Il Sole 24 Ore 25/11/2007, pag.43 Guido Barbujani, 25 novembre 2007
Il lattosio di Charles. Il Sole 24 Ore 25 novembre 2007. Com’è noto, in Italia abbiamo 58 milioni di aspiranti commissari tecnici della nazionale di calcio
Il lattosio di Charles. Il Sole 24 Ore 25 novembre 2007. Com’è noto, in Italia abbiamo 58 milioni di aspiranti commissari tecnici della nazionale di calcio. un po’ lo stesso, in piccolo, anche nel campo dell’evoluzione. Ne parlano in tanti, spesso a vanvera. Alcune delle polemiche recenti, se non altro, ci obbligano a ripensare al posto di Darwin nella scienza moderna. E nella modernità, perché sono convinto che non penseremmo quello che pensiamo, noi occidentali del ventunesimo secolo, senza che Copernico e Galileo avessero tolto la Terra dal centro dell’universo, e senza che Darwin avesse dimostrato che l’umanità non sta al centro del mondo vivente. Mi fermo qui, queste cose le ha dette benissimo gente come Musil e Calvino. Resta il fatto che da Darwin in poi la teoria dell’evoluzione sta alla base della biologia moderna. Evoluzione significa che creature diverse discendono, con modifiche, da antenati comuni. Darwin ha sviluppato questa idea che altri avevano avuto prima di lui, e ha scoperto il principale meccanismo che la può spiegare: la selezione naturale. La selezione naturale funziona così: siamo diversi, abbiamo capelli e stature diverse, diversi gruppi sanguigni e via dicendo. Certi fanno molti figli, certi pochi o nessuno. Quelli che hanno ereditato dai genitori caratteristiche favorevoli hanno più probabilità degli altri di sopravvivere, riprodursi e trasmetterle ai figli. Per esempio, fra i nostri antenati preistorici c’era chi digeriva il latte e chi no; è una caratteristica ereditaria, si chiama tolleranza al lattosio. Chi ce l’ha può sfruttare i prodotti dell’allevamento degli animali domestici e finisce per lasciare, in media, più discendenti. Col tempo, secondo un meccanismo di selezione naturale che Darwin ha capito per primo, in Europa la tolleranza al lattosio è diventata molto comune. Invece non si è diffusa dove non si allevavano ovini o bovini e digerire il latte non portava vantaggi. Perciò i giapponesi mangiano tofu e non formaggio. Darwin non conosceva la genetica. Noi sì, e quindi sappiamo che anche la migrazione e il caso sono importanti nell’evoluzione. La tolleranza al lattosio ha avuto origine in alcune località africane ed europee, ma poi si è diffusa seguendo le migrazioni dei nostri antenati. Altre differenze fra le popolazioni sono invece dovute a deriva genetica, cioè a vicende casuali nel corso della storia. Gli indiani d’America sono tutti di gruppo sanguigno 0. Non è che con un altro gruppo si viva male in America. Semplicemente, i suoi primi abitanti erano piccoli gruppi di cacciatori provenienti dall’Asia: fra loro, per caso, i gruppi sanguigni A, B e AB non erano rappresentati. Darwin non poteva sapere tutte queste cose, scoperte nel ventesimo secolo; ma i suoi critici dovrebbero, e invece pare di no. Tanto per dirne una, il ruolo della deriva genetica l’ha chiarito nel 1932 Sewall Wright, ma nessuno deve averne informato Jerry Fodor, un filosofo di Rutgers, negli Stati Uniti. Nel suo saggio, peraltro ben scritto, uscito nella «London Review of Books» con il titolo Perché i maiali non hanno le ali, Fodor rimane sbigottito dalla constatazione che la selezione naturale non spiega tutto. Ne conclude che forse è necessaria una rivoluzione scientifica, una profonda revisione della teoria evoluzionistica. L’aveva già scritto, senza forse, in un saggio precedente, disponibile nel suo sito web, il cui titolo (ma non il contenuto) ha il pregio della chiarezza: Contro il darwinismo. In Italia le idee di Fodor sono state riprese da Massimo Piattelli Palmarini, in un articolo sul «Corriere della Sera», il 4 novembre 2007. Le loro critiche principali sono schematizzate nella tabella pubblicata sopra. Direi che alcune chiamano in gioco meccanismi dello sviluppo scoperti di recente. Si integrano bene nella teoria evoluzionistica, e non si capisce perché Piattelli Palmarini li veda in contrasto con la selezione naturale. Altre critiche riguardano la riproducibilità sperimentale dell’evoluzione e derivano da un malinteso, peraltro chiarito da un pezzo. Si possono fare, e si fanno, esperimenti per verificarne tantissimi aspetti, ma l’evoluzione in blocco, cioè quattro o cinque miliardi di anni di vita sulla terra, in laboratorio non la può riprodurre nessuno. Insomma, l’evoluzionismo è una scienza storica, e negargli per questo validità sarebbe come non credere alla storia romana a meno che uno non riesca a riprodurre in laboratorio gli Orazi e i Curiazi. Infine, molte critiche non tengono semplicemente conto degli ultimi settant’anni di ricerca in genetica, da Sewall Wright in poi; peccato ma, come diceva il maestro Manzi, non è mai troppo tardi. P urtroppo questi argomenti, proposti da filosofi che si dichiarano laici, vengono poi strumentalizzati da quelli che pensano che Darwin e Dio non possano andare d’accordo. banale, ma vale la pena di ripeterlo: la scienza si occupa di trovare spiegazioni naturali ai fenomeni naturali, e quindi non ha (e non può avere) nulla da dire sul soprannaturale. Giovanni Paolo II l’aveva capito, certi cristiani e anche certi atei molto meno. Sta di fatto che, negli Stati Uniti e ormai anche da noi, fondamentalisti religiosi combattono l’insegnamento dell’evoluzione nella scuola pubblica. Uno dei loro cavalli di battaglia è appunto l’impossibilità, secondo loro, di comprendere il mondo vivente senza un progetto intelligente. Insomma, visto che non ce la fanno a mettere insieme una visione scientifica alternativa, cercano qualche punto debole nel l’evoluzionismo, e poi sostengono che quel punto debole mina la credibilità di tutto il resto. Un giochetto improduttivo, nel senso che non ha ancora prodotto un grammo di buona ricerca. Intendiamoci: parecchi aspetti della storia evolutiva del nostro pianeta non ci sono chiari, e ci mancherebbe altro, stiamo parlando di una storia che copre miliardi di anni. Ma un’enorme massa di dati, sui fossili e sul Dna, dimostra che Darwin ci aveva preso in pieno. Non ci serve, e non è alle porte, nessuna rivoluzione scientifica. Invece, abbiamo bisogno di rendere sempre più completa la nostra conoscenza dei meccanismi e della storia dell’evoluzione, e possiamo solo partire da Darwin per farlo. Un’ultima cosuccia, una questione che forse sembra, ma non è, personale. Piattelli Palmarini se la prende con quelli che lui chiama darwiniani ortodossi. La parola ortodossi rimanda all’accettazione acritica di un dogma, e così su due piedi mi verrebbe da rispondere: «a me ortodosso non me lo dice nessuno». Ma qui non si tratta di me o degli altri come me che studiano l’evoluzione. La teoria dell’evoluzione darwiniana è la spina dorsale di qualunque ragionamento serio sulla biologia, proprio come la tavola periodica di Mendeleev per qualunque discorso serio sulla chimica. Si tratta di semplice buon senso, non di ortodossia. Basta aver letto una sua pagina, una delle sue lettere per esempio, per capire come il pensiero di Darwin sia programmaticamente, radicalmente critico. Darwin e ortodossia sono, semplicemente, un ossimoro. Guido Barbujani