Antonio Gnoli, la Repubblica 8/4/2013, 8 aprile 2013
UN UOMO, UNA BANCA
Prima di essere una banca di investimenti J.P. Morgan fu uno straordinario caso di antropologia finanziaria. Un uomo che morì lontano da casa, a Roma nella vasta suite del Plaza, il 31 marzo del 1913. Il secolo trascorse misurando tutto quello che John Pierpont aveva cercato di dare: una finanza imponente motivata dall’acciaio, dal petrolio e dalla velocità. Incipriata con le più raffinate iniziative culturali. Salvò l’America dal disastro finanziario. Fu mecenate e collezionista. Bernard Berenson fornì l’impronta, lo stile e, a volte, il sospetto che i suggerimenti non fossero mai interamente disinteressati. Morgan soffrì di depressione. “Dispepsia psichica” fu riportato nel referto di un medico romano. Ebbe alle spalle il Titanic (ne fu il principale finanziatore ma rinunciò all’ultimo momento al viaggio inaugurale). E non fece neppure in tempo a vedere affondare l’Europa della Prima Guerra. Morì in quell’anno in cui tutto si poteva presagire e niente si capì davvero. Chi avrebbe immaginato l’approssimarsi di quella devastazione? Un libretto di Hans Tuzzi ne ripercorre le gesta (ed. Skira). Morgan, matto da legare? Tutt’altro. Le banche prendano coscienza che Wall Street non è più quella di una volta.