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 2009  aprile 24 Venerdì calendario

CHERCHEZ LA FEMME


Georges Simenon è stato il mio primo amore. lo avevo diciannove anni, lui diciassette... è stato un amore molto breve e puro perché non ho fatto parte delle "diecimila". Invece aveva fatto per me delle rime dicendo che non ne avrebbe fatte mai più nessuno. Ho ricevuto da lui la mia prima lettera d’amore», confessava un’oscura ottantenne di Liegi, la città natale dello scrittore a giornalista, René Henoumont. Delle diecimila donne con cui era andato a letto, almeno ottomila, confessò a Fellini, erano prostitute, «molto più franche, dirette e disinteressate delle donne dell’alta società». Il sesso sostituiva per Simenon (1903-1989) la comprensione. «Provavo una vera e propria sofferenza all’idea sapere che esistevano milioni di donne che non avrei conosciuto». Il sesso per lui era come il tatto per un cieco: l’unica maniera di giungere un mondo che gli sfuggiva. Anche perché, si diceva, forse non c’era nulla da capire, forse le donne erano solo riflessi del desiderio maschile.
D’altronde il primo incontro di Simenon con le donne non era stato confortante. La madre gli aveva sempre preferito il fratello Christian. La vita, diceva, «è fatta male: dei miei due figli è Georges che ha avuto la gloria, ma era Christian che aveva il genio... peccato che sia morto Christian!». Tutta la vita di Simenon fu un tentativo di smentire la scarsa stima materna. L’iniziazione sessuale fu più subìta che scelta dal dodicenne Simenon. Una precoce quindicenne lo aveva praticamente violentato tra i cespugli. Appena il ragazzo tentava di liberarsi, lei gli mordeva a sangue le labbra. Georges si sentiva girare la testa. Era tutto troppo violento e, se fosse durato un attimo di più, lui sarebbe impazzito. Quando fu finito, scoppiò a piangere, nascondendo la testa nel seno della fanciulla che, sorridendo, gli disse: «Sei un bambino, vero? Il mio bambino, tutto mio!».
A quei due choc aveva reagito sposando donne sottomesse e moltiplicando i rapidi incontri sessuali. La prima moglie, Régine, detta Tigy, aveva due anni più di lui e faceva la pittrice. «Non sapevo quanto avessi bisogno del tuo corpo, di carezzare i tuoi seni». Ma non sapeva nemmeno quanto poco la ragazza apprezzasse il sesso, Simenon era geloso di lei, ma non sopportava la sua gelosia. Seduceva regolarmente le modelle della consorte, ma evitava con cura le relazioni.
«Ci sono donne con cui non si può fare all’amore senza poi esserne inseguiti». Ricorreva quindi a raffinati bordelli o alle avvenenti entraineuses del Café de la Paix. Aveva una strana idea della discrezione: una volta, avendo sorpreso la moglie di un amico ballare nuda in una casa d’appuntamenti, se l’era fatta mandare in camera, per non "farle venire dei complessi".
L’unica eccezione alla regola di Simenon fu la lunga relazione con Joséphine Baker, sedotta quando era ancora una sconosciuta ballerina della Revue Nègre. «Ci innamorammo follemente, fu un vero colpo di fulmine». Joséphine si comportava con la stessa libertà che la faceva ballare nuda. Georges le rimase legato per qualche anno, senza che la moglie, per cui Joséphíne era solo una cara amica, subodorasse nulla. Rinunciò a lei, dopo qualche tentennamento, solo perché temeva di diventare il signor Baker. «Essere il marito o l’amante di una donna famosa e non essere nessuno non sarebbe la peggiore tortura per l’orgoglio di un uomo?».
Si rifugiò con la paziente Tigy sull’isola d’Aix, di fronte a La Rochelle, per cercare di dimenticarla. Sì rincontrarono solo trent’anni dopo a New York, «sempre innamoratissirni l’uno dell’altra», sostiene Simenon. Lei si comportò come se il tempo non fosse passato. Sgranò gli occhi scuri e chiese: «Georges! Perché mi hai abbandonato?».
Georges non aveva dubbi sui ruoli dei coniugi nel matrimonio. «La donna deve essere solo un riflesso del marito e sacrificare la propria personalità alla sua». Quello che non diceva era che, oltre alla moglie e alle centinaia di altre che aveva posseduto, aveva sempre l’inseparabile cuoca Boule, una bionda pienotta pronta a nutrirlo e a soddisfare discretamente altri bisogni. Quando li aveva sorpresi, Tigy aveva intimato al fedifrago di licenziarla, ma, quando lui aveva obiettato che in tal caso ad andarsene sarebbe stata lei, aveva accettato a malincuore la situazione. Per vent’anni Boule sarebbe rimasta al fianco di quello che chiamava il suo "bel padroncino".
La seconda moglie, la canadese Denise, fu devota e instabile. L’aveva assunta come segretaria a New York. Quando lei si era presentata per la prima volta, lui le aveva risposto con durezza: «E allora?». Ma poi l’aveva coperta di scuse e l’aveva invitata in un celebre ristorante. Ma Georges non arrivava mai. Denise, dopo avere cercato conforto in due cocktail, avrebbe voluto andarsene ma, avendo dimenticato il portafoglio, aveva dovuto aspettarlo. Era stato impossibile resistere al fascino eccezionale e al calore che si avvertiva dietro i modi bruschi di quello strano uomo. «L’ho conosciuto alle 14,45 al Brussel’s. L’ho rivisto alle 16,45 all’Hotel Drake. Alle 19 facevamo all’amore».
Da allora lo avevano fatto tre volte al giorno - prima di colazione, dopo la siesta e prima di andare a dormire - ma a Georges non bastava e Denise non esitava a procurargli altre donne. «Perché provava il bisogno di ingannarmi quando aveva a casa quello di cui aveva bisogno? Certamente per rassicurarsi». In realtà Simenon temeva la passione scatenata in lui da quella donna pallida e magra. La considerava una specie di malattia e ne era geloso al punto da imporle, avendo saputo che il suo primo amante era un certo Georges, di chiamarlo soltanto Jo. Fragile e insicura, Denise l’aveva seguito nell’alcolismo, poi era scivolata sempre più nella nevrosi. Per lei il marito era un mostro perverso che pensava solo ad assoggettarla. Un uomo che disprezzava profondamente le donne. Da parte sua Simenon aveva sempre energicamente respinto le accuse di misoginia anche se aveva dichiarato: «L’unica comunicazione possibile con le donne è quella sessuale ».
L’insaziabilità di Simenon dava la misura del vuoto affettivo. «Ho sempre vissuto l’amore solo come un incidente, una malattia, quasi una malattia vergognosa», aveva confidato ad André Gide. Le tre successive compagne della sua vita erano unite da un fattore comune: un’avvenenza discreta, quasi impercettibile. Tutte, malgrado i loro diversi problemi, erano estremamente servizievoli. Nonostante il suo amore per il lusso, lo scrittore detestava le donne ossessionate dalla dieta, schiave del parrucchiere e del truccatore. Dovevano essere concentrate soltanto su di lui.
Nella vecchiaia confessava di avere smesso di andare a caccia di donne, non per mancanza di appetiti sessuali o per problemi fisici, ma perché ne aveva finalmente trovata una - la terza moglie - che sostituiva tutte le altre. «In fondo lo scopo della mia ricerca instancabile non era una donna, ma "la" donna, quella vera, la donna insieme amante e madre, senza artifici, senza trucchi, senza ambizioni, senza preoccupazioni per l’indomani, non sindacalizzata». La "vera donna" era una cameriera friulana, Teresa, incautamente assunta da Denise. Niente le avrebbe fatto pensare che quel gentile signore avrebbe un giorno approfittato di lei senza una parola. Umiliata, avrebbe voluto andarsene, ma Denise aveva insistito e lei era rimasta subentrando lentamente alla padrona. «Per me sostituisce tutte le donne che suscitavano la mia curiosità e mi davano solo l’ombra della tenerezza di cui avevo bisogno».
Ma proprio allora fu un’altra donna, la figlia Marie Jo, morbosamente affezionata al padre, a dilaniarlo suicidandosi. Nel 1978 la ragazza, tormentata da una pesante depressione, si sparò al cuore. L’ultima lettera al padre diceva: «Sai... la cosa più straordinaria è stata di avere avuto un padre, d’avere amato l’uomo come un’amante, di avere letto quasi tutto Simenon».