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 2007  dicembre 29 Sabato calendario

Avevo subito pensato che nel disastro della ThyssenKrupp, data la gravità e l’evidenza delle violazioni delle norme sulla sicurezza e la conseguente situazione di rischio manifesto in cui gli operai erano costretti a lavorare, potesse essere prospettata la realizzazione di un omicidio doloso plurimo

Avevo subito pensato che nel disastro della ThyssenKrupp, data la gravità e l’evidenza delle violazioni delle norme sulla sicurezza e la conseguente situazione di rischio manifesto in cui gli operai erano costretti a lavorare, potesse essere prospettata la realizzazione di un omicidio doloso plurimo. Alla luce di quanto sarebbe emerso nel corso delle indagini, si starebbe considerando l’ipotesi di contestare agli indagati una responsabilità penale appunto per dolo e non soltanto per colpa. Le ragioni che giustificano questa risposta giudiziaria a quanto è tragicamente accaduto negli stabilimenti di corso Regina Margherita a Torino sono evidenti. Il diritto penale prevede che commette un omicidio doloso non soltanto chi vuole uccidere, ma anche chi agisce per uno scopo diverso rappresentandosi che la sua condotta potrà comunque determinare il decesso di qualcuno e accetta il rischio di quest’evento. Per il diritto, in altre parole, conoscere e accettare il rischio di una morte equivale a provocarla volontariamente. A questo proposito si parla, nel nostro linguaggio giuridico, di dolo c.d. «eventuale». Ciò significa che se i responsabili della ThyssenKrupp si sono resi conto dei pericoli presenti nella linea di produzione nella quale si è verificato il disastro, e per risparmiare il costo del suo risanamento hanno omesso di provvedere alla rimozione delle fonti di rischio, la loro responsabilità penale acquista inevitabilmente la veste del dolo. come se avessero voluto quelle morti. Il problema a questo punto, in concreto, non è più qualificare il fatto come doloso, circostanza non discutibile, ma provare che c’è stato realmente, nei fatti, dolo eventuale. Per contestare il dolo anziché la colpa è infatti necessario dimostrare con prove certe che i responsabili dell’azienda hanno effettivamente percepito il pericolo che facevano correre ai lavoratori e ciononostante non sono intervenuti per eliminarlo, accettando il rischio che alcuni di essi morissero. Si osserva comunemente che provare al di là di ogni ragionevole dubbio, come è richiesto, che l’agente ha percepito il rischio conseguente alla sua condotta è molto difficile. Per questa ragione il dolo eventuale viene contestato raramente nelle aule di giustizia e, nel timore di non riuscire a sostenere l’accusa nel processo, le Procure della Repubblica sono solite accontentarsi della colpa. Ancora l’estate scorsa, ad esempio, in un caso clamoroso di uccisione cagionata da una persona che guidava ubriaca, una Procura aveva contestato l’omicidio doloso anziché quello colposo, ritenendo che essa non poteva non essersi accorta del rischio di morte che cagionava guidando in stato di ebbrezza; il Tribunale del riesame, al quale l’indagato si era rivolto per chiedere l’annullamento del provvedimento di custodia cautelare, aveva tuttavia subito ricondotto il caso nel solco, consueto, della responsabilità per colpa. Ciò accade, di regola, anche nelle ipotesi di infortuni sul lavoro. Nel caso di specie, alcuni elementi emersi nel corso delle indagini sembrerebbero fornire tuttavia la prova certa della consapevolezza criminale dell’azienda. Nella sede di Terni della multinazionale sarebbero stati sequestrati documenti di grande rilievo probatorio. Sembrerebbe che la compagnia assicuratrice della Thyssen abbia declassato il suo cliente a causa delle rilevate insufficienti misure di sicurezza nello stabilimento di Torino, elevando la franchigia da 30 a 100 milioni di euro; per ritornare alla franchigia originaria i responsabili dell’azienda avrebbero dovuto, fra l’altro, mettere a norma la linea 5, successivamente devastata dall’incendio. I dirigenti della Thyssen, a causa della spesa giudicata troppo elevata per una linea destinata a essere trasferita a Terni entro il 2008, avrebbero tuttavia deciso di spostare l’investimento al momento in cui essa fosse stata rimontata e l’avrebbero scritto nero su bianco in uno dei documenti sequestrati. Il tecnico dell’assicurazione che si è occupato della vicenda, interrogato dalla Procura di Torino, avrebbe a sua volta dichiarato che con le misure di sicurezza richieste dalla sua compagnia l’incendio si sarebbe estinto in automatico e non sarebbe morto nessuno. Non so evidentemente se queste indiscrezioni, pubblicate dai giornali, corrispondano, e in quale misura, al vero. Se fossero confermate, non potrebbe più esservi alcun dubbio: risulterebbe provato che l’azienda conosceva i pericoli ai quali erano esposti i lavoratori addetti alla linea 5, tanto da avere programmato gli interventi necessari per garantire la loro sicurezza giudicandoli necessari, spostandoli tuttavia al 2008, dopo il trasferimento della produzione a Terni. Facendo cionondimeno lavorare gli operai, essa aveva pertanto accettato consapevolmente il rischio che alcuni di essi potessero morire: senza dubbio dolo eventuale. Rimarrebbe aperto, a questo punto, soltanto, il problema relativo all’individuazione del livello delle responsabilità dolose individuali dei dirigenti e degli amministratori, destinato, questa volta, a lambire verosimilmente gli stessi vertici aziendali responsabili degli investimenti.C