Il Sole 24 Ore 25/11/2007, pag.12 Nunzia Penelope, 25 novembre 2007
«Sei troppo bravo. E Storti mi cacciò». Il Sole 24 Ore 25 novembre 2007. Franco Marini è allievo di Donat-Cattin e, come al suo maestro, la franchezza non gli manca: « naturale guardare con simpatia i giovani, ma occorre chiedersi: cos’è che determina questa situazione? Io sono entrato nel sindacato a fine anni Cinquanta: nel corso del tempo ho visto affievolirsi il coraggio di proporsi, di affrontare battaglie nei gruppi dirigenti, come accadeva in Cisl negli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta
«Sei troppo bravo. E Storti mi cacciò». Il Sole 24 Ore 25 novembre 2007. Franco Marini è allievo di Donat-Cattin e, come al suo maestro, la franchezza non gli manca: « naturale guardare con simpatia i giovani, ma occorre chiedersi: cos’è che determina questa situazione? Io sono entrato nel sindacato a fine anni Cinquanta: nel corso del tempo ho visto affievolirsi il coraggio di proporsi, di affrontare battaglie nei gruppi dirigenti, come accadeva in Cisl negli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta. Non ho più trovato una dialettica forte come ai tempi della mia generazione: i tempi di Pierre Carniti, Eraldo Crea, Mario Colombo, io stesso. Eravamo entrati nel sindacato senza alcun potere, e poi abbiamo saputo conquistare ruoli e peso. Non ci siamo tirati indietro su nessuna battaglia: l’incompatibilità tra cariche sindacali e politiche, la difesa della meritocrazia, il sì o no all’unità sindacale. All’epoca erano argomenti che dividevano profondamente, in modo anche drammatico. Ci siamo schierati, rischiando. Nessuno di noi restava alla finestra, in attesa della "chiamata" o della cooptazione. A volte si vinceva e a volte si perdeva, ma era così che ci si formava, che si conquistava spazio. Poteva andare bene e poteva andare male. A me è capitato ad esempio nel ’63-64: con la Cisl fortemente divisa al suo interno mi schierai contro Bruno Storti, allora numero uno dell’organizzazione. Così un giorno Storti mi chiama dicendomi: "Marini, tu sei troppo bravo per restare qui. Trovati un lavoro da un’altra parte". In pratica, mi ha messo alla porta. Che feci? Naturalmente cercai un lavoro. Lo trovai al ministero del Mezzogiorno, con Giulio Pastore. Da questa porta rientrai nella Cisl riprendendo il cammino interrotto. Racconto questo episodio perché è vita vissuta, testimonianza concreta. Come potrei narrare delle decine e decine di battaglie nei congressi o degli scontri tra noi e con i "cugini" delle altre organizzazioni: si è vinto, si è perso, si è rivinto e anche riperso ma siamo andati avanti conquistando di volta in volta qualche incarico di responsabilità… Questi eravamo noi, i giovani di allora: non sfuggivamo al confronto per quanto aspro e per quali che fossero le conseguenze. Un periodo d’oro del sindacato, in un’Italia che cambiava profondamente nelle sue strutture economico-sociali». Dunque, cosa dovrebbe fare un giovane oggi per farsi spazio, conquistare posizioni, ruolo, potere? La ricetta di Marini è semplice: «Darsi da fare, scegliere, puntare a degli obiettivi, avere pazienza e determinazione, capacità di ascoltare e fiducia in se stessi. una cosa che ti forma, insegna anche ad assumerti le responsabilità. Mi pare che all’epoca era la regola, oggi più l’eccezione. Il gusto del confronto politico, l’orgoglio, il coraggio di correre qualche rischio. Cercare di nuotare da soli: questa è la cosa essenziale». Ma è davvero possibile che sia solo colpa dei giovani se non arrivano da nessuna parte? Non c’è qualche responsabilità anche da parte degli anziani nel costituire una chiusura del sistema politico, sindacale, economico, che finisce per tenere fuori dalla porta, eternamente a bagno-maria, le giovani leve? «Certo, negli anni si è creata anche una maggiore rigidità della struttura, un problema del sindacato come della società nel suo insieme. Forse è più complesso di un tempo entrare, farsi strada, emergere. Ma quello che constato è soprattutto un affievolimento della spinta di cui parlavo prima». (...) Su una cosa però Marini concorda, e cioè che oggi scarseggiano i luoghi deputati alla selezione della classe dirigente. Una volta c’erano i partiti, le scuole di partito, le sezioni. Tutto questo è scomparso. E ancora non si è capito cosa può sostituire il patrimonio disperso. «Sì, i luoghi di selezione della classe dirigente si sono ristretti e impoveriti. E la prevalenza della comunicazione ha fatto molti danni ai partiti stessi. Ha preso il potere, lo ha personalizzato. La vita interna ai partiti è dettata dalla comunicazione. Il rapporto oggi è direttamente tra i leader – personaggi conosciuti, noti, ma che a volte sono capaci e a volte no – e i media. Si bada di più a come "narrare" una decisione che alla qualità della decisione stessa, al suo fondamento, alla sua giustezza, alla sua rispondenza rispetto al problema che l’ha generata e al processo democratico di cui dovrebbe essere frutto. Così capita di dire cose che durano il tempo di un Tg o di un quotidiano ma che non lasciano traccia a distanza di ore, e questo non fa bene alla politica e alla sua credibilità (...)». Nunzia Penelope