Nico Orengo, La Stampa 25/11/2007, 25 novembre 2007
Maiali marchiati. Gatti sbattuti in terra. Mosche costrette a morire in un bicchiere. E da ultimo cani lasciati morire di fame in galleria
Maiali marchiati. Gatti sbattuti in terra. Mosche costrette a morire in un bicchiere. E da ultimo cani lasciati morire di fame in galleria. L’arte contemporanea ha un rapporto violento, sadico, con gli animali. Addio all’attenzione e alla pietà di un Masaccio, Bruegel, Leonardo o Grechetto o Rubens e a tutti quei pittori, fin alle soglie del Novecento, che nell’animale vedevano un compagno, un amico. Oggi è tornato ad essere, realisticamente, l’«altro», da combattere, da far soffrire. E’ di poche settimane fa la denuncia, portata non solo da gruppi di animalisti, nei confronti di Guillermo Habacuc Vargas, performer della Costa Rica, invitato a rappresentarla, alla Biennale del Centro America, l’anno prossimo, per aver esposto in agosto alla Galeriam Códice, un cane denutrito, al quale era vietato dar da bere o da mangiare, perché se ne potesse osservare la lenta agonia fino alla morte.. Sembrano lontani anni luce le emozioni e le parole di Rosa Luxenburg, quando dalle finestre del carcere di Breslavia, nel 1917, vedendo dei bufali di Romania, presi a bastonate scriveva: «sanguinava e guardava davanti a se e aveva nel viso nero, negli occhi,scuri e mansueti,un’espressione simile a quella di un bambino che abbia pianto a lungo». In anni recenti era stato Kounellis, a esporre cavalli (nel 1969 alla Galleria l’Attico di Roma) e pappagalli, seguito da De Dominicis con una «mostra per soli animali», non c’era segno di violenza fisica ma di costrizione e spaesamento spaziale. E’ con Herman Nitsch che si comincia a dire che vitelli, pecore, maiali verrebbero macellati per mettere in scena performances sanguinolente, negli Anni 60 e 70. Da allora gli animali diventano per molti artisti un soggetto sacrificale, una vittima, la metafora carnale del disagio, del lato oscuro, della violenza sociale. E se Wim Delvoye marchia i maiali dicendo che in questo modo, come opere d’arte li salva dalla macellazione, Xu Zhen, proprio a Torino, nel 2000, proiettava un video, poi ritirato dagli organizzatori del Big, dove un cinese sbatteva in terra con violenza dei gatti. Una delle «artiste» contemporanee che abusa maggiormente degli animali, con una sottile ferocia è Paola Pivi. lei che fotografa, usando come fonte di stupore lo spiazzamento, zebre sui ghiacciai del Monte Bianco (e pare che le bestie siano morte dopo qualche tempo in seguito allo sbalzo climatico e allo stress), struzzi in mare, asini in barca. Diventano «innocenti» o solo di pessimo gusto l’uso di esporre animali imbalsamati, come lo squalo e le mucche di Damien Hirst, i cavalli di Maurizio Cattelan, o gli animali usati da David Altmejd, Kevin Francis Gray o la gallina dell’opera Man fucking a chicken, del coreano Liu Ding, vista all’ultima Artissima. No, perché la violenza dell’immagine e il disprezzo verso l’animale permane. Nessuno di loro sembra aver mai letto le parole di uno scrittore zoologo francese, Fréderic Richaud: «...la sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa; come muoiono quelli, muoiono queste, e il soffio vitale è uno per tutti e la superiorità dell’uomo sulla bestia è zero, perché tutti e due sono vanità».