Renzo Guolo, la Repubblica 25/11/2007, 25 novembre 2007
Un attacco suicida a nord di Kabul uccide un militare italiano; pochi giorni fa un ordigno contro un convoglio e il lancio di razzi sull´aeroporto di Herat
Un attacco suicida a nord di Kabul uccide un militare italiano; pochi giorni fa un ordigno contro un convoglio e il lancio di razzi sull´aeroporto di Herat. In Afghanistan il nostro contingente è sempre più nel mirino. Sedici "eventi terroristici", così li definisce la contabilità militare, solo nel primo semestre del 2007. E negli ultimi mesi la situazione è peggiorata. Nella capitale, controllata in qualche modo dal governo centrale di Karzai con l´aiuto delle truppe americane e di altri contingenti, aumentano gli attacchi suicidi. Tecnica asimmetrica che, negli ultimi anni, ha fatto breccia anche tra i taliban. A dimostrazione che Al Qaeda è riuscita a far penetrare anche tra gli afgani, da sempre tenaci combattenti ma sino a qualche tempo fa immuni da una simile deriva, l´ideologia del jihad attraverso le "operazioni di martirio". Un´offensiva destinata a crescere nelle prossime settimane nella capitale e dintorni: questo tipo di guerra "asimmetrica" risente meno della stagionalità delle operazioni imposte dal "generale inverno" alle azioni militari su più larga scala. Ma è a ovest che la situazione si fa più difficile. Qualche anno fa la regione di Herat sembrava lontana dalla guerra; ma ormai è la guerra a inseguire gli italiani. Per sfuggire all´offensiva Isaf in corso da mesi nel sud del paese, gruppi di taliban hanno abbandonato le province meridionali e orientali e si sono rifugiati in quelle occidentali di Herat e Farah, affidate al controllo del nostro comando. Ufficialmente le nostre truppe rispondono al fuoco solo se attaccate; ma sono proprio le inevitabili "attività di supporto" agli alleati, dovute al mutamento della situazione militare sul campo, a esporle a rischi crescenti. Nonostante i vincoli parlamentari e i caveat, i primi di novembre le forze italiane sono state impegnate in "attività di supporto" in combattimento agli altri contingenti che cercavano di riconquistare il distretto di Gulistan, nella provincia di Farah. Gli scontri sono stati molto duri e, nell´occasione, gli italiani avrebbero impiegato anche gli elicotteri Mangusta e i corazzati Dardo. La provincia di Farah, pattugliata quotidianamente dagli italiani, è molto instabile; anche perché, dopo che la zona di Helmand è stata investita dall´offensiva americana e Nato, è divenuta la più importante area di coltivazione del papavero. "L´oro rosso" è principale fonte di finanziamento di taliban e jihadisti: i loro interessi sono tornati a coincidere con quello "signori dell´oppio". E questo rende più complicati i compiti delle forze di Isaf e Enduring Freedom. Una distinzione, quella tra le due missioni che, malgrado la diversa catena di comando - la prima sotto le insegne Onu e Nato, la seconda americana - e le reciproche incomprensioni su modalità e strumenti con cui condurre le operazioni sul terreno - sembra in certe aree venire meno a causa della presenza di un comune nemico. Formalmente gli italiani non partecipano più a Enduring Freddom, la missione americana iniziata nell´ottobre 2001 che ha condotto alla caduta del regime del Mullah Omar; ma lo spostamento della guerra nelle province occidentali rimescola le carte, sovrapponendone le attività. Sempre nei giorni scorsi le forze italiane hanno partecipato a "operazioni di supporto" mirate a evitare che, sloggiati dal Gulistan, i taliban potessero unirsi ai gruppi jihadisti insediati nel confinante distretto di Bawka. Un´azione inevitabile ma che, nonostante le obbligate sofisticatezze semantiche, e l´uso passepartout del concetto di sicurezza, è difficile far rientrare nell´ambito di una missione di pace. Sebbene tra i nostri compiti, oltre a garantire sicurezza, vi siano quelli di sostenere i progetti di ricostruzione, fornire assistenza umanitaria, addestrare l´esercito e le forze di polizia locali, la missione Isaf è ormai sempre più missione del tipo peace enforcing più che peacekeeping. Questa trasformazione imposta dallo stato delle cose rimane, però, nell´ombra per motivi di politica interna. Se per l´America quella in Afghanistan è una "guerra dimenticata", tornata recentemente alla ribalta solo grazie alla ritrovata attenzione dei media, sin qui concentrati sull´Iraq, per Italia è un "guerra nascosta"; che riemerge solamente nelle occasioni in cui il nostro contingente subisce delle perdite. Qualunque sia la valutazione sulla sua natura, il senso della missione andrebbe discusso apertamente. Per decidere se restare o meno in Afghanistan e in base a quale opzioni strategiche. Tanto più in un contesto in cui appare sempre più arduo operare alla ricostruzione civile del paese: come dimostra l´attentato nella valle di Pagman avvenuto durante l´inaugurazione di un ponte nell´ambito delle attività Cimic, la struttura di cooperazione civile-militare che si occupa anche di opere pubbliche. Il tutto mentre Al Qaeda si riorganizza, si intensificano gli attacchi jihadisti e si aggrava la crisi nel vicino Pakistan, paese decisivo per l´evolversi della crisi afgana.