Nello Ajello, la Repubblica 29/12/2007, 29 dicembre 2007
E´ in atto un revival di Curzio Malaparte. Dopo diversi convegni, uno su Malaparte e la Francia, si è aperta e dura fino a gennaio, nella biblioteca comunale di Prato, una mostra bibliografica, Il boulevard delle diversità: da Parigi a Pechino, uno scrittore intorno al mondo
E´ in atto un revival di Curzio Malaparte. Dopo diversi convegni, uno su Malaparte e la Francia, si è aperta e dura fino a gennaio, nella biblioteca comunale di Prato, una mostra bibliografica, Il boulevard delle diversità: da Parigi a Pechino, uno scrittore intorno al mondo. Filo conduttore delle iniziative sono - come si vede - i rapporti del romanziere con il paese europeo cui egli rivolse alcune fra le sue epigrafi più immaginifiche: «Voglio bene alla Francia», scrisse, «altrettanto, forse, di quanto voglio bene all´Italia. Non come a una sorella, a un´amante, ma come al mio compagno più caro». Destino critico assai controverso, quello di Curt Suckert detto Malaparte, che queste iniziative intendono riportare in auge. Fra i giudizi espressi su di lui nel corso di una vita non lunga - cinquantanove anni - ma straordinariamente febbrile, spicca sul positivo, agli inizi, solo un´affermazione di Piero Gobetti che vedeva in lui «la più forte penna del fascismo». E fascista fervente parve infatti lo scrittore pratese, con la particolare accentuazione estremistica che era propria del suo carattere, ma anche con gli scarti di umore a lui congeniali. Di questi ultimi egli offrì una documentazione precoce nel 1921, a ventitré anni, componendo un pamphlet intitolato Viva Caporetto!, nel quale si celebrava quella sciagura militare come il comportamento eroico del «popolo delle trincee» (e dopo il sequestro del libro l´autore fu indotto a mutarne il titolo dell´opera in La rivolta dei santi maledetti). Lo stesso Gobetti dové ben presto mitigare la sua ammirazione per il talento malapartiano. Lo chiamò «eroe di corte». La corte era quella di Mussolini. Quella di assecondare i potenti - o coloro che di volta in volta considerava tali - sarebbe rimasta una sua vocazione, sempre accoppiata a un´apparenza di anticonformismo. Per denigrare Malaparte bastava comunque registrarne le pose, nelle quali il narcisismo diventava a volte autolesionistico. Senza poter prevedere le giravolte che il romanziere avrebbe compiuto dopo il tramonto del Duce, Gramsci così scriverà nei Quaderni del carcere: «Il carattere permanente del Suckert è uno sfrenato attivismo, una smisurata vanità e uno snobismo camaleontico: per avere successo è capace di ogni scelleraggine». L´intellettuale toscano rientrava così in quella pattuglia di fascisti «romantici», alla Farinacci, i cui connotati erano «una fantasia squilibrata, un brivido di eroici furori, un´irrequietezza psicologica» da romanzo d´appendice. Sulla stessa lunghezza d´onda, riferendosi assai più tardi, in Scrittori e popolo, al Malaparte degli esordi, Alberto Asor Rosa osserverà che, per suo tramite «si combatte l´Italia falsamente europea con i miti dell´Italia veramente provinciale. E il risultato è incredibilmente arretrato». Il catalogo delle sue imprese è fittissimo. Ha partecipato, ancora liceale, alla Grande Guerra, riportandone una tubercolosi dalla quale mai guairà del tutto. Si dà poi a glorificare il capo del fascismo in couplets di così incontinente entusiasmo da sfiorare il dileggio: il frutto più celebre di questa sua produzione restano quei versi che proclamano: «Spunta il sole, canta il gallo. - O Mussolini, monta a cavallo». Nel 1931 l´apologia del capo del fascismo si riaffaccia in un volumetto edito in francese, Téchnique du coup d´Etat, nel quale si esaminano i vari modi attuare un putsch. Nella casistica figurano Oliver Cromwell, i due Napoleoni, Pilsudski, Trotsky e Stalin, Mussolini e Hitler (il quale ultimo, in quel 1931, il suo putsch lo stava ancora preparando). L´occasione per paragonare i due araldi della destra, l´italiano e il tedesco, viene comunque sfruttata in pieno. Mussolini «non nasconde nulla d´antico: egli è sempre, e qualche volta senza volerlo, un uomo moderno»: «freddo e audace, violento e calcolatore». Rimane un seguace di Marx e ne applica le direttive. Hitler sembra una sua caricatura. Quell´essere «dai piccoli baffi posati sul labbro fine e corto, dagli occhi duri e diffidenti» prova, «come tutti gli austriaci, un certo gusto per gli eroi dell´antica Roma. Il suo eroe ideale è un Giulio Cesare in costume tirolese». In lui, incalza lo scrittore, «c´è qualcosa di torbido, di sessualmente morboso». E conclude: «Ora che nella storia d´Europa è il turno della Germania, Hitler è il dittatore. La donna che essa merita». In Germania, il pamphlet sarà proibito dalla censura. Lo sarà anche in Italia, ma nessuno vieterà ai giornali di parlarne. In seguito Malaparte si glorierà di aver attirato su di sé, con quelle pagine, l´odio di Mussolini, e di essersi così procurato la condanna a cinque anni di confino. E´ noto invece che all´origine di quel provvedimento, comminatogli nel 1933, ci fu una lite dello scrittore con Italo Balbo. Il suo non era, in realtà, un libro antifascista. Tra le righe si assaporava, anzi, il miele della lusinga. Se dunque ci fu un complotto contro Malaparte, esso non è da ascriversi a quel suo libello. Quanto all´assegnazione al confino, la sorella di Curzio, Mimmina Suckert, l´avrebbe definita molto più tardi, in un´intervista a Daniela Pasti, «roba da ridere». Intanto, diventato fin dal 1929 direttore della Stampa, Malaparte s´era trovato accanto nel ruolo di redattore capo il suo coetaneo Mino Maccari, componendo, come è stato scritto, «l´accoppiata più clamorosa del giornalismo italiano». Come letterato, oscillò a lungo fra le opposte correnti - Strapaese e Stracittà - ambedue, a tratti, rissose. Si esibì in molti duelli: se ne contano sedici, fra i quali quello che nel ”26 lo oppose a Pietro Nenni, due volte ferito sul campo. Diresse una rivista importante, Prospettive. Si distinse nei reportages di guerra. Collezionò amanti: con Virginia Agnelli, madre dell´«avvocato», ebbe una lunga relazione. Romanzeschi, non meno dei precedenti, saranno i suoi ultimi tredici anni di vita, fra il ”44 e il ”57. Qualcosa dei nuovi tempi lo affascinava. Tra fascisti e comunisti aveva sempre avvertito un´analogia profonda: non aveva definito i primi «catilinari di destra» e i secondi «catilinari di sinistra»? Come Mussolini fu l´astro della sua gioventù, Togliatti lo divenne della maturità. Nel 1987 Giordano Bruno Guerri - autore anni prima di una biografia di Malaparte, L´Arcitaliano - mise le mani sulla tessera del Pci numero 1583501, intestata a Malaparte, e su una lettera in cui Togliatti esprimeva giudizi assai benevoli verso di lui e la sua «tormentata vita di combattente». I due si conoscono a Capri il 10 aprile 1944. Togliatti è appena rientrato dalla Russia. Chiacchierando, il capo comunista fissa attento l´interlocutore. Le pupille del capo comunista «erano chiare e grigie», racconterà lo scrittore. «Il bianco era come la base invisibile di quello sguardo grigio». E´ amore a prima vista. Togliatti fa fatica ad inserire Malaparte nella stampa di partito. E´ necessario dotarlo di uno pseudonimo, Gianni Strozzi. Ma non serve. I letterati comunisti - Mario Alicata in testa - protestano con veemenza. Lo scrittore viene messo in quarantena. L´ostracismo dura a lungo. Sono gli anni del romanzo La pelle (1949), ambientato con qualche eccesso truculento nella Napoli dell´immediato dopoguerra. Leggendolo, Emilio Cecchi sbotta: «Malaparte è un fabbricante di bolle di sapone terroristiche». Sono anche gli anni della rubrica «Battibecco», che lo scrittore redige per Tempo Illustrato, coniando nuovi ingegnosi couplets. Come questo, rivolto a De Gasperi: «Impara Alcide che la storia - non si fa più col solito incenso. - La libertà non è fatta di gloria - com´ebbe a dir Camillo Benso... - Se ancora un po´ te ne stai a vedere - Palmiro vien che ti ruba il mestiere». E´ un vaticinio di vittoria per il Pci? Togliatti non gradisce. A proposito di quella rubrica, scrive su Rinascita che Malaparte dovrebbe intitolarla, anziché «Battibecco», «Batticulo». Il calembour non è dei più raffinati. Ristabilire i rapporti non sembra facile. Ancora una volta, Malaparte ci riesce attraverso i giornali. Nei primi mesi del ”57, Vie Nuove e L´Unità lo mandano in Cina. Lui scrive articoli coloriti, encomiastici. Di ritorno, viene ricoverato nella clinica romana Sanatrix. Cancro. Le foto dei settimanali mostrano accanto al suo letto Togliatti, Secchia, Lajolo, Fanfani, Tambroni. Lo assistono il domenicano Felix Morlion e il gesuita Virginio Rotondi, che lo battezza, lo cresima, gli somministra l´Eucaristia. E i comunisti? Una battuta del romanziere morente viene raccolta da un suo amico francese: «Prêtres et marxistes, ils sont toujours là. Il guettes mon âme» (spiano la mia anima). Un ultimo complotto?