelli: « un mostro che è nato in Pakistan, che dal Pakistan si è esteso al mondo fino a lambire le città d’Occidente, che in Pakistan ha da quasi trent’anni il suo regno». [20] Rampoldi: « la colpa della borghesia pachistana: l’aver creato i Taliban, negli anni Novanta, con l’obiettivo di controllare l’Afghanistan attraverso quegli stolidi bruti. La storia ha dimostrato che i Taliban erano meno docili di quanto pensassero ad Islamabad: dopo essere stati per anni uno strumento dello stato maggiore pachistano, si sono ribellati a quel padrone, hanno trovato generosi sponsor arabi e col tempo sono riusciti a talibanizzare parte del Pakistan». [21]
Le dittature creano terrorismo, ma in Pakistan i dittatori hanno sempre trattato sottobanco con i terroristi. [22] Spinelli: «L’alleanza col Diavolo è un’arma geopolitica classica. Fu adoperata anche nella prima metà del ”900. Ci si alleò con Stalin, pur di vincere Hitler. Poi però l’alleanza s’infranse e comunque nulla di quel che accade oggi somiglia a ieri. Lì una guerra finì, qui una guerra è agli inizi. Qui non siamo di fronte all’alleanza con un Diavolo minore per sconfiggere il Diavolo maggiore. Qui ci si allea con il male stesso che si pretende debellare». [20] Rampoldi: «Washington e gli occidentali hanno finto di non vedere e non capire, nella consapevolezza che Musharraf non avesse alternative accettabili». [21]
Non si sa ancora nulla di certo a proposito delle elezioni dell’8 gennaio. Francesca Marino: «Qualcuno sostiene che si terranno comunque, ma fonti vicine al governo dicono, al contrario, che nulla è stato ancora deciso. Dopo i tre giorni di lutto, molto probabilmente, il presidente consulterà i rappresentanti dei partiti politici per decidere il da farsi». [24] Maurizio Molinari: «Bhutto non ha lasciato eredi politici, il partito di Musharraf è impopolare e un voto potrebbe premiare i partiti più estremisti». [25] Karmon: «Il presidente Musharraf resta l’unica chance per bloccare l’anarchia che dilaga in Pakistan. Ed è una ben misera chance». [4] Fulvio Scaglione: «Il fatto che non ci siano alternative a Musharraf non è una scusa. , purtroppo, un’aggravante». [26]
I pachistani che alle prossime elezioni avrebbero votato per la Bhutto cercano la loro salvezza nell’economia globale, non in una lettura oscurantista e feroce del Corano. Federico Rampini: «Il futuro appartiene a loro, non ai sanguinari capi delle tribù. Benazir non ne ha mai dubitato, ma era anche consapevole che la parte più civile e tollerante del suo Paese non andava lasciata sola in questa battaglia». [23] Rampoldi: «I pachistani possono e devono neutralizzare la cospirazione della minoranza islamista, oggi valutata intorno al 5-10 per cento dell’elettorato. Beninteso, un 5-10% ben armato. Ma è più diviso di quanto non appaia: e comunque non oserebbe tanto se non sentisse che parte delle Forze armate non gli è ostile». [21] Valli: «Il pronostico più ragionevole è quello di un Pakistan sempre più oscillante tra le sue due anime. Vale a dire sempre più ambiguo». [6]