Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ieri, in occasione del ritorno a Pontida della Lega, il momento culminante è stato quando Maroni ha sollevato un mazzetto di buste e ha gridato: «I diamanti di Belsito sono questi! Vadano alle sezioni più meritevoli!»
• Diamanti di Belsito?
Sarà bene non dimenticare. Bossi si dimise da segretario della Lega un anno fa, 5 aprile 2012, venendo subito consolato con la presidenza onoraria del partito, perché dalle indagini della magistratura e dalle intercettazioni risultava che con i rimborsi il tesoriere Belsito, e prima di lui anche il defunto tesoriere Balocchi, avevano sopportato (citiamo i verbali dei carabinieri) «i costi di tre lauree pagate con i soldi della Lega», «i soldi per il diploma (Renzo Bossi)»; «i 670.000 euro per il 2011 e Nadia (Nadia Dagrada, impiegata amministrativa, ndr) dice che non ha giustificativi, oltre ad altre somme ingenti per gli altri anni»; «le autovetture affittate per Riccardo Bossi, tra cui una Porsche»; «i costi per pagare i decreti ingiuntivi di Riccardo Bossi»; «le fatture pagate per l’avvocato di Riccardo Bossi»; «altre spese pagate anche ai tempi del precedente tesoriere Balocchi»; «una casa in affitto pagata a Brescia»; «i 300.000 euro destinati alla scuola Bosina di Varese per Manuela Marrone (moglie di Bossi, ndr), che Belsito non sa come giustificare, presi nel 2011 per far fare loro un mutuo e che lui ha da parte in una cassetta di sicurezza». Poi: «l’ultima macchina del Principe, 50.000 euro, i soldi ancora da dare per le ristrutturazioni del terrazzo». Poi c’era la storia dei diamanti.
• Quella a cui ha alluso Maroni ieri.
Già. Maroni nel discorso di ieri ha parlato di 13 diamanti, l’anno scorso Belsito ne riconsegnò 11, non si sa se questi 13 siano proprio tutti o ce ne sia ancora qualcuno in giro. Belsito investì una parte del finanziamento pubblico a Cipro (con i rischi che adesso conosciamo benissimo) e un’altra parte in Tanzania per comprare diamanti (duecentomila euro). Belsito avrebbe anche voluto comprare titoli di stato della Tanzania, ma le banche africane, suprema umiliazione, rifiutarono i soldi, perché sospetti. La cosa costò a Bossi non solo il partito, ma anche un’informazione di garanzia per truffa ai danni dello Stato. Maroni, agitando ieri le buste con i diamanti, ha mandato ai bossiani che lo contestavano il messaggio: «Attenti, che il vostro uomo è ancora sotto schiaffo». Ricorderà la manifestazione dell’anno scorso, i militanti che agitavano le scope quando Maroni diventò segretario.
• Con che argomenti adesso i bossiani contestano Maroni?
Un argomento possibile sarebbe stato quello del dimezzamento dei voti alle politiche. Ma questo dato è stato oscurato dalla vittoria in Lombardia. No, l’accusa è di non voler mollare la segreteria. I bossiani si sono presentati con immagini di Maroni a cui era stato allungato il naso, alla Pinocchio. «Aveva promesso che, se fosse diventato governatore della Lombardia, avrebbe lasciato a qualcun altro la guida del partito». È stato fortemente fischiato anche Tosi, il sindaco di Verona. Hanno dovuto alzare il volume della musica per non far sentire le contestazioni
• Bossi che ha detto?
Lui, che dopo il 2002 non tenne più nessun congresso, adesso ne vuole uno all’anno («ogni anno la base dovrà dare un giudizio sui suoi eletti. Le cariche non possono essere eterne»). Poi: «Chi dice che tutto va bene è un leccaculo». Però poi ha aggiunto: «Non ho fatto la Lega per romperla, non diamogli questa soddisfazione alla canaglia romana. Maroni sbaglia quando diche “ce ne stiamo al Nord e ce ne freghiamo di Roma”. Dobbiamo combattere su tutti i fronti, anche a Roma».
• E Maroni che ha risposto?
A parte la scena dei diamanti, ha detto: «Abbiamo una strategia che passa dalla conquista delle regioni del Nord per realizzare il nostro grande sogno: la Padania, la grande regione del nord. Dopo gli scandali siamo riusciti a recuperare, i veri diamanti della Lega sono i militanti». Poi «salvaguardia dell’ambiente senza penalizzare i nostri imprenditori, trattenere in Lombardia il 75% delle tasse» «se serve faremo la guerra a Roma». Ha illustrato la mozione che ha firmato insieme ai colleghi leghisti di Piemonte e Veneto. Al primo punto, i tre si «impegnano solennemente a rinegoziare con il Governo, entro il 31 dicembre 2013, il patto di stabilità interno, il fiscal compact e i livelli di pressione fiscale». «Diamo tempo per trattare fino al 31 dicembre e lottiamo». Eccetera. È tutta propaganda, la via per realizzare davvero un’unica regione Piemonte-Lombardia-Veneto è costituzionalmente tra le più ardue, e c’è poi il fatto politico non troppo trascurabile che, specialmente in Veneto, il consenso per il Carroccio è crollato. Il segretario non ha parlato dell’unico cruccio che lo tormenta in questo momento: evitare le elezioni, obiettivo per il quale era ed è pronto a dare, ufficialmente col consenso di Berlusconi, perfino una mano a Bersani.
(leggi)