Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
L’operazione Fiat-Chrysler si sta allargando verso l’Europa e potrebbe includere l’acquisizione di Opel. Il settimanale tedesco Spiegel dice che Fiat comprerà la Opel martedì prossimo, o, meglio, la avrà in regalo, dato che la General Motors (che chiuderà temporaneamente 13 fabbriche e taglierà la produzione di 190 mila veicoli) è disposta a cederla gratis a chi è pronto a fare investimenti. Marchionne, che in questo istante sta in America, ai giornalisti che lo assediavano ha detto: «La Opel può essere una buona opportunità, ma non abbiamo niente da annunciare, non c’è nulla di deciso, non c’è nessun colloquio diretto».
• E allora: vero o falso?
Quella di Marchionne, senza essere una conferma, non è però neanche una smentita. Si può fare il paragone con la smentita dell’altro giorno: il capo della Fim-Cisl, Bruno Vitali, chiamato a Detroit per discutere con i colleghi del sindacato americano (la United Auto Workers), al termine della riunione ha rilasciato questa dichiarazione, relativa alla trattativa con Chrysler: «Ci siamo al 90%. L’accordo potrebbe essere definito nel pomeriggio. Poi Marchionne potrebbe presentarlo al consiglio Fiat». Apriti cielo! Vitali s’era spinto troppo in là e dichiarazioni come questa possono far saltare tutto. Il vertice del Lingotto s’è precipitato a dettare alle agenzie una smentita assoluta: «Non corrisponde al vero che sia stata raggiunta un’intesa tra Chrysler e i sindacati statunitensi e canadesi, nè che l’accordo sia definito al 90%». Paragoni queste parole alla risposta data da Marchionne ai giornalisti ieri sulla Opel. Non vede una certa differenza?
• Già. Quindi potremmo dire che ci siamo?
No, non ancora. Non possiamo ancora dire che «ci siamo» né per quanto riguarda la Chrysler né per quanto riguarda la Opel. Sulla Chrysler, Marchionne ha fatto diramare ieri sera un comunicato in cui si dice che «la trattativa è ancora totalmente aperta e non è possibile prevedere la tempistica e l’esito finale ». Il New York Times poi scrive che il Tesoro sta preparando il fallimento di Chrysler ( Chapter 11) da far scattare il 1˚ maggio: finanzierebbe lo stesso l’operazione con Fiat, garantirebbe ai dipendenti le pensioni e gli altri ammortizzatori sociali, ma terrebbe sotto pressione, in questo modo, le banche che nella procedura fallimentare non potrebbero pretendere neanche un dollaro (il Chapter 11 serve proprio per proteggere le aziende in crisi dai creditori). I creditori di Chrysler sono una cinquantina, li capeggia JP Morgan Chase. Devono avere da Chrysler circa 7 miliardi. Marchionne e la Casa Bianca (che procedono di concerto) avevano chiesto di accontentarsi di un miliardo, le banche hanno fatto sapere di volere 4 miliardi e mezzo e il 40% della società, il governo Usa ha controfferto un miliardo e mezzo e il 5% delle azioni. Ieri il governatore del Michigan, Jennifer Granholm, un’affascinante signora bionda, ha spedito alle banche una lettera in cui le invita a fare la loro parte «per evitare la devastazione che seguirebbe la bancarotta o la liquidazione di Chrysler». Le banche, con la reputazione che si ritrovano in questo momento, non hanno la forza politica per resistere più di tanto. E perciò cederanno.
• E la storia di Opel?
Spiegel l’ha scritta, ma se ne parla da tempo. Opel, benché abbia ottenuto un bell’incremento di vendite dopo la legge sulla rottamazione varata dalla Merkel (i tedeschi con gli aiuti sono partiti prima di noi), ha avuto ancora bisogno di un aiuto pubblico per 1,8 miliardi di euro. A metà marzo sembrava che la soluzione più probabile ai problemi dell’azienda – che è una controllata General Motors – sarebbe stata l’acquisto da parte dello Stato. Ma il 31 marzo la Merkel ha incontrato i dipendenti nella sala K18 del modernissimo stabilimento di Rüsselsheim e ha annunciato che l’intervento pubblico era da escludere: ci voleva un partner privato. Non ha fatto nomi, ma il capo dei sindacati, Klaus Franz, ha fatto subito sapere che la soluzione meno desiderata sarebbe stata proprio quella della Fiat. Ieri, dopo le indiscrezioni dello Spiegel, Franz l’ha detta chiara: «La Fiat no».
• Perché?
Le due aziende sono molto simili e già adesso nelle loro automobili ci sono molte componenti in comune (per esempio, Fiat Punto e Opel Corsa hanno lo stesso pianale). Significa che l’arrivo degli italiani provocherà un taglio consistente di posti di lavoro, viste le grandi sovrapposizioni tra le due fabbriche. Del resto con le sue richieste al sindacato americano, Marchionne ha già fatto vedere di voler tagliare implacabilmente i costi. E «costi» in questo caso vuol dire soprattutto «costi del lavoro». La Opel ha tremila dipendenti.
• E la Merkel è d’accordo che entri Fiat?
La Merkel vuole Fiat. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 24/4/2009]
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