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 2009  aprile 24 Venerdì calendario

IL PRIMO BACIO? DISGUSTOSO NON FINIVA MAI"

(Alessandra Mussolini)

È vero che sei ipocondriaca e hai paura di morire?
«Sì. Ogni volta che a settembre faccio un check-up è un dramma, per me, per i miei figli, per mio marito. Lo vivo male. Eppure ho fatto medicina. Ma mi chiedo: ”Oddio, adesso che sarà?”. Ho l’ansia».
Solo per il check-up?
«No, sempre. Mi viene il mal di testa? Dico subito: ”Questo mal di testa è un po’ anomalo, chissà che vorrà dire”. Una volta sono andata a fare una mammografia di routine. Il tecnico se ne andò con la lastra e tardò a tornare. Io pensai: ”Ha scoperto qualcosa”. Telefonai subito al mio medico. Ero già pronta per il ricovero. E poi ho paura dell’aereo».
Ma ci vai?
«Ci vado, ma col terrore».
Ingiustificato?
«Mica tanto. Ho fatto un volo, una volta, terrificante, da Roma a Strasburgo. C’erano alcuni parlamentari. Pannella si versò tutto il cappuccino addosso. Lilli Gruber aveva i capelli tutti scompigliati. Marco Rizzo faceva finta di niente ma era terrorizzato più degli altri. Quello che mi innervosì più di tutti fu D’Alema. Alla fine, sulla navetta, gli chiesi: ”Hai avuto paura?”. E lui: ”No, mi sono divertito un sacco”. Bugiardo, era bianco come un cencio».
Perché hai paura di morire?
«Non concepisco l’idea di morire. una cosa assurda. Ho veramente paura di vivere quel momento. E poi ho l’ansia che mi mettano dentro la cripta dei Mussolini, a Predappio, soffocata, laggiù sotto terra. Io preferirei una sepoltura all’aria aperta».
(...) Vedevi poco tuo padre da piccola.
«Veniva a trovarmi e mi portava tanti animali, uccelli, tartarughe, pulcini, galline, criceti, gatti, cani. A me piacevano tanto ma mia madre era disperata perché sporcavano, e li faceva sparire».
Frequentavi nonna Rachele...
«Andavo a trovarla a Villa Carpena, anche d’inverno. Mi parlava di com’era papà da piccolo, di nonno Benito. Io le facevo le scenette in napoletano, e lei rideva da morire».
Che diceva di Benito?
«Una volta mi raccontò che se l’era sognato. Le aveva detto: ”Alessandra è la mia nipote prediletta”. Per loro i sogni contavano. Sia lei che il nonno erano molto superstiziosi».
Ti raccontava anche dei suoi tradimenti?
«Io la facevo parlare. Lei diceva sempre: ”Prego per Claretta Petacci, tutte le sere”. Sarà stato vero ma dentro di sé aveva la tempesta. Per me era inconcepibile che potesse aver sopportato in quella maniera i tradimenti. E lei mi diceva: ”No, tutto bene, bastava che amasse me”. Ma io allora andavo in giro con lei, nei campi di grano, nel pollaio a vedere le galline nere...».
Le galline nere?
«Aveva tutte le galline nere. Secondo me per motivi politici. Le aveva geneticamente modificate. Da brava napoletana io gliela facevo uscire la verità. Lei era romagnola ma io la facevo diventare napoletana, una persona verace; l’ho napoletanizzata io la nonna! Le dicevo: ”Nonna, ma è mai possibile che tu lasciassi passare il fatto di Claretta? Tu sei una donna sanguigna, una che butta per aria i minestroni se c’è qualcosa che non va”. Lei una volta mi rispose: ”Ho tentato il suicidio bevendo varechina”. Non aveva mai sopportato quella storia. Era una donna vera. Faceva continue scenate al nonno. Era tremenda dentro casa».
E lui?
«Negava. Ma comunque ebbe sempre la famiglia, soprattutto i figli, come punto di riferimento».
Insomma lo giustifichi. Non sei in contraddizione con te stessa?
«Io sono figlia di un’altra generazione. Per me una storia del genere non è accettabile. Oltretutto la nonna soffrì tantissimo per il fatto che la Petacci fosse morta accanto al nonno».
Che opinione ti sei fatta della Petacci?
«Hai presente il film Attrazione Fatale? Successe la stessa cosa. Quello fu un caso di stalking. Oggi la Petacci finirebbe sotto processo. Aveva quattordici anni, si era fissata che doveva incontrarlo. Lei lo massacrò, mio nonno. Lo pedinava, gli faceva appostamenti, gli telefonava ogni dieci minuti, gli faceva scenate di gelosia, gli scriveva lettere. Il nonno subì. Era un rapporto patologico».
Ricordi il tuo primo bacio?
«Non lo dimenticherò mai. Fu un episodio di violenza. Lo ricordo con disgusto. Avevo undici anni e mezzo, stavamo giocando, ricordo un ragazzino, avrà avuto tredici anni, che volle a tutti i costi baciarmi. E fu brutto, uno choc. Davanti a tutti, lungo, non finiva più. Mi dicevo: ”Madonna, quand’è che finisce questa cosa orrenda?”».
E il tuo primo bacio vero?
«Verso i sedici anni, ma sempre con qualche dubbio».
 vero che avevi due fidanzati contemporaneamente?
«Certo, avevo Carlo d’estate. Il più bello, quello col corpo fatto meglio».
E poi?
«Avevo Giorgio, quello invernale».
Bruttarello ma intellettuale?
«Però mi piaceva il suo viso».
Loro lo sapevano?
«Si passavano la staffetta. Poi ho conosciuto Mauro, che li ha travolti».
Ti ha corteggiata?
«No, stava con un’altra. Stavo fresca se aspettavo lui! Ma io scoprii che giocava a tennis. E allora mi iscrissi a un corso di tennis. E lo incontravo. Poi un giorno mentre ero in difficoltà col surf venne a salvarmi. Da quel momento ci siamo messi insieme».
Ricordi gli amici?
«Non ho mai avuto tanti amici. Per me è più importante la famiglia. Non voglio vedere la gente, mi stufo, non coltivo le amicizie. Ho sempre avuto conoscenze che poi si concludevano. I miei punti di riferimento sono state mia madre e mia sorella. Mauro, mio marito, ha fatto la parte di padre, di amico, di marito, di tutto».
A scuola come andavi?
«Bene fino alla prima media. Poi ho cominciato a fare di tutto, ridevo, ero distratta. Mi mettevo sempre nell’ultimo banco. Davanti a me c’era una secchiona, una tremenda. Non mi faceva mai copiare le versioni di latino. Io ero scarsissima. Una volta le dissi: ”E togli questo gomito da davanti e fammi dare una copiata”. Lei niente. Allora presi la gomma da masticare e gliela spiaccicai sullo chignon. Non ti dico che cosa successe e che fine fece il mio voto di condotta».
Immagino anche a casa…
«Mia madre si arrabbiò molto. Minacciò di mandarmi in collegio. Prese un vaso di cristallo e lo buttò per terra in mille pezzi. Capii che non potevo continuare così, dovevo mettere la testa a partito. E lo feci. Diventai bravina. Fui rimandata solo in matematica e latino».
Bravina?
«Presi lezioni private e fui promossa».
Politica a scuola?
«Niente, per fortuna. E nemmeno questioni per il mio cognome. Ma quando andai all’università…».
Problemi?
«Scelsi Filosofia, a via Nomentana. Ma la vita era difficile. Mi dicevano: ”Con quel cognome vuoi dare l’esame? Ma stai scherzando?”. Scappai a Medicina».