Andrea Marcenaro, First (maggio 2009), 24 aprile 2009
POSSONO DIRE QUEL CHE VOGLIONO, IO SONO LA RAI
Caporedattore al Tg3, vicedirettore a Raidue, due volte direttore di Raiuno, capo del marketing, del palinsesto, capo della comunicazione, direttore generale, direttore della fiction, 35 anni di vita lì dentro, possono dire e fare quello vogliono, io sono la Rai». Et voilà Saccà. L’unico Agostino Saccà, quello delle telefonate intercettate con Silvio Berlusconi sulle supposte raccomandazioni delle "attricette", invidiato e accusato, massacrato e redento, imputato e accusatore, rasato in ogni caso come un pupo. Ma incazzato come un toro. Quella non l’ha mandata giù: lui, la Rai, fatto a pezzi dalla Rai. Infamato, sbattuto via. Non vuole un risarcimento, vuole molto di più, soddisfazione. E stiano attenti, se è lecito un consiglio, perché l’uomo ragiona.
«Facciamo pure l’intervista, ma parliamo di televisione».
Dopo.
«No, solo di televisione».
Prima il riassuntino aziendalgiudiziario.
«Il comportamento dei dirigenti pro tempore della Rai mi risulta tuttora incredibile».
Più preciso?
«Parlo del comportamento dell’ex presidente Claudio Petruccioli, dell’ex direttore generale Claudio Cappon, di alcuni consiglieri del centrosinistra e di una parte del management del centrodestra. Non del management di centrosinistra».
Era in corso un’inchiesta giudiziaria su di lei, forse non potevano fare altro.
«Sapevano che il pm che mi accusava non era competente, sapevano che l’inchiesta non stava in piedi, hanno avuto in più la prova provata, da gennaio, che le accuse penali erano inesistenti».
Avrebbero dovuto difenderla?
«Sarebbe stato esattamente il loro dovere. Invece no».
Perché?
«Posso risponderle con le parole di Nostradamus ai suoi accusatori: "Dovevano trovare dei colpevoli alla loro infelicità". lo rappresentavo, agli occhi dei miei accusatori, il distillato di 35 anni di televisione».
Meno letterariamente?
«Petruccioli doveva rilegittimarsi a sinistra dopo il bacio della pantofola fatto a Berlusconi. Cappon voleva l’interim della fiction. Guido Paglia e Fabrizio Del Noce di preciso non saprei, credo robetta. Posso offrirle un dato, però. La fiction Rai con me faceva il 26 per cento, ora è al 20».
Ciò che di per sé non impediva di considerarla un dirigente troppo dedito ai traffici.
«Guardi, piantiamola qui. Lei conosce HBO?».
Vagamente, una rete televisiva americana.
«La più grande produttrice di fiction del mondo. Il suo capo storico, che ha inventato e prodotto la fiction americana, Sex and the City, tanto per capirsi, fino all’anno scorso è stato Chris Albrecht. Mi chiese di andare con lui a Los Angeles. Non lo chiese ad altri, lo chiese a me. Sapeva che conosco il mio lavoro, altro che traffici».
Come mai non ci andò?
«Ancora me lo donmando».
Cosa direbbe adesso ai suoi nemici in Rai?
«Non ho nemici. Ho incontrato persone che hanno scelto un nemico in me».
Cosa direbbe alle persone che hanno scelto lei come nemico?
«Che il delitto non paga».
Anche Giovanni Minoli fu suo nemico.
«Tre lustri fa e per un periodo breve. Incomprensioni e protagonismi di quando feci il vice del direttore Luigi Locatelli a Raidue. Minoli è un uomo generoso che s’intende di televisione. Non poco, molto».
Giancarlo Leone?
«Un avversario che si celava per metodo. Era candidato alla Direzione generale e l’ho battuto. Lei capisce. Ma con lui è vero, avevamo politiche opposte. Io volevo allargare la produzione nazionale per venderla all’estero. Investendo di più sulle nostre capacità. Leone voleva soprattutto acquistare, all’estero.
Liliana Cavani invece la difende. Suona strano che una fondatrice del Partito democratico difenda un berlusconiano.
«E’ una regista intelligente, ragiona con la testa sua. Era per produrre in casa, come me. Per questo si dimise dal consiglio d’amministrazione Rai. La uccise, diciamo così, la lobby dell’acquisto all’estero. Enzo Siciliano presidente, Claudio Iseppi direttore generale».
La sua situazione giudiziaria, al momento?
«La Procura di Roma, con i due sostituti procuratori che guidano l’inchiesta, più la firma del Procuratore capo Giovanni Ferrara, ha richiesto l’archiviazione e la distruzione delle intercettazioni che mi riguardano. Il Gip deve decidere».
Vuole tornare in Rai?
«Sono più che tentatissimo».
Chi glielo fa fare?
«Sa che cosa? Ora glie lo dico: il piacere del potere. Ma adesso deve lasciarmi spiegare».
E già molto chiaro.
«Per nulla. Sa che per farmi fuori sono andati a spulciare gli ultimi dieci anni della mia vita, note spese comprese, e non hanno trovato niente di fuori posto? Dico niente di niente?».
Che c’entra?
«Sa che vivo in un appartamento in affitto di 60 metri quadrati?».
Che c’entra?
«Lo capisce che se uno nella mia posizione non è diventato ricco, molto ricco, è perché considera che esista qualcosa di più importante del denaro?».
Posso con qualche sforzo capirlo, ma che c’entra?
«lo credo nelle possibilità editoriali della Rai. Mi piace l’idea di esercitare potere sulle possibilità editoriali del servizio pubblico. Se ti piace quel potere, non ne puoi avere altri, ma se hai un’idea, quello ti piace».
Megghiu cumannari ca futtiri?
«Non così, meglio progettare che fottere. E progettare senza poter eseguire, è frustrante. Aggiungo, tra parentesi, tre cose. La mia azienda deve chiedermi scusa, la magistratura deve chiedermi scusa. E anche Berlusconi deve a se stesso di ottenere delle scuse».
Berlusconi?
«Che cos’aveva fatto, sulle cosiddette "attricette", per essere massacrato in quel modo? Si devono scusare».
Torniamo a lei. Perché la Rai la dovrebbe rivolere?
«Ha davanti agli occhi la tragedia della sua fiction al 20 per cento di share, cosa deve fare se non chiamarmi? Se non me, e altro? Quattro persone sarebbero in grado, in Italia: Marco Bassetti che fa proficuamente altro, Giorgio Gori, altrettanto, Silvio Berlusconi, che mi risulta impegnato altrove, e suo figlio Piersilvio, che guida Mediaset. Stop, finito».
Ma la Rai è mezza morta. Sky sta diventando generalista. Mediaset la incalza. E arriva il digitale.
«Andiamo con ordine?».
Certo.
«Prendiamo Sky Che di venti il terzo polo generalista, fa ridere. Se a Sky e al satellite togli il calcio, fa il 4 per cento. Fiorello? Lo adoro, ma su Sky non va. Altri? Uguale. La Cuccarini? Uguale. La Rai non deve temere Sky. E nemmeno mediaset la deve temere. Il sistema generalista è in grande crisi perché s’è illuso che l’assenza di un terzo polo potesse esimerlo dall’investire. E cos’è successo? Che il terzo polo sta nascendo con quelli che la televisione generalista non la guardano più».
Mi arrendo, si spieghi.
«Nell’ultimo anno Rai e Mediaset hanno perso un milione e mezzo di spettatori, appena arrivano a tre milioni perdono quattrocento milioni all’anno di pubblicità. E lì sono dolori. Se scendono insieme sotto il 70 per cento di share, Rai e Mediaset vanno in semicoma».
Come fanno a non scendere?
«Piantandola lì con i relality show che costano poco ma le stanno ammazzando».
Bum!
«Il linguaggio del reality è l’iperbole. Prendi situazioni estreme, poi stressi le reazioni. Prima i protagonisti si accarezzano, poi forse scopano, poi metti il gay, il trans, Poi il cieco, alla fine dove vai, alla roulette russa con il revolver?».
E perché no?
«In America le televisioni generaliste sono andate in crisi col reality. La gente diventava pazza, dopo un pò se ne andava. Abc,Cbs e Nbc erano scese sotto il 50 per cento. Panico. Con cosa si sono riprese?».
Con cosa?
«Con le fiction. Lost, Casalinghe disperate, Law and order. In Italia è lo stesso. O la Rai torna a produrre fiction, cartoni animati e documentari, o muore. Lo stesso per Mediaset. Ma la Rai è più forte, ha un patrimonio di cultura e di capacità umane eccezionali che può obbligare Mediaset a seguirla, su quel terreno».
E’ questo che lei voleva fare con la società che stava mettendo in piedi alle spalle della Rai?
«Non alle spalle, di fronte, risulta agli atti dell’inchiesta giudiziaria, la sua è un’affermazione insultante e falsa. Ma facciamo pure filita di sì. Domanda: perché Luca di Montezemolo e Corrado Passera mi avrebbero dato tutti quei soldi per mettere in piedi una società di produzione di fiction?».
Perché?
«Sono intelligenti. Hanno capito una cosa fondamentale: nel mondo, e nel futuro, le quote di presenza commerciale sono direttamente legate alla quota di racconto che riesci a fare di te stesso sul mercato globale. Su quanto riesci a raccontarti facendoti capire dagli altri».
Un esempio.
«Per l’Alfa Romeo, ha pesato di più la Duetto rossa del Laureato che mille giochetti di penetrazione pubblicitaria».
Lei fa il furbo pro domo sua, dottor Saccà, lei valorizza la fiction perché le fa gioco. Ma l’italiano non è diffuso come l’inglese. E nemmeno come lo spagnolo. Cosa potremmo esportare?
«Le do una notizia. Gli spagnoli vanno come treni con le fiction, in America, ma doppiati. Le do la seconda. Il castigliano non è spagnolo. E’ come il latino, morto. Eppure, perché gli spagnoli fanno grandissima fiction e hanno attori al top nel mondo? Perché Madrid e Barcellona fanno grandissimo teatro. E, facendolo, il loro prodotto televisivo risulta ottimo. Sanno raccontarsi».
Ci vogliono molti soldi, per produrre.
«Questo è vero. E i soldi non ci sono. La rete generalista ha bisogno di un miliardo di euro all’anno in più. Il suo recupero, e quello della Rai come servizio pubblico, passa da questo».
Partita chiusa, quindi.
«Perché?».
E che? Aumentiamo le tasse?
«Da noi il canone Rai è del 38 per cento meno che in Francia. In Italia, il 25-30 per cento di canone viene evaso. Vale 550 milioni di euro di evasione. Anche in Francia c’era evasione. La questione è stata risolta mettendo il canone televisivo nella bolletta elettrica».
Lei è matto.
«Anche in altri 11 paesi l’hanno risolta così. Primo. E’ lotta antievasione. Secondo, puoi evitare di far pagare il canone ai tre milioni di poveri di cui parla Giulio Tremonti. Forse nessuno ci pensa, ma a evadere il canone sono i ricchi, che se ne fottono della multa eventuale.
I poveri lo pagano in massa. Recupereresti 550 milioni di euro».
Lei fantastica.
«lo so che in questo modo il nostro servizio pubblico deve accanirsi a fare il 44 per cento di share a tutti i costi, mentre la BBC fa il 36 e i francesi tranquillamente il 33. E che per recuperare pubblicità, da noi, si sparano quei reality devastanti».
Dia un consiglio al nuovo direttore generale della Rai Mauro Masi.
«Rimetta il prodotto al centro della politica d’impresa. Riparta dal teatro e dalla musica. Funzionano,
Benigni col suo Dante docet. Li mandi, se vuole, nella terza serata della tivù generalista, poi avrà comunque i canali digitali da riempire. Faccia quindi il conto di cosa vorrebbe dire avere 400 milioni di pubblicità in meno e 550 in più di canone».
Lei è fissato con la fiction, gli eventi, il teatro e il linguaggio.
«Queste cose, oggi, in tivù, hanno lo stesso valore della coscrizione obbligatoria istituita da Napoleone e delle cannoniere dell’Inghilterra».
Raccontare storie invece che realtà.
«Realtà e racconto, realtà e capacità di racconto, eventi e discorsi che partono dalla tua cultura e la ripropongono in modo moderno, al posto della realtà fasulla».
Berlusconi non lo permetterà.
«Cos’ha a che vedere Berlusconi con questo?».
Troppo complicato, scombussola troppo. Vorrà una situazione quieta.
«Se ho capito bene, Berlusconi ha vinto in politica e non vuole guerre. Il suo consenso a un presidente come Paolo Garimberti, giornalista importante, ma certo non amico, lo dimostra. Fa bene, secondo me. Ed essendo un uomo che conosce la televisione, sa benissimo che il valore di un messaggio pacificatore, ma sul serio, passa molto più dalla ripresa di qualità delle reti, che dal controllo di un’informazione la quale non potrà comunque cambiare più di tanto».
Tornerà in Rai, dottor Saccà?
«Se voglio, sì. Come avrà capito, un po’di voglia non la nego».