Sergio Miravalle, La Stampa 8/4/2013, 8 aprile 2013
DOPO 91 VENDEMMIE ADDIO A BIONDI SANTI SIGNORE DEL BRUNELLO
La vita di Franco Biondi Santi si è fermata a 91 vendemmie. Lui gli anni li contava così, stagione dopo stagione, senza fretta: «Il tempo è un grande alleato e bisogna saperlo rispettare nella vita e nelle vite, senza prendere scorciatoie».
Parola dell’ultimo dei grandi patriarchi del vino italiano, che ha attraversato il Novecento e si è affacciato al nuovo millennio con la stessa tenace regola: fare le cose ben fatte. E la «cosa» che sapeva fare meglio Franco Biondi Santi era il suo vino, quel Brunello figlio dei 25 ettari di vigne della tenuta Il Greppo. Era la casa di famiglia, austera ed elegante come sanno essere le dimore dell’antica nobiltà agreste toscana, un lungo viale di cipressi e in fondo la cantina seminascosta.
È al Greppo che nonno Ferruccio, dopo aver seguito Garibaldi nella Terza Guerra d’indipendenza del 1866, tornò a coltivar le vigne lasciando agli eredi il fucile ad avancarica delle sue battaglie risorgimentali e la formula del Brunello. Si era intorno al 1870, e nelle vigne dei Biondi Santi dopo aver selezionato un particolare clone di Sangiovese e averlo vinificato in purezza, produssero quel vino rosso intenso, corposo, finissimo di gusto. Nel 1888 fondò la cantina e fu Tancredi, figlio di Ferruccio e padre di Franco, a redigere le prime regole di produzione e a vedersi riconoscere nel 1934 del ministero il ruolo di «inventore del Brunello».
Introdusse la pratica della «ricolmatura» delle vecchie riserve: in quegli anni già vendeva all’estero le sue bottiglie, avvolte nella paglia e spedite dal porto di Livorno. Franco nel frattempo era un giovane studente di Agraria a Firenze. Alto, elegante. Fu chiamato alle armi come ufficiale, ma dopo l’8 settembre tornò a casa, come tanti, senza più ordini.
Mezzo secolo dopo gli si inumidivano ancora gli occhi chiari e limpidi, nel ricordo del padre che lo aspettava per riabbracciarlo lungo quel viale di cipressi. Poi vennero gli americani e le agognate sigarette bionde ottenute in cambio di galline che il giovane Franco razziava dal pollaio. «Il vino non si scambiava, quello bisognava venderlo».
Nel 1955, la sua prima vendemmia da solo, come responsabile dell’azienda. Una grandissima annata che ancora oggi «mormora» nella cantine accanto alle altre annate riserva, regolarmente ricolmate e ritappate. «Dai noi - spiegava con pazienza a chi gli chiedeva il segreto del Brunello – per far nascere una riserva passano almeno 31 anni. Non abbiamo fretta». Il calcolo è presto fatto. Le vigne per dare una riserva devono avere almeno 25 anni e poi ne servono altri sei di affinamento minimo tra botti e bottiglia. Ecco i 31 anni.
Il tempo. Franco Biondi lo raccontava lieve. Faceva vivere nei suoi ricordi l’incontro con il presidente della Repubblica, il piemontese Giuseppe Saragat che al Quirinale, mormoravano ironici i suoi nemici politici, faceva ogni mattina «l’alzabarbera».
Ma fu proprio Saragat a volere il vino italiano come ambasciatore di cultura. Nel 1969 il cerimoniale del Quirinale scelse il Brunello Biondi Santi per il pranzo ufficiale con la regina Elisabetta II. «Me lo pagarono 1960 lire a bottiglia. Allora un Chianti non valeva più di cento». Una bella pubblicità. E vennero i servizi giornalistici e la prima televisione con Mario Soldati amico curioso e Gino Veronelli promotore della colmatura delle riserve 1888 e 1891, con la stessa passione di un archeologo che scopre la tomba di un faraone. Quella sua prima annata di Brunello di Montalcino Riserva 1955 è stata inserita dalla rivista americana «Wine Spectator» tra i 12 migliori vini del Novecento.
Tutt’attorno il mondo è cambiato. Anche a Montalcino. Dopo i grandi investimenti anche stranieri le vigne sono passate da 60 a 2200 ettari in trent’anni. C’è chi ha imboccato le famose scorciatoie e qualche anno fa i nodi del Sangiovese in purezza sono venuti al pettine, con uno scandalo commerciale che si è lentamente riassorbito. Franco Biondi Santi è rimasto fino all’ultimo un punto di riferimento della tradizione. Senza spocchia e alterigia.
Ieri al Vinitaly lo hanno ricordato in tanti, passando dallo stand dell’azienda condotta dal figlio Jacopo. Alzare un calice di Brunello in suo onore non è stato irriverente.