Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Un nostro soldato è morto in Afghanistan...
• Ho sentito la notizia in televisione. La prego però di raccontare tutto per bene
Erano quasi le dieci di mattina – poco prima delle sei e mezza da noi – e un gran folla s’era radunata a Paghman, per assistere all’inaugurazione del ponte. Paghman sta a una quindicina di chilometri da Kabul, il ponte è vicino a una scuola. Per la festa, i maestri e le maestre avevano fatto uscire i bambini. Intorno alla folla un cordone di soldati, mandati lì a far prevenzione, e casomai da scudo. Soldati italiani. Anche il ponte è praticamente italiano, costruito con un importante contributo dei nostri ingegneri. Ed ecco a un certo punto i soldati vedono un tizio che risale verso di loro dal greto del fiume. Guardano come cammina, come sta curvo, si dànno un’occhiata, poi, quando quello s’avvicina troppo agli spettatori, corrono in quattro a bloccarlo e proprio in quel momento quello si fa saltare per aria. Una strage. Un soldato e nove civili morti, tra i nove civili sei sono bambini usciti di scuola per la festa. Il soldato è il nostro Daniele Paladini, 35 anni, maresciallo capo dell’Esercito, II Reggimento Pontieri di Piacenza. Un anno in Kosovo, in Afghanistan da luglio, sarebbe tornato a casa in gennaio. Nato a Lecce, adesso di casa a Novi Ligure – una villetta in Strada Contardini –, prima ancora a Pozzolo Formigaro, in provincia di Alessandria. Sposato con Alessandra Rizzo, una figlia di cinque anni. Alla moglie e alla mamma, Lucia Stefanizzi Paladini, sono arrivate le condoglianzze di Napolitano, Prodi e di tutti gli altri. A Novi Ligure in questi giorni c’è la festa per i 400 anni della Fiera di Santa Caterina, il sindaco Triespoli ha naturalmente sospeso tutto. Bisogna aggiungere che Paladini e gli altri tre soldati feriti (brutte ferite, ma non c’è pericolo di vita) hanno salvato con il loro intervento molte persone. importante dirlo qui e dirlo subito perché la Federcalcio ha disposto un minuto di silenzio in tutti gli stadi e ieri un pezzetto della curva di Genoa-Roma ha provato a fischiare durante questo silenzio, per fortuna subito zittita dagli applausi del resto dello stadio. Però che qualcuno abbia pensato di fischiare un uomo di 35 anni che è morto così fa cadere le braccia.
• Diliberto e gli altri dicono che bisogna andarsene dall’Afghanistan.
Diliberto ha fatto la solita dichiarazione che fa in questi casi, identica a quella di due mesi fa quando ci fu il sequestro che costò la vita a D’Auria. Gli hanno dato sulla voce persino i suoi alleati. Bertinotti ha pronunciato parole meno schematiche, ha parlato di una «riflessione strategica sulla nostra missione». Pensi che Pecoraro Scanio, che stava a Piacenza, ha detto ai soldati che in questo momento non si devono far polemiche e che Paladini è un eroe.
• Resta la domanda: che ci stiamo a fare in Afghanistan?
Per esempio, un ospedale pediatrico da 22 mila metri quadri a Herat, una scuola da dieci classi a Tourghondy, una scuola elementare a Injil, una rete idrica di diecimila metri di condutture e due pompe con generatori elettrici a Herat.
• Lei è convinto che non combattano.
Prima di tutto l’assistenza ai civili fa parte del combattimento, un tipo di combattimento nel quale gli americani non sono troppo bravi. Inaugurare un ponte, costruire una scuola crea un rapporto di fiducia con la popolazione. Questo rapporto di fiducia sta alla base della confidenza, cioè della possibilità di sapere prima quello che sta succedendo, perché te lo dicono gli afgani stessi. I nostri soldati che furono sequestrati in settembre, nell’azione che costò la vita al povero D’Auria, stavano facendo proprio questo. Andare a parlare con i capi-tribù, diventare loro amici.
• Erano agenti segreti, se non ricordo male. C’entrano gli agenti segreti con la missione?
Se la domanda è: facciamo più di quello che prescrivono le regole d’ingaggio?, la risposta è sì, facciamo di più, ma non so come potremmo esimerci. Abbiamo mandato un anno fa poche decine di uomini dei corpi d’élite, i commandos del Comsubin, i parà del Col Moschin, ranger e soldati del 185° reggimento. Costoro hanno partecipato a missioni di combattimento, ricognizioni, agguati, coperti da nostri elicotteri Mangusta. All’azione di ieri ha preso parte anche un Predator senza pilota. Si tratta di incombenze particolari e segrete, che non riguardano il contingente di 2300 italiani che si trovano ora laggiù. Tra pochi giorni ci verrà anche affidato il comando della regione della capitale afgana. La guerra è in corso da aprile, l’Occidente è in vantaggio, siamo in un’alleanza. Con che faccia potremmo dar retta a Diliberto e ritirarci? [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 24/11/2007]
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