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 2007  novembre 25 Domenica calendario

Gli antenati del dibattito attuale. Il Sole 24 Ore 25 novembre 2007. 1790 Il poeta Wolfgang Goethe, nella Metamorfosi delle piante avanza una teoria trasformista per cui tutte le specie avrebbero comuni origini, ma non in quanto derivano da qualche forma organica speciale, ma in quanto riconducibile a «un’idea generale di tipo»

Gli antenati del dibattito attuale. Il Sole 24 Ore 25 novembre 2007. 1790 Il poeta Wolfgang Goethe, nella Metamorfosi delle piante avanza una teoria trasformista per cui tutte le specie avrebbero comuni origini, ma non in quanto derivano da qualche forma organica speciale, ma in quanto riconducibile a «un’idea generale di tipo». 1802 Jean-Baptiste Lamarck conia il termine "biologia" per definire lo studio della vita intesa come materia organizzata, e teorizza un orgasme vital presente in tutte le cellule del corpo, che ne governa le trasformazioni, nonché la trasmissione ereditaria dei tratti adattativi acquisiti dagli individui. 1859 Charles Darwin propone ufficialmente che i cambiamenti delle caratteristiche ereditarie degli organismi e la nascita di specie nuove avvengano in modo graduale, e come conseguenza di una sopravvivenza non casuale degli individui. Poiché ne nascono in eccesso, lottano fra loro per le scarse risorse disponibili e sopravvivono i portatori di variazioni ereditarie vantaggiose. Questo processo è la selezione naturale. Anche per Darwin i tratti acquisiti possono trasmettersi ereditariamente. 1885-1892 August Weissmann nega la possibilità di una trasmissione ereditaria della caratteristiche acquisite durante la vita dell’individuo, e ipotizza che l’ereditarietà dipenda dalla trasmissione di una sostanza chimicamente definita che chiama plasma germinale, fisicamente diversa e separata dal plasma somatico. Il weismannismo veniva chiamato neodarwinismo. 1894 L’embriologo tedesco Hans Driesch pubblica il risultato di un esperimento da cui si evince che lo sviluppo degli organismi non è un processo meccanico, ma autoregolato. Driesch ne ricava una filosofia vitalistica per cui la vita sarebbe regolata da un principio immateriale, che chiama entelechia, irriducibile a qualsiasi fenomeno di tipo fisico e chimico. L’autoregolazione degli embrioni rimarrà a lungo un argomento contro l’approccio genetico e darwiniano in embriologia. 1900 In alternativa al gradualismo della spiegazione darwiniana dell’evoluzione, il naturalista olandese Hugo De Vries, propone un’ipotesi mutazionista per cui ogni specie svilupperebbe nel corso della sua storia una serie di variazioni improvvise (mutazioni) e ereditarie. Le variazioni, che possono essere benefiche, innocue o nocive, si conservano o scompaiono per selezione naturale, e danno luogo in un sol colpo a nuove specie. 1900 Riscoperta e conferma delle cosiddette «leggi di Mendel», che implicano l’esistenza di un fattore discreto responsabile della trasmissione dei tratti ereditari, il gene. 1917 D’Arcy Wentworth Thompson pubblica Crescita e forma in cui ipotizza, in alternativa ai modelli evolutivi, che la vita sia definibile a livello matematico come la geometria di strutture reticolari plastiche analoghe ai cristalli, e che sia governata non dalla selezione naturale ma da leggi fisiche che impongono vincoli strutturali alle forme biologiche, i cui rapporti reciproci possono essere descritti da una matematica delle trasformazioni. 1918 Lo statistico Ronald Fischer concepisce un modello genetico in cui dimostra, utilizzando una metodologia statistica particolare, che la variazione continua dei caratteri può essere il risultato dell’ereditarietà mendeliana. Fino a quel momento darwinismo e mendelismo erano considerati inconciliabili. Nei due decenni successivi lo stesso Fisher, J.B.S. Haldane e Sewall Wright dimostrano matematicamente che il differenziale riproduttivo (fitness) che le diverse mutazioni conferiscono agli organismi, cioè la selezione naturale, causa un cambiamento nella frequenza di geni mendeliani nelle popolazioni. Mentre Fisher e Haldane assegnavano il ruolo principale alla selezione naturale, Wright riteneva operassero anche forze "neutrali", come la deriva genica. 1940 Il fisiologo tedesco Richard Goldschmidt pubblica The Material Basis of Evolution, cui teorizza l’esistenza di processi macroevolutivi, accanto a quelli microevolutivi, dovuti a cambiamenti fisiologici radicali in qualche sistema di reazioni o struttura funzionale primaria. Tali cambiamenti darebbero luogo a "hopeful monsters" (mostri speranzosi) che se sopravvivono intraprendono un cammino microevolutivo. Le idee di Goldschimidt sono state rilanciate da Stephen Jay Gould in un famoso articolo del 1977 intitolato Il ritorno dei mostri speranzosi. Negli anni ’40 con argomenti diversi Ernst Mayr, Theodosius Dobzansky, Julian Husxley, George Gaylord Simpson, George Ledyard Stebbins e Bernhard Rensch concepiscono negli anni Quaranta la teoria sintetica dell’evoluzione, nota anche come neodarwinismo. Le unità che evolvono sono popolazioni di organismi caratterizzate da variabilità genetica e fenotipica, che è la conseguenza della ricombinazione genetica dovuta alla riproduzione sessuale e alle mutazioni casuali. La selezione naturale è la principale forza che plasma il corso dell’evoluzione fenotipica ed è dovuta al differenziale riproduttivo. Le transizioni evolutive nella popolazione sono normalmente graduali, ma possono darsi eccezioni, e la speciazione avviene quando alcune forme diventano incapaci di incrociarsi. La macroevoluzione (la formazione di taxa superiori alla specie) non è altro che un’estrapolazione della microevoluzione (la formazione delle specie a partire da razze e varietà). 1953-1968 In questo periodo le scoperte della biologia molecolare confermano che il neodarwinismo è a grandi linee corretto. 1957 L’immunologo e virologo australiano Frank Macfarlane Burnet ipotizzava che la capacità adattativa del sistema immunitario di sintetizzare anticorpi contro qualsiasi antigene fosse dovuta a un processo di selezione analogo a quello darwiniano, in questo caso però a livello di popolazioni di cellule che producono gli anticorpi. L’idea della selezione clonale, cioè di processi darwiniani che governano la fisiologia dei processi adattativi anche a livello somatico, troverà applicazioni euristicamente rilevanti non solo in immunologia, ma anche in neurobiologia (con la teoria del «Darwinismo neurale» di Edelman e la teoria della stabilizzazione selettiva delle sinapsi di Changeux) e oncologia. 1964 William Donald Hamilton dimostra matematicamente che un gene "altruistico" può essere positivamente selezionato anche a frequenze elevate nella popolazione, lanciando così l’idea che l’evoluzione non promuova il successo riproduttivo dell’individuo, ma quello del gene. I gesti altruistici sono rivolti più frequentemente verso familiari prossimi, con cui si condividono molti geni. Nel 1971, Robert Trivers svilupperà la nozione di "altruismo reciproco", ovvero che un individuo che mette in atto un comportamento altruistico nei riguardi di un estraneo lo farà se i potenziali benefici dell’azione sopravanzano il rischio. Nasce la sociobiologia, tenuta a battesimo ufficialmente nel 1975 con la pubblicazione del famoso trattato di Edward O. Wilson, Sociobiologia. La nuova sintesi. 1966 George C. Williams pubblica Adaptation and Natural Selection in cui formalizza la tesi che solo il gene è l’unità di selezione, e che il fenotipo è solo un veicolo utilizzato dai geni per massimizzare, in modo particolare attraverso gli adattamenti all’ambiente, la propria rappresentanza nelle future generazioni. Le idee di Williams saranno estremizzate da Richard Dawkins ne Il gene egoista (1976), e ispireranno anche la psicologia evoluzionistica nel senso che questa aderisce comunque alla concezione gene-centrica dell’evoluzione (i comportamenti vengono direttamente ricondotti ai geni e la loro sopravvivenza deve trovare una spiegazione adattativa). 1971 Stephen Jay Gould e Niels Eldredge elaborano nel 1971 la teoria degli equilibri punteggiati, per dimostrare che il cambiamento evolutivo può avvenire in modo relativamente rapido rispetto ai periodi più lunghi di stabilità evolutiva. Il modello non è alternativo al gradualismo neodarwiniano, ma lo inquadra e definisce più appropriatamente su scala geologica. 1973 John Maynard Smith dimostra che le «strategie evolutivamente stabili» sono dei compromessi (trade-off). Applicato al problema sociobiologico se sia più vantaggioso un comportamento cooperativo o egoistico, il suo modello dimostra che una popolazione con un mix di individui egoisti e altruisti è più stabile di una fatta solo di "falchi" o solo di "colombe". 1979 Richard Lewontin e Stephen Jay Gould pubblicano un articolo intitolato I pennacchi di San Marco e il paradigma panglossiano in cui contrappongono al modello panadattamentista del neodarwinismo, nella versione di Williams, l’idea che alcune caratteristiche di un organismo possano essere la conseguenza di processi, come dei vincoli imposti dallo sviluppo, diversi dalla selezione naturale. 1983 La scoperta dei geni homeobox nei vertebrati apre una nuova prospettiva nei rapporti tra biologia dello sviluppo e teoria dell’evoluzione. La teoria sintetica o neodarwiniana di fatto ignorava i processi e i vincoli dello sviluppo, a parte alcuni tentativi di concepire un controllo in rapporto allo spazio dello sviluppo dell’espressione dei geni come nel caso della teoria dell’informazione posizionale di Lewis Wolpert (1969). 2000 Grazie alla scoperta di numerosi meccanismi di regolazione e amplificazione dell’informazione genetica e ai progressi della genetica molecolare dello sviluppo è stato possibile integrare anche lo sviluppo nel modello neodarwiniano. Nasce ufficialmente la biologia evolutiva dello sviluppo o evo-devo. Lo studio dell’evoluzione del controllo genetico sui processi dello sviluppo sta dimostrando la loro importanza nell’evoluzione della diversità morfologica. Negli ultimi due decenni, attraverso l’applicazione delle tecnologie genomiche e postgenomiche il quadro di riferimento teorico della biologia è diventato estremamente ricco e allo stesso tempo complesso. Una nuova frontiera è la cosiddetta epigenetica, cioè lo studio dei tratti che si trasmettono ereditariamente nella divisione cellulare e qualche volta da una generazione all’altra, che non implicano cambiamenti nelle sequenze di Dna. Qualcuno la rappresenta come un ritorno di Lamack. Le caratteristiche epigenetiche della cellula possono essere di natura biochimica, ma anche avere a che fare con la fisica delle strutture molecolari implicate. L’esistenza di fenomeni epigenetici che controllano l’espressione genica e la fisiologia cellulare è compatibile con il neodarwinismo, ma soprattutto con il principio darwiniano della selezione.