Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  aprile 08 Lunedì calendario

RIPARTE LA FUGA DI CAPITALI CRISI E SFIDUCIA FANNO SPARIRE 700 MILIARDI DI RICCHEZZA


Oltre 170 miliardi in azioni svaniti nel nulla. Assieme a 300 miliardi di deprezzatissime obbligazioni bancarie, 130 di Bot e Btp e un gruzzolo – una decina di miliardi, noccioline – di corporate bond. La crisi dei debiti sovrani ha cambiato il volto (e soprattutto il valore) del portafoglio degli italiani. Lasciando in eredità il giallo – per ora più misterioso del terzo segreto di Fatima – del grande buco da quasi 700 miliardi. A giugno 2010, quando lo spread viaggiava nell’Eden di quota 130 e il Mibtel valeva il 40% più di oggi, nelle casseforti delle famiglie tricolori erano custoditi titoli finanziari per 1.821 miliardi di euro, affidati in custodia agli intermediari di casa nostra. In poco più di due anni questa montagna d’oro, travolta dai capricci del differenziale Btp-Bund e dagli scricchiolii dell’euro, è stata vittima di una dieta più drastica della Dukan. E a settembre 2012, certifica l’ultimo Bollettino statistico della Consob, nelle tasche dei risparmiatori tricolori erano rimasti “solo” 1.151 miliardi. Un lento stillicidio accelerato da fine 2011, visto che nei nove mesi successivi sono svaniti nel nulla (senza spiegazioni davvero convincenti del tutto) 1,2 miliardi di risparmi del Belpaese al giorno. Conto finale: una voragine da 670 miliardi, cifra che da sola basterebbe a cancellare quasi un terzo del nostro debito pubblico.
Un buco senza padrini
Dove sono finiti questi soldi? Gli uffici della Consob – che elabora le statistiche grazie alle rilevazioni dirette rese obbligatorie dalla Mifid – stanno lavorando per provare a capire cos’è successo. Una parte, anche robusta, del calo ha una ragione semplice: il crollo del valore di questi titoli. Piazza Affari, per dire, ha bruciato da giugno 2010 a settembre 2012 poco più di 110 miliardi del suo valore. Cifra che però non basta da sola a spiegare come mai il valore delle azioni italiane parcheggiate nei conti degli investitori della penisola è crollato nello stesso periodo da 277 a 100 miliardi. Stesso discorso per i bond bancari. Le performance delle obbligazioni creditizie e dei titoli di stato negli ultimi tempi, la crisi dell’euro non è indolore, non sono state certo brillanti. Ma anche in questo caso la loro débacle non giustifica i 380 miliardi bruciati dal tesoretto delle “formiche” tricolori.
La certezza, dati alla mano, è solo una. I soldi usciti dagli investimenti in strumenti finanziari dei risparmiatori non sono finiti – se non in minima parte – nei conti correnti. Carta canta: a fine 2011 i depositi di liquidità degli italiani in banca erano pari a 1.112 miliardi di euro. Oggi (dati di fine febbraio 2013) erano 1.195, 78 miliardi in più. I 670 miliardi svaniti nel nulla, insomma, non hanno traslocato qui e vanno cercati altrove.
Il costo della crisi
Dove? La prima risposta, probabilmente quella che spiega una bella fetta dei soldi che mancano all’appello, è semplice: nel buco nero che ha travolto dall’inizio della crisi dei debiti sovrani i bilanci delle famiglie italiane. Il potere d’acquisto è crollato, il pil 2012 è scivolato del 2,4%, la disoccupazione è salita in un anno (tra febbraio 2012 e lo stesso mese del 2013) dal 9,9% all’11,6% con il dato per i giovani tra i 15 e i 24 anni schizzato alla stratosferica quota del 37.8%. Il Belpaese, ovviamente ha provato a tirare la cinghia: i consumi sono calati del 4,7% nel 2012, il dato peggiore nel Dopoguerra, tornando ai livelli del 2004 con i tagli di spesa più forti, certifica l’Istat, concentrati nelle spese per il vestiario e le calzature (-10,2%) e su quella per i trasporti (-8,55). Molto spesso però i sacrifici da soli non sono bastati a far quadrare i conti di casa, anche perché l’impennata della pressione fiscale, arrivata causa crisi dei conti pubblici al 45,3% del pil, ha spesso finito per vanificare questi sforzi. Risultato: per pagare l’università dei figli, la rata del mutuo, o a volte persino la cena, gli italiani sono stati costretti a mettere mano ai risparmi conservati proprio per far fronte alle emergenze, vendendo titoli e azioni nella speranza che il vento giri prima possibile. Nei conti delle famiglie resta ancora un cuscinetto di sicurezza di oltre mille miliardi di euro di titoli («voi italiani siete i più ricchi d’Europa », ripete spesso sibillina la Bundesbank) ma le crepe nei salvadanai della penisola sono sempre più evidenti visto che tra gennaio 2010 e gennaio 2013 le sofferenze bancarie sono cresciute da 91 a 126 miliardi, segno che sempre più italiani faticano a pagare la rata del mutuo o il prestito per l’auto.
La grande fuga
Il “buco” nei portafogli tricolori ha però con ogni probabilità un’altra spiegazione molto meno prosaica: anche robusta, del calo ha una ragione semplice: il crollo del valore di questi titoli o – ancora di più dopo il rocambolesco salvataggio di Cipro – per paura di blitz di uno Stato a caccia di prestiti forzosi – nessuno ha dimenticato l’imboscata notturna sui conti correnti del ’92 – sulla liquidità custodita in banca. Dati e certezze, come sempre in questi casi, non ce ne sono. Ma basta fare due telefonate tra gli intermediari finanziari per rendersi conto – anche se tutti parlano in camera caritatis, che in molti hanno provveduto negli ultimi anni, e continuano a farlo ora, a trasferire i loro tesoretti il più possibile lontano dagli occhi voraci del fisco.
Nel campo noi italiani siamo talenti. L’ultimo scudo fiscale del 2009 ha riportato da solo nei patrii confini 104 miliardi esportati alla chetichella verso la Svizzera e altri paradisi offshore. E la crisi dei debiti sovrani condita con annessa raffica di manovre Salva-Italia ha con ogni probabilità riattivato l’export clandestino di valuta. Qualche segnale empirico, in fondo, c’è: le cosiddette “tasse sul lusso” approvate dal governo Monti mettendo nel mirino yacht, Suv e supercar, aerei ed elicotteri sono state un mezzo flop. Fatta la legge, è stato subito trovato l’inganno. Molte barche hanno cambiato bandiera emigrando nei porti di Francia e Croazia. Diverse quattroruote sopra i 170 cavalli fiscali – limite oltre il quale scattava la maxi-imposizione – sono state “disimmatricolate” dalla sera alla mattina dal pubblico registro tricolore per rispuntare con una nuova carta d’identità tra le proprietà di misteriose (e non tassabili) società di servizi tedesche o austriache.
Niente di più probabile che qualcosa di simile sia successo con i soldi investiti dalle famiglie della penisola in strumenti finanziari. L’occhio del grande fratello del fisco, specie in un momento in cui si cerca di spostare il carico erariale dal reddito ai patrimoni, non può non cadere prima o poi su un maxi-tesoro pari a 1.800 miliardi. E qualcuno, la tentazione in Italia è sempre forte, ha con ogni probabilità liquidato (o trasferito) le sue posizioni per metterle al sicuro. Un processo che rischia di accelerare ora che la Ue, per rimettere in sesto i conti di Cipro, ha deciso una maxi tassazione sui conti correnti superiori ai 100mila euro delle due principali banche del paese. «Nicosia non è un caso da replicare ma un’eccezione », ha detto Mario Draghi. Ma fidarsi è bene, non fidarsi è meglio hanno pensato in tanti. E il mistero del buco da 670 miliardi, al di là del crollo dei valori e dell’effetto-crisi, si spiega forse anche così.