Alberto Arbasino, la Repubblica 29/12/2007, 29 dicembre 2007
Coi soliti senni del poi (ma perché, poi?), naturalmente parrà molto "epocale" (o «un battito di farfalla»?) quella frattura tra il ´63 e il ´68
Coi soliti senni del poi (ma perché, poi?), naturalmente parrà molto "epocale" (o «un battito di farfalla»?) quella frattura tra il ´63 e il ´68. Prima, l´emergente Gruppo d´avanguardia giovane, generalmente ben visto dagli Antichi Maestri già un po´ emarginati nelle loro nicchie: Gadda, Anceschi, Palazzeschi, Ungaretti, Praz, Comisso. Fra centro e sinistra, nei territori mediatici lasciati usufruibili dagli incauti democristiani, tutto un Establishment clientelare e normalizzatore, di "midcult" e di mezza età: la generazione dei Moravia coi tradizionali poteri "egemonici" all´italiana, esercitati raccomandando o «tagliando i viveri» ai letterati subalterni che campavano di prestazioni precarie, senza ancora contratti o salari o assicurazioni o pensioni. Qualche "posticino" già acquisito nelle carriere accademiche o pubblicistiche o radiofoniche poteva comunque garantire l´indipendenza alimentare e culturale di una letteratura sperimentale che profittasse del boom italico non solo per vendere bestseller. E senza le tradizionali sputtananti preghiere italiane ai Poteri di turno. Anche perciò continuarono poi lungamente le accuse di «volevano prendersi tutti i posti!», da parte degli intellettuali di regime o protesta che effettivamente, dopo il Sessantotto, si presero un mucchio di direttorati nelle strutture e prebende. Senza più curriculum, né concorsi, né titoli. Ma una volta sistemati, escono dall´attualità perché «non hanno più niente da dire». («Ditemi un titolooo!»). Ma l´Establishment non aveva previsto il dopo. Solo cinque anni, ed ecco insorgere un inaspettato movimento generale collettivo, e assolutamente alieno da ogni letteratura, in lotta e guerra o guerriglia dura (come nelle rivoluzioni "da manuale") per abbattere l´Establishment (ora detto "Sistema"), e occupare direttamente i "Palazzi" direttivi. Magari a costo di ammazzamenti e ferimenti adesso commemorati, «per non dimenticare», in tanti luoghi della Memoria, monumenti ai Caduti, lapidi, "format", sceneggiati, e via. Nella scintillante rassegna-videogioco sugli anni Settanta alla Triennale milanese, chissà se i giovani nati in seguito sapranno discernere se furono anni «formidabili» o «di piombo», o un´intrigante playstation. Qui, fra cortei armati e fumetti e canzoni in lp e Cina e Cile e video e sangue ed effimero, Moro e Pasolini vengono riammazzati in tutti i media, mentre non si ritrovano facilmente Feltrinelli o Calabresi o Casalegno o altri, lungo gli abiti di Fiorucci e i versi di De André, il juke-box e il Vietnam e i punk e la P38 o la P2. Ma non molti artisti o sarti o scrittori o musicisti emergenti dai "collettivi", come prima e dopo. E nemmeno concretezze dei capetti - dopo le spranghe e i manganelli - circa i treni dei pendolari, gli ambulatori per i poveri, l´assistenza ai neonati dopo le ammucchiate di massa. Mentre i ricchi ormai andavano in Svizzera anche solo per il dentista. E si esiliavano a Monte-Carlo per non fare gli stronzi alle contestate prime della Scala o nelle mitiche sparatorie stradali. Già a metà fra il ”63 e il ”68, comunque, senza aspettare le successive scoperte e scopate di massa, si ritornava sempre più volentieri nella vecchia California per godersi allo stato nascente e con piacevolezza i "trends" che dopo qualche stagione sarebbero arrivati quali "novità" ideologiche e predicatorie anche da noi. Come in un ribaltamento di quel «piano inclinato» che era l´America secondo Oscar Wilde e Saul Steinberg, dove rotola tutto ciò che casca dall´Europa e prima o poi riappare a San Francisco. E così, via! Le rivolte studentesche sull´erba, i figli dei fiori e dei funghi, i parchi e giardini lisergici e psichedelici, sconfinati, vastissimi, con culi e chitarre al vento, macché passamontagne e spranghe in territori urbani piccolissimi fra plumbee vie Carducci o Pascoli o Collodi o De Amicis... Altro che highways fra Sacramento e Big Sur e Tijuana... E le musiche sempre più amplificate, nelle prime discoteche di massa e di mandria, enormi e cascanti, in una grafica sinuosa e languida fra LSD e Art Nouveau per i poster e i dischi. E tutto un cinema molto sperimentale e poco adatto ai non-cinefili; e un teatro molto "off" con tutti seduti per terra impietosi e scomodi fra candelotti da processione alla Vergine. E officianti che scendevano a urlare «fuck!» trasgressivi, ma si offendevano a toccargli per provocazione il sedere. E parecchia cera colorata da fiaccolate per stragi orientali anche nei penetrali e ricettacoli dei piccoli supplizi ove si scatenavano praticamente le fantasie ancora originali dell´immaginario individuale, prima dell´omologazione globale imposta alle masse dalla «liberazione sessuale», e poi dalla grande paura per l´epidemia dell´Aids. Autobiograficamente, appunto Off-off si intitolava un mio instant book di corrispondenze sul campo a caldo (con «quell´estate a Manhattan», appunto), uscito da Feltrinelli alle fine del ”68. Con già dentro i vari trends che sarebbero poi stati scoperti e divulgati, serialmente e addirittura scolasticamente, nel corso dei nostri successivi anni Settanta. «Il sabato del Village»... Un Underground in tutti i sensi: le colossali discoteche supertecnologiche «da sballo» con le più recenti droghine rustiche o chimiche ma comunque subito mitiche, e le cantine sordide con recitanti ieratici e famelici, al Village. Cantine fra i docks e i macelli, invece, con marines e calciatori e cowboys forse neanche finti in "numeri" allora sensazionali di ring e gabbie e vasche per usi innominabili; e poster di protesta da "college" per la cameretta studentesca. Il New American Cinema decrepito dalla nascita, e la Factory di Andy Warhol (mio coetaneo per niente "impegnato") piena di trovate attonite ma vispissime, in paraggi allora succulenti. E il Living Theater, il Café La Mama, i Velvet Underground, The Mothers of Invention, i mini-circuiti di cooperative e monologhisti e travestiti e Pop Art non-correct, le disgraziate famose per qualche giorno al Chelsea Hotel e finite malissimo... Oltretutto, negli Stati Uniti «on the road» come nell´Italia mediterranea, tradizionalmente i "ragazzoni" facevano le loro "ragazzate" («ah se ci fosse qui una bella ragazza!», «già, ma non c´è!») dall´Est al West fra ostelli e deserti remoti dalla cultura dei passamontagne, quando ancora prefissi come «omo» o «etero» si applicavano a concetti astratti come l´omonimia o l´eterogeneità dei fini. Non certamente al sesso spontaneo nelle docce. Non esistevano i "nomi", e quindi neanche le "cose", che tanti facevano tra acque e saponi o cespugli in Texas o a Hollywood, senza curarsi di etichettarle come "trasgressioni". Dopo le classificazioni e le suddivisioni e i distintivi, ecco invece la formazione dei piccoli ghetti specializzati: e ancora per primi a San Francisco, nel «Castro Village». Non più festose sfrenatezze in allegri bar o bagni "maledetti", bensì negozietti di ferramenta e plastiche e protesi ormai mediatiche e patetiche come i tacchi sadomaso nei grandi magazzini con liquidazione delle rimanenze. E sempre meno "Immaginazione", tra gli sfoghi serali pianificati a Houston come a New Orleans, Amburgo, l´Oktoberfest a Monaco, il Carnevale di Rio, la deplorevole Bangkok, con anziani "pasolinidi" in preda beata per frotte di atroci piccini. Frattanto, «inter nos», questioni sempre meno gramsciane sui «gggiovani» già sviluppati quali protagonisti di contestazioni e consumismi e pubblicità rock... Quando la «Giovinezza» ricordava ancora troppo l´inno fascista ormai vecchio, la «Gioventù» era appena stata hitleriana nei cinegiornali, e qualunque «Fischia il sasso» col «ragazzo di Portoria» si era stati obbligati a cantarlo, non solo a Genova, in cortei di piccoli Balilla poco propensi alle adunate e ai motti come a ogni Doge o Duce sui palchi. Dunque, all´epoca, avendo compiuto i 40 anni allo scoccare del decennio di piombo - e avendo scarso interesse per le ideologie e le canzoni e i vestiti e gli arredi e gli spettacoli italiani dell´epoca - si riproponeva il problema già avvertito negli anni Cinquanta: se stabilirsi con libri e tutto non a Roma bensì a Londra, o Parigi, o Broadway, o Hollywood, campando bene come "corrispondente" giornalistico, e coinvolto con la società culturale locale. Senza esporsi troppo al «quanto ti fermi ancora?», se non si partecipa ogni giorno e sera alle telefonate e iniziative e ricevimenti locali, come succede quando si rimane per un paio di settimane. Oppure: far fronte, per ovvio e frainteso senso civico, a un desueto e sfottuto dovere di testimonianza storica e antropologica "on the spot" nello Stato di cui si ha la cittadinanza e i redditi? Senza magari smaccatamente abbandonarsi, secondi i regimi in auge, all´interminabile lagna del "presenziare" italiano: adunate, manifestazioni, commemorazioni, fiaccolate, cortei per innumerevoli vittime assolutamente indimenticabili, fin da piccini tra scuole e doposcuole e discorsi e lapidi e gite e cippi e steli e slogan; e poi, nella toponomastica e nelle pagine gialle e sui mezzi pubblici e radio-taxi, e "format" luttuosi in tv. Allora: fare gli antitaliani contromano e controcorrente e "versus"? O intrupparsi in movimenti omogeneizzati e collettivi, a costo di comprarsi un passamontagne per le sfilate invece di un boxer per Malibu? Ingraziarsi movimenti «gggiovani» dediti alle ideologie stagionali, per poi diventare capiservizio e quindi «ad» e direttori e presidenti in tutti gli enti possibili? Bloccando per decenni le carriere e il curriculum delle successive generazioni di postulanti ormai anziani in crisi, quando ancora sui giornali si legge «un ragazzo di trentotto anni»... Non per nulla, ai promettenti giovani degli anni Settanta, e anche a Giangiacomo Feltrinelli che me lo ripeteva, non importava più niente la letteratura "personale" degli scrittori non impegnati, ma soltanto le ideologie nei documenti collettivi anonimi. E Italo Calvino mi bofonchiava: «un altro che non vuol più credere alla letteratura?». In quel grigiore davvero plumbeo e terroristico, fra i mitra di strada e i Sex Pistols nelle discotechine due metri più sotto, e i conformismi minacciosi sempre più nuovi e massicci, chi poteva prevedere che tante Immaginazioni e Utopie sarebbero presto sfociate in un redditizio revival delle saghe familiari e degli intimismi con gioie e dolori, nonché infiniti thriller e killer di consumo per le immortali signore mie e le future casalinghe di Voghera? Così, venne proprio intitolato In questo Stato un mio instant book sulle vivaci ricezioni romane e italiane ai telegiornali e ai gossip nei lunghi tempi del sequestro di Moro. Messo in un cassetto dai dirigenti della Feltrinelli d´allora, fu passato dal grande agente Erich Linder a Livio Garzanti, che subito lo pubblicò. (Come del resto, al crollo dei Muri nell´epocale Ottantanove, Elvira Sellerio seppe stamparmi in fretta La caduta dei tiranni. Poi, certo, passò la voglia di occuparsi narrativamente delle figurine e figurette che si incontrano negli «ambienti esclusivi» o nella cronaca giornalistica). Ma intanto, per salutare la fine del «genere-Romanzo-non-merce», dopo i carissimi capolavori e le Grandi Incompiute del primo Novecento - in contemporanea con gli epiloghi della Sinfonia e dell´Opera e della Pittura: «signore e signori, si chiude!» - pareva piuttosto giusto dedicarsi ai "meta-romanzetti": «Super-Eliogabalo», «Principe costante», «Specchio delle mie brame». Mentre Calvino stesso faceva della meta-narrativa con «Se una notte d´inverno», Pasolini passava al cinema, Testori si buttava sul teatro... Però, con l´aggravarsi dei peggiori corsi e ricorsi più storici, riecco il dovere personale di ripassare a una funzione prettamente civile. Anche malgrado gli entusiasmi di chi aveva vent´anni anarchici proprio negli anni Settanta. E dunque viveva le stesse passioni antisociali dei ventenni nel 1870, o 1770, o eccetera. Quindi, scritti e pulsioni piuttosto congiunturali, con titoli di servizio: Equo canone, Confezioni per famiglie, Condizioni di impiego, Servizio non compreso, Priorità non acquisite... Come aveva insegnato Adorno, morto di contestazione appunto allora. Ma intanto, fra un lutto e un piombo, anche lunghi viaggi nei più discussi paesi esotici: Cina, Giappone, Bali, Nepal, Giava, Iran, Malesia, Siam, Australia, Hawai... E moltissime visite alle grandi mostre e ai concerti che si continuavano a tenere a Londra, Parigi, Berlino, Amburgo, Amsterdam, Washington, Hollywood, Rio de Janeiro, Vienna, Monaco, Lisbona, Istanbul, Zurigo... Lasciando perdere con profitto tanti eventi "locali" poi proclamati formidabili e imperdibili, o magari stronzate. Andando e tornando, si accumulavano così i materiali tradizionali e trasgressivi per Un Paese senza, antropologia dei caratteri e fantasmi italiani apparsa appunto nel 1980, alla chiusura del decennio infelice. E il decennio successivo? Bella roba, gli anni Ottanta? E i Novanta? E nelle celebrazioni del quarantennale 1968-2008, che faranno i ventenni o trentenni «duemilaottini» di fronte a un Sistema o Establishment che è nuovamente riuscito a «metterglielo là», oltre alla "movida" e alla "vaiolance" a tutta birra? Con le bottigliette da spaccare contro i muri graffiti non più con «W la Figa» o «W il Duce» in gessetti e carboni ormai fuori commercio, ma in ghirigori acrilici per segnalare lo spaccio più vicino, o i «Dio c´è» per registrare il controllo malavitoso su un territorio... Annate e cause ed effetti ed eventi con martiri e vittime - nel secolo scorso e anche in questo - ancora una volta formidabili, belli e bellissimi con lutti imperdibili e happy hours indimenticabili, e quarantennalmente commemorabili e celebrabili nel 2048...