8 aprile 2013
Tags : Margaret Thatcher • Thatcher
Biografia di Margaret Thatcher
(Margaret Roberts) Grantham (Gran Bretagna) 13 ottobre 1925 – Londra 8 aprile 2013. Politico. Prima donna (finora l’unica) diventata primo ministro nella storia della Gran Bretagna. Mito del liberismo mondiale, è stata alla guida del Regno Unito dal 1979 al 1990.
• «La figlia del droghiere di Grantham, cresciuta con la sorella in una casa sopra la bottega, senza bagno e senza acqua calda, nemica degli agi e degli ozi, dei vizi, studentessa (laurea in chimica a Oxford) con la passione della musica» (Fabio Cavalera, Cds 9/4/2013). Andata al governo nel 1979 dopo l’Inverno del discontento che vide la Gran Bretagna bloccata dagli scioperi, non perse tempo. Oggi va di moda dire che, nel suo primo mandato, la Thatcher non combinò molto: non molto, a parte l’immediato abbattimento dell’imposta sul reddito dal 33 al 30 per cento (e l’aliquota massima calò dall’83% al 60, e poi al 40), l’abolizione dei controlli sui cambi, lo scontro con i sindacati delle poste e della siderurgia. In più, autorizzò la vendita delle case popolari agli inquilini, che diventarono dall’oggi al domani piccoli capitalisti, secondo un progetto che aveva già chiaro in testa. E, per concludere, vinse la guerra delle Falklands contro i golpisti argentini. Certo, il prezzo fu altissimo: l’Iva passò dal 10 al 14 per cento, le liste dei disoccupati divennero interminabili, l’inflazione schizzò al 14, poi al 20 per cento. Non molte democrazie sopravvivono a sobbalzi economici simili, notava il Daily Telegraph. Ma la Gran Bretagna ha una forte fibra: la deindustrializzazione, come poi la guerra senza quartiere ai minatori di Arthur Scargill, fu politicamente audace ed economicamente giustificabile, ma socialmente devastante. Nel secondo mandato la Thatcher, ormai autorevole e autoritaria anche al tavolo del governo (di soli uomini), completò le privatizzazioni, combatté frontalmente l’Ira (ripagata con uno spaventoso attentato), s’abbandonò all’antieuropeismo. Come dimostrò la poll-tax, l’impopolare tassa su ogni suddito per il semplice fatto di esistere, stava perdendo il contatto con la realtà. Vinta una terza elezione, fu cacciata dal suo stesso partito, con un regicidio teatrale, degno di Shakespeare» [Alessio Altichieri, Cds 6/5/2004].
• Il soprannome “Iron Lady”, coniato da Krasnaja Zvezda, quotidiano delle Forze Armate sovietiche, che voleva insultarla per l’atteggiamento bellicoso manifestato inizialmente nei confronti dell’Urss. La Thatcher lo prese come un complimento. [Franceschini, Rep 10/4/2013]
• «La più famosa leader politica della Gran Bretagna. (...) Carattere forte, a volte spietato. L’ex ministro Douglas Hurd ha raccontato che un giorno per giustificare il suo siluramento nelle primarie del 1990 a favore del candidato John Major si espresse così: ”Ho dato il mio appoggio a John semplicemente perché era il migliore di una pessima nidiata” (...) Aveva un debole per il whisky. Non è mai stato un segreto (...) come la lady di ferro affrontasse i momenti più difficili della sua lunga carriera politica bevendo malto scozzese. (...) Il fatto che lei e il marito Denis amassero bere un bicchierino era ben noto ed era stato oggetto di parodie più o meno affettuose durante il lungo governo conservatore. Ma (...) la lady di ferro era capace di sorseggiare il suo amato Bell anche tutta la notte, senza andare al letto. Al mattino prendeva vitamina B12 per tornare in forma. Secondo il racconto della segretaria, utilizzava l’alcool per farsi forte durante le crisi politiche o internazionali: ”Devo bere un po’ di whisky per trovare energia” le confidò nel novembre del 1990 quando a Parigi per un vertice venne informata delle votazioni per il ballottaggio per la leadership del partito conservatore che alla fine avrebbero portato al suo allontanamento da Downing Street. (...) Il marito preferiva bere gin-tonic ma la lady di ferro aveva spiegato: ”Non si può bere gin-tonic a metà della notte. Soltanto lo schotch ti dà energia giusta”. Anche per affrontare la guerra delle Malvinas, nel 1982, ricorse al sostegno del whisky» (’La Stampa” 26/2/2003). «Venerata, detestata, paragonata a Elisabetta I e naturalmente identificata con il Principe: lord Alistair McAlpine, suo stretto collaboratore, le dedicò un saggio intitolato appunto Il nuovo Machiavelli. Dipinta come donna terribile (...) stimata da Gorbaciov e fonte d’ispirazione per Reagan, una che ha vinto la guerra delle Falkland e la tenzone contro il sindacato dei minatori. (...) Paradigma della donna-carriera, vi aveva aderito anche nel lasciare a lungo nell’ombra sia il marito che i figli, almeno fin quando, a Downing Street, un poco di famiglia era stato obbligatoriamente portato alla luce: la figlia giornalista in feroce competizione con la madre, il figlio viziato e maternamente aiutato a concludere qualche buon affare... Al punto in cui era arrivata, la Lady di ferro poteva pure concedersi qualche morbidezza, ma sempre conservando una sostanziale adesione al nuovo modello di donna da competizione, forte, autosufficiente, femminile fuori e maschile dentro. Seduttiva in quanto, di fatto, né troppo moglie nè troppo madre. (...) Nella sua biografia, ha confidato: ”Non sarei mai arrivata a Downing Street senza Denis”. Sembrò un omaggio retorico e invece era soltanto un riconoscimento. Dovevano avere un patto, quei due: “Io conto su di te, ma non lo dirò mai per difenderti dalla cattiveria del mondo”. “Io ti proteggo, ma non me ne vanterò con nessuno”. Astuti, i coniugi Thatcher, hanno mandato avanti la commedia della moglie autosufficiente, la Forza Assoluta: mai gli inglesi avrebbero accettato una first lady con qualche debolezza, figuriamoci se poi ne avesse avuto rispetto al marito miliardario. La signora Thatcher che forse non è stata mai “signora Thatcher”, non nel senso di moglie di Denis almeno, ha fatto per lui quel che poteva. Non molto, forse, ma al marito dev’essere bastato: ha incardinato il loro cognome nella storia e, venuta meno la coppia, ha cominciato a sbiadire piano piano con lei» (Maria Latella, ”Corriere della Sera” 13/9/2003). «Anche in retrospettiva, c’è qualcosa di inverosimile nell’“elezione”, alla guida del partito conservatore, di Margaret Thatcher: donna, venuta dalla piccola borghesia, radicale, priva di radici e persino di un seguito in seno al partito. Certo, era stata ministro dell’Istruzione del governo di Edward Heath, altro conservatore anomalo. Ma del periodo in cui ha ricoperto quella carica restano poche tracce, non molto notevoli e spesso bizzarre, come la decisione di abolire la distribuzione gratuita del latte agli alunni delle elementari. Anche quando, nel 1979, fu nominata primo ministro, dopo il terribile e cupo “inverno dello scontento” con i suoi continui scioperi, molti non la prendevano sul serio. C’era chi prevedeva che presto o tardi i maggiorenti del partito conservatore le avrebbero detto: “Margaret, quello che hai fatto va bene, ma ora faresti meglio a lasciare il posto a un premier più esperto e in sintonia con il partito”. Invece fu lei a scaricare i maggiorenti, uno dopo l’altro, per circondarsi di giovani di bella presenza, peraltro non meno inesperti di lei; e consolidò il suo governo, divenuto quasi un regime. La guerra delle Falkland, che aveva contribuito a farle ottenere, nel 1983, il suo secondo mandato, è un esempio molto eloquente del suo stile. Nel suo intimo coltivava una visione della Gran Bretagna che si può solo definire un-English, ossia del tutto estranea alla mentalità inglese. Aveva indiscutibilmente il gusto delle decisioni dure. E in questo era guidata dalla nozione - se non addirittura dalla visione - di una Gran Bretagna che doveva affermarsi nel mondo con tutto il suo peso (e magari qualcosa in più), e attingere la sua forza da una cultura dominata dal mondo degli affari. Voleva che il paese tagliasse i ponti con il moderato corporativismo del passato recente, e con uno stato sociale sostenuto da tasse elevate e gestito da politici e sindacalisti che si riunivano al numero 10 di Downing Street mangiando panini e bevendo birra. (...). (Ralf Dahrendorf, la Repubblica 8/2/2005).
• Margaret Thatcher ha avuto una formazione scientifica: è laureata in chimica; solo in un secondo tempo ha conseguito la laurea in legge, con il tradizionale procedimento inglese basato essenzialmente sull’esperienza pratica. Ora, gli scienziati hanno tendenza a credere che per ogni cosa esista una sola risposta giusta; e lei era sicuramente convinta di conoscerla. Le manca il senso della storia; e sotto quest’aspetto ha inaugurato una tradizione infausta, portata avanti, oltre che dal suo successore immediato, soprattutto da Tony Blair. Il suo stile e la sua impostazione mentale denotavano innanzitutto lo scarso (o inesistente) rispetto per le istituzioni tradizionali. (E in questo senso Tony Blair non è molto diverso da lei). Di fatto, considerava la maggior parte delle istituzioni britanniche soltanto come ostacoli a quell’individualismo spietato in cui trovava la sua motivazione. Le università, la Bbc e gli enti locali, così come il mondo giuridico e la maggior parte delle altre professioni portano ancora le cicatrici di un decennio di thatcherismo. Ma fin dall’inizio i suoi fulmini erano diretti in particolare contro i sindacati, che non riusciranno mai a riprendersi dai suoi attacchi. Nel caso dell’Unione dei minatori, guidata da Arthur Scargill, si trattò di vere e proprie battaglie combattute per le strade, in cui il governo Thatcher si accanì senza tregua finché riuscì a vincere. C’è da chiedersi se senza il precedente di un premier come Margaret Thatcher, i suoi successori, e soprattutto Tony Blair, sarebbero riusciti a mettere così efficacemente in discussione le istituzioni costituzionali - la Camera dei Lord, la Corte suprema, la stessa Camera dei Comuni, e forse tra non molto persino la monarchia. E soprattutto, è probabile che le resistenze sarebbero state meno fiacche se a suo tempo Margaret Thatcher non avesse messo a nudo la fragilità delle tanto celebrate istituzioni britanniche. (...) Incurante delle tradizioni, riteneva che l’eccellenza avrebbe continuato a prodursi spontaneamente, anche senza il sostegno pubblico. Quanto alla libertà, intesa come vita autonoma delle istituzioni, ai suoi occhi rappresentava un ostacolo al successo. La solidarietà era per lei un’economia con molte tasse, lasciata alla gestione dei sindacati. Dopo il passaggio di Margaret Thatcher, la trasmissione On Britain avrebbe dovuto raccontare una realtà completamente diversa: discontinuità in nome della modernizzazione, livellamento in stile continentale verso un centrismo non meglio definito, privatizzazione delle istituzioni autonome in parallelo con un governo più forte e accentrato, e infine concorrenza spietata tra individui, non solo nel mondo degli affari ma ovunque. Così Margaret Thatcher ha cambiato la cultura britannica. stato un bene per il paese? Certo, i suoi buoni risultati economici devono molto alla rivoluzione thatcheriana. (...)» (Ralf Dahrendorf, la Repubblica 8/2/2005).
• «François Mitterrand paragonò gli occhi di Margaret Thatcher a quelli di Caligola, ma si guadagnò la sua riconoscenza quando disse che le labbra erano sexy come quelle di Marilyn Monroe. L’ex ministro laburista Wodrow Wyatt disse che le gambe erano come quelle di Marlene Dietrich. Per Alan Clark, ministro playboy, le caviglie di Maggie erano talmente irresistibili da essere richiamato all’ordine dallo Speaker durante una seduta parlamentare, perché aveva interrotto il suo intervento sulla politica interna, affascinato al punto da essere senza parole per la perfezione di quelle della first lady. Alla signora Thatcher è sempre piaciuto essere ammirata per le qualità fisiche femminili. [...] Ha affrontato le sfide le più drammatiche come quelle del terrorismo, della guerra delle Falkland e lo scontro con il potente sindacato dei minatori, ma ha sempre trovato il tempo per le boutique, le sarte e le parrucchiere. Parlare di moda è ancora oggi uno dei suoi hobby preferiti. Il suo stile era sempre regale. Non per nulla i rapporti con Elisabetta non sono stati mai facili. Maggie forse non si rendeva conto di urtare la sensibilità della sovrana. Dopo il trionfo delle Falkland, per esempio, gli uomini della Royal Navy sono passati in rassegna dinanzi a lei presentandole le armi nel royal salute. Le due superdonne al funerale di lord Mountbatten, assassinato dai terroristi irlandesi, non avrebbero potuto essere più diverse. La regina indossava un vestitino nero e un cappellino minuscolo dello stesso colore con una veletta. Margaret invece era in elegantissime gramaglie e portava un cappello gigantesco. Sembrava che fosse lei ad avere perduto lo zio. Eppure la first lady ha un coraggio da leonessa. (...)» [Paolo Filo della Torre, la Repubblica 8/2/2005].
• Il commento di Sergio Romano sul Cds: «Nel partito conservatore Margaret Thatcher fu sempre un’irregolare. Non apparteneva alla fascia alta della società britannica, non aveva frequentato le grandi scuole, non aveva i gusti, i tic e le civetterie linguistiche di quel ceto sociale che gli inglesi chiamano establishment. E non era, soprattutto, “conservatrice”. (…) Non andava d’accordo con Elisabetta II, probabilmente, perché la regina, con il suo impeccabile sussiego, era esattamente l’opposto della prima Elisabetta. Non era meno nazionalista dei suoi colleghi di partito, ma il suo patriottismo era popolare, se non addirittura populista. (…) Il suo programma economico, quando entrò a Downing Street nel 1979, fu quello spregiudicatamente liberista di Milton Friedman, principe degli economisti dell’Università di Chicago. Tagliò drasticamente la spesa pubblica. Dopo una lunga battaglia con un sindacalista trozkista, Arthur Skargill, che era caratterialmente il suo gemello di sinistra, chiuse le miniere di carbone divenute ormai, nell’era degli idrocarburi e dell’atomo, relitti di archeologia industriale. Insieme alla guerra delle Falkland, vinta nel 1982, quella delle miniere le garantì un secondo successo elettorale nel 1983». [Sergio Romano sul Cds 9/4/2013]
• «(...) Non appena i Tories ebbero scaricato Thatcher, i suoi denigratori iniziarono una battaglia mirante a infangarne il nome e a scrivere nei libri di storia la sua caricatura. Persino nel corso dei suoi stessi mandati – dicevano – era stata un fallimento, e si potrebbe quasi essere tentati di concordare con molto di quello che dicono. Il thatcherismo prima di qualsiasi altra cosa doveva essere una dottrina per migliorare e liberalizzare l’economia, anche se le nude cifre non sono così impressionanti (...) Negli anni ’80 i tassi inglesi di crescita toccarono mediamente il 2,1 per cento, a fronte del 2,3 per cento del periodo 1951-1964, e del 2,6 per cento del periodo compreso tra il 1964 e il 1973. La disoccupazione aumentò vertiginosamente. Anche l’inflazione fu più elevata di quanto ci piaccia ricordare, con una media del 5,8 per cento – persino superiore a quella dei denigrati anni ’70. Si supponeva che Thatcher dovesse essere simile a De Gaulle, in quanto aveva un’idea super-patriottica del suo paese d’origine. La considerazione thatcheriana di un’Inghilterra protagonista del mondo, una nazione con la quale non si scherzava, fu esemplificata dai suoi memorabili istrionismi nella Ue. Colpiva a borsettate gli altri leader europei con una fiera indignazione tutta femminile e provocava vere e proprie estasi di devozione sentimentale nei suoi sostenitori. Al tempo stesso si rese conto che era essenziale allargare al massimo l’influenza inglese coltivando Washington e in particolare le relazioni con Reagan. Ciò nonostante, alla fine del suo mandato, le sue posizioni riguardanti tanto l’Europa quanto l’America apparivano sorpassate e imbarazzanti. Con la fine della Guerra Fredda si trovò ad aggrapparsi a ipotesi che persino gli americani avevano liquidato. Fu inorridita da come Reagan arrivò quasi a vendersi a Reykjavik; si oppose strenuamente all’unificazione della Germania e fu riluttante a procedere con la riduzione degli arsenali, anche quando erano stati pattuiti tra Mosca e Washington, perché questo avrebbe potuto diminuire il ruolo di intermediario dell’Inghilterra. Per quanto riguarda le sue battaglie con Bruxelles, avrebbe potuto trionfare a Fontainebleu, e far ottenere agli inglesi un ribasso, ma alla fine i suoi avversari europei ebbero la meglio, specificatamente il governo italiano di Giulio Andreotti. La più cinica di tutte le notorie azioni di quell’uomo fu sicuramente l’imboscata che egli le tese al summit di Roma del 28 ottobre 1990, che innescò il suo crollo politico. Malgrado ciò, al termine del suo periodo in carica, si poteva affermare che i suoi scettici denigratori da un certo punto di vista avessero avuto ragione. C’era qualcosa di disfattista nella visione del Foreign Office secondo cui l’Inghilterra è costretta da grandi necessità geopolitiche a essere dipendente dall’America e a dover fare compromessi con Bruxelles. Tuttavia, ciò equivaleva a non cogliere il coraggio e la positività del revival thatcheriano. [...] Indipendentemente da quello che le statistiche paiono suggerire, lei cambiò decisamente in meglio i presupposti stessi dell’economia inglese, con modalità che è stato difficile per i Labour revocare. Rimise in piedi il settore energetico e le imprese. Emancipò milioni di persone che furono libere di acquistare proprietà e azioni e di prendere parte a una democrazia capitalista. Seppe tenere a bada i sindacati. Vinse una guerra distante migliaia di chilometri, rivendicando il principio della sovranità nazionale. Fu coraggiosa e spesso ebbe ragione. Più di ogni altra cosa, nei ceti più alti della nomenklatura inglese lei seppe cambiare il concetto stesso di quello che voleva dire essere inglesi. Essere inglesi, dopo Thatcher, non significava più essere rassegnati al declino. Lei cambiò la consapevolezza di quello che la gente poteva fare e conseguire nella propria vita, di quello che il loro paese poteva fare e conseguire. (...)» [Boris Johnson, la Repubblica 8/2/2005].
• Morta a 87 anni, nell’appartamento del Ritz dove alloggiava per un ictus.
• «(...) Non appena i Tories ebbero scaricato Thatcher, i suoi denigratori iniziarono una battaglia mirante a infangarne il nome e a scrivere nei libri di storia la sua caricatura. Persino nel corso dei suoi stessi mandati – dicevano – era stata un fallimento, e si potrebbe quasi essere tentati di concordare con molto di quello che dicono. Il thatcherismo prima di qualsiasi altra cosa doveva essere una dottrina per migliorare e liberalizzare l’economia, anche se le nude cifre non sono così impressionanti (...) Negli anni ’80 i tassi inglesi di crescita toccarono mediamente il 2,1 per cento, a fronte del 2,3 per cento del periodo 1951-1964, e del 2,6 per cento del periodo compreso tra il 1964 e il 1973. La disoccupazione aumentò vertiginosamente. Anche l’inflazione fu più elevata di quanto ci piaccia ricordare, con una media del 5,8 per cento – persino superiore a quella dei denigrati anni ’70. Si supponeva che Thatcher dovesse essere simile a De Gaulle, in quanto aveva un’idea super-patriottica del suo paese d’origine. La considerazione thatcheriana di un’Inghilterra protagonista del mondo, una nazione con la quale non si scherzava, fu esemplificata dai suoi memorabili istrionismi nella Ue. Colpiva a borsettate gli altri leader europei con una fiera indignazione tutta femminile e provocava vere e proprie estasi di devozione sentimentale nei suoi sostenitori. Al tempo stesso si rese conto che era essenziale allargare al massimo l’influenza inglese coltivando Washington e in particolare le relazioni con Reagan. Ciò nonostante, alla fine del suo mandato, le sue posizioni riguardanti tanto l’Europa quanto l’America apparivano sorpassate e imbarazzanti. Con la fine della Guerra Fredda si trovò ad aggrapparsi a ipotesi che persino gli americani avevano liquidato. Fu inorridita da come Reagan arrivò quasi a vendersi a Reykjavik; si oppose strenuamente all’unificazione della Germania e fu riluttante a procedere con la riduzione degli arsenali, anche quando erano stati pattuiti tra Mosca e Washington, perché questo avrebbe potuto diminuire il ruolo di intermediario dell’Inghilterra. Per quanto riguarda le sue battaglie con Bruxelles, avrebbe potuto trionfare a Fontainebleu, e far ottenere agli inglesi un ribasso, ma alla fine i suoi avversari europei ebbero la meglio, specificatamente il governo italiano di Giulio Andreotti. La più cinica di tutte le notorie azioni di quell’uomo fu sicuramente l’imboscata che egli le tese al summit di Roma del 28 ottobre 1990, che innescò il suo crollo politico. Malgrado ciò, al termine del suo periodo in carica, si poteva affermare che i suoi scettici denigratori da un certo punto di vista avessero avuto ragione. C’era qualcosa di disfattista nella visione del Foreign Office secondo cui l’Inghilterra è costretta da grandi necessità geopolitiche a essere dipendente dall’America e a dover fare compromessi con Bruxelles. Tuttavia, ciò equivaleva a non cogliere il coraggio e la positività del revival thatcheriano. [...] Indipendentemente da quello che le statistiche paiono suggerire, lei cambiò decisamente in meglio i presupposti stessi dell’economia inglese, con modalità che è stato difficile per i Labour revocare. Rimise in piedi il settore energetico e le imprese. Emancipò milioni di persone che furono libere di acquistare proprietà e azioni e di prendere parte a una democrazia capitalista. Seppe tenere a bada i sindacati. Vinse una guerra distante migliaia di chilometri, rivendicando il principio della sovranità nazionale. Fu coraggiosa e spesso ebbe ragione. Più di ogni altra cosa, nei ceti più alti della nomenklatura inglese lei seppe cambiare il concetto stesso di quello che voleva dire essere inglesi. Essere inglesi, dopo Thatcher, non significava più essere rassegnati al declino. Lei cambiò la consapevolezza di quello che la gente poteva fare e conseguire nella propria vita, di quello che il loro paese poteva fare e conseguire. (...)» [Boris Johnson, la Repubblica 8/2/2005].
• Morta a 87 anni, nell’appartamento del Ritz dove alloggiava per un ictus.