Il Sole 24 Ore 25/11/2007, pag.42 Jerry Fodor, 25 novembre 2007
Perché i porci non hanno le ali. Il Sole 24 Ore 25 novembre 2007. Ci sono due parti nella teoria darwiniana dell’evoluzione
Perché i porci non hanno le ali. Il Sole 24 Ore 25 novembre 2007. Ci sono due parti nella teoria darwiniana dell’evoluzione. Una è la filogenesi, la storia ormai familiare delle nostre origini. L’altra è la teoria della selezione naturale, che vuol caratterizzare non solo il meccanismo della formazione delle specie, ma tutti i cambiamenti evolutivi delle proprietà innate degli organismi. Secondo tale teoria, il fenotipo di una creatura – l’inventario delle caratteristiche ereditabili, e addirittura di quelle mentali – è un adattamento alle esigenze delle sue circostanze ecologiche. L’adattamento è il nome del processo con il quale, tra le creature di una data popolazione, le variabili ambientali selezionano quelle con le proprietà ereditabili più favorevoli ( fit) alla sopravvivenza e alla riproduzione. Così, la selezione ambientale per la fitness è il processo per eccellenza che pota l’albero dell’evoluzione. Nella versione darwiniana classica, si può dire che l’evoluzione risponde alla domanda «perché certi fenotipi si somigliano più di altri?». A grandi linee, per Darwin la somiglianza derivava da antenati comuni: più sono simili i fenotipi di due creature e più recente è l’ultimo antenato condiviso da entrambe. Esistono esempi isolati del contrario, ma non c’è dubbio che in sostanza ciò sia corretto. Alla domanda di Darwin, si può rispondere con la risposta di Darwin. Se invece chiedete perché certi fenotipi non compaiono mai, la spiegazione adattazionista oscilla spesso tra l’improbabile e l’assurdo. Per esempio nessuno, nemmeno l’adattazionista più sfegatato, spiegherebbe l’assenza di maiali con le ali dicendo che sebbene ce ne fosse stato qualcuno, le ali erano un intralcio tale che la natura le ha selezionate via. Nessuno si aspetta di trovare fossili di una specie di maiali volanti ormai estinta. Il fatto è che i maiali non hanno le ali perché sui maiali non c’è un posto dove metterle. Per poterle attaccare bisognerebbe ricostruire tutto l’animale, più leggero, con i muscoli e il metabolismo giusto, un sistema di navigazione in tre dimensioni, una forma aerodinamica e sa dio cos’altro. Senza dimenticare le penne. Il maiale andrebbe riprogettato da cima a fondo. La selezione naturale non ce la potrebbe fare, perché procede per incrementi e accumulo in un processo intrinsecamente conservatore. Una volta che la creatura è avviata sulla strada che porta al maiale, le scelte successive si riducono e il retrofit delle penne diventa impossibile. A prima vista ciò appare ragionevole. Però quell’avviamento (detto channeling) pone dei vincoli su quanto i fenotipi possono evolvere che la selezione naturale non spiega. I maiali non sono stati privati delle ali da una selezione negativa. Non le hanno mai avute. Quanti casi simili ci sono? Quante volte un fenotipo contiene informazioni non sull’ambiente di una creatura, bensì su aspetti della sua struttura endogena? Nessuno lo sa. Gli ambienti esterni sono strutturati nei modi più diversi, ma anche l’interno delle creature che ci abitano. In linea di principio, qui c’è un’alternativa all’idea di Darwin, secondo la quale i fenotipi «contengono informazioni implicite» sull’ambiente in cui evolvono, ed è quella che contengano informazioni implicite sulla struttura delle creature di cui sono i fenotipi. Tale idea va sotto l’infelice nomignolo di evo-devo (la teoria evoluzionistica dello sviluppo embrionale). Se ora pensiamo all’evoluzione nell’ottica del maiale con le ali, i meccanismi per costruire fenotipi diventano parecchi ed eterogenei. questa la differenza rilevante tra l’evo-devo e l’adattazionismo. Per i darwinisti, nell’evoluzione la selezione naturale ha il ruolo principale, anche se non proprio esclusivo. Invece è impensabile che il channeling da solo spieghi la struttura dei fenotipi. Semmai farebbe parte degli svariati meccanismi con i quali un fenotipo esprime una struttura endogena, e l’insieme di tali meccanismi potrebbe spiegare alcuni (molti? tutti?) fatti dell’evoluzione. Se, come credo, l’idea di selezione naturale è concettualmente sbagliata, alternative simili sarebbero certamente benvenute. Un altro processo, diverso sia dall’addatamento che dal channeling, sembra spiegare alcuni fatti (piuttosto singolari) della formazione dei fenotipi. L’ipotesi di partenza fu così riassunta da Lyumidla Trut nel 1999: «Poiché il comportamento è radicato nella biologia, selezionare per la docilità significa selezionare per cambiamenti fisiologici nei sistemi che regolano ormoni e sostanze neurochimiche. A loro volta, tali cambiamenti potrebbero avere effetti cospicui sullo sviluppo degli animali, e spiegare perché animali diversi rispondono allo stesso modo alle stesse pressioni selettive». Ci sarebbe quindi da aspettarsi una galassia di caratteri fenotipici endogenicamente legati alla docilità, i quali approfittano della sua selezione per scroccare un passaggio e coevolvere, anche se hanno poca o nessuna influenza sulla fitness. Un’evoluzione in assenza di adattamento, insomma, con effetti simili in creature molto diverse. L’esperimento per verificarlo ha richiesto 40 anni di incroci fra individui docili per 30 generazioni di volpi argentate. I risultati sono impressionanti. Diversamente dalle cugine selvatiche, le volpi allevate per la docilità tendono anche a condividere altri caratteri fenotipici come orecchie cascanti, muda bruna, peli grigi, coda corta e riccia, gambe corte e pelliccia pezzata. Sono tutti tratti che anche altri animali domestici quali cani, gatti, capre e mucche tendono ad avere. A un adattazionista verrà da chiedersi che cosa ci sia mai in cani e gatti per cui una coda riccia ne migliora la fitness in un’ecologia di addomesticamento. A quanto pare la risposta è "niente". La coda riccia non accresce la fitness, è solo collegata alla docilità e selezionando per quest’ultima la si ottiene volenti o nolenti. Gli effetti secondari sul fenotipo sembrano del tutto arbitrari. E soprattutto non sembrano adattamenti: non esiste alcuna spiegazione teleologica (una qualsiasi spiegazione in termini di fitness) per la tendenza alle orecchie cascanti degli animali domestici. Può darsi che il channeling e la coevoluzione di caratteri secondari siano fortuiti e che i determinanti evoluzionistici della struttura fenotipica siano in gran parte, se non tutti, esogeni. può darsi che i paleontologi scoprano maiali fossili con le ali, anche se non ci scommetterei. Qual è la morale di tutto ciò? La più immediata è che il classico resoconto darwinista di un’evoluzione dovuta innanzitutto alla selezione naturale è nei guai sul piano sia concettuale che empirico. Ma c’è una seconda morale e riguarda l’atteggiamento da tenere nei confronti di questa scienza. Dopo Darwin, sono proliferate le teorie che volevano cooptare ai propri fini la selezione naturale. Oggi è la psicologia evoluzionistica, ma ci sono esempi a iosa in quasi tutte le scienze comportamentali, in epistemologia, teologia, storia della filosofia, etica, sociologia, teoria politica, eugenetica ed estetica. Tutte tentano di spiegare perché siamo così e cosà e perché il così e cosà è un vantaggio per noi o per i nostri noi antenati. «Ci piace raccontare storie, perché questo esercita l’immaginazione la quale avrebbe a sua volta avantaggiato un cacciatore-raccoglitore». «Disapproviamo che si mangi la nonna perché nell’ecologia del cacciatore-raccoglitore conveniva tenerla come baby-sitter». Trovate versioni di queste e altre teorie simili negli scritti degli adattazionisti. Non le sto inventando. Ma non tutti i nostri caratteri hanno una spiegazione strumentale. Ci capita di averli semplicemente per il tipo di creature che siamo. Inutile dirlo forse, ma quelle spiegazioni sono sostanzialmente post-hoc, e se non s’ammantassero del prestigio della teoria della selezione naturale, non ci sarebbe motivo di ritenerle vere. L’alta marea dell’adattazionismo teneva a galla barche variopinte, ma forse si sta ritirando. Se si scopre che la selezione naturale non è il motore dell’evoluzione, quelle barche finiranno per incagliarsi e ci appariranno un po’ ridicole. La storia della scienza insegna che le migliori teorie di oggi risulteranno più o meno false domani pomeriggio al più tardi. Nella scienza come altrove, non conviene mai puntare tutto su un cavallo solo. Jerry Fodor