Il Sole 24 Ore 25/11/2007, Riccardo Chiaberge, 25 novembre 2007
Torino 1967, formidabile quel referendum. Il Sole 24 Ore 25 novembre 2007. Un consiglio ai ragazzi della Sorbona, onde evitare i pestaggi tra gauchisti e sarkoziani: fate come gli studenti torinesi di quarant’anni fa
Torino 1967, formidabile quel referendum. Il Sole 24 Ore 25 novembre 2007. Un consiglio ai ragazzi della Sorbona, onde evitare i pestaggi tra gauchisti e sarkoziani: fate come gli studenti torinesi di quarant’anni fa. Sotto la Mole il Sessantotto cominciò con un mese di anticipo, il 27 novembre del 1967, nell’aula magna di Palazzo Campana, sede delle facoltà umanistiche. La scintilla della rivolta era partita, dieci giorni prima, dalla Cattolica di Milano. L’assemblea votò l’occupazione dell’università per alzata di mano: agli oppositori non rimase che rumoreggiare, urlando e pestando i piedi sulle gradinate di legno. Presto sarebbero iniziati i «controcorsi» autogestiti, per contestare l’autoritarismo accademico: tra le materie di studio America Latina e Vietnam, Marcuse e pedagogia del dissenso. Non che i «cinesi», come venivano chiamati gli agitatori (a Parigi adesso è la volta dei khmer rossi), avessero tutti i torti: il rettore Mario Allara, ordinario di Diritto privato, spiegava che «la norma giuridica non è la Norma di Bellini» e che la proprietà è «un mazzetto di asparagi», e bocciava chi non avesse imparato a memoria queste sue facezie. Ma c’erano anche docenti come Norberto Bobbio, Luigi Firpo o Giovanni Conso, e molti studenti avrebbero voluto seguire le loro lezioni. Tre giorni dopo fu riconvocata un’assemblea e un giovane liberale, Fabrizio Chieli, prese il megafono: «In quest’aula – osservò – saremo sì e no in trecento, gli iscritti sono molti di più. Non possiamo decidere per loro. Bisogna votare a scrutinio segreto se continuare o no l’occupazione». I «cinesi», dopo affannosi conciliaboli, acconsentirono. Il responso dell’urna diede ragione ai sovversivi: 815 voti a favore, 418 contro. L’insurrezione studentesca a Torino nasceva nel segno della democrazia di Tocqueville: contando le teste invece di romperle. Vale la pena rileggere quanto scrisse in proposito Giuseppe Ortoleva, uno degli ideologi del movimento, ora stimato docente di Scienze della comunicazione, in un instant book pubblicato da Laterza nell’aprile del ’68 (Documenti della rivolta universitaria): «Il giorno 30, dopo una serie di provocazioni dei fascisti, viene deciso un referendum a seggio aperto...(il metodo del referendum è accettato solo per demagogia: esso, come tutti i metodi di "democrazia" indiretta, è respinto come non rappresentativo)». Saranno state rappresentative quelle adunate tumultuose, dove un pugno di tribuni si autonominava avanguardia del popolo! Ed erano tutti fascisti quelli che rifiutavano di bivaccare nelle aule? Oggi anche l’amico Ortoleva converrà che il referendum fu un segno di maturità civile. L’ultimo, prima che scendesse la notte. Ho poi saputo che, in caso di vittoria dei no, era pronto un piano di «golpe» per far sparire l’urna. Non ce ne fu bisogno. Il 27 dicembre la polizia sgomberò Palazzo Campana, sotto una fitta nevicata. Ma la maggioranza degli studenti stava con quei facinorosi trascinati via di peso per ordine del rettore. E in quel momento, forse, aveva ragione. Riccardo Chiaberge