Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Mentre gli italiani si arrovellano sul presidente Marini, che continua a dire: «C’è uno spiraglio» (oggi vanno da lui sia Veltroni che Berlusconi), gli americani si preparano al cosiddetto Grande Martedì, previsto per domani. Ventidue Stati alle urne contemporaneamente per eleggere i delegati alle convention che consacreranno i due candidati alla Casa Bianca.
• Praticamente una semifinale. A che punto siamo?
Sono rimasti per l’appunto in quattro, come in una semifinale. Obama contro Hillary tra i democratici. E McCain contro Romney tra i repubblicani. La vera sorpresa è McCain, che oltre tutto potrebbe anche vincere la finale e laurearsi campione, cioè il prossimo novembre entrare alla Casa Bianca.
• Perché una sorpresa?
Beh, gli osservatori erano sicuri che i repubblicani avrebbero promosso Rudolph Giuliani, l’uomo che da sindaco di New York avrebbe reso possibile un calo impressionante della criminalità. Giuliani invece ha giocato il suo campionato come il Brasile ai Mondiali di Germania: non è praticamente mai sceso in campo, è sempre arrivato ultimo e in Florida - dove doveva far sfracelli - è stato invece sonoramente battuto sia da McCain che da Romney. Si è ritirato e ha fatto sapere che i suoi elettori appoggeranno McCain. Potrebbe succedere quest che McCain, se sarà candidato dai repubblicani, prenderà Giuliani come vicepresidente.
• Pensa sul serio che potrebbe vincere?
Non lo penso io, lo dicono – con prudenza – la maggior parte degli osservatori. Prima di tutto ha un magnifico passato da eroe: guerra in Vietnam, prigionia, torture ad Hanoi di cui porta i segni sul corpo. In California – uno dei ventidue Stati di domani – Schwarzenegger ha subito detto che lo sosterrà. In secondo luogo i denari cominciano a correre verso di lui, che è sempre uno dei segnali più importanti: subito dopo aver vinto in Florida ha fatto il giro dei finanziatori repubblicani sparsi tra Los Angeles e San Francisco e ha raccolto un mucchio di quattrini. Infine i sondaggi lo dànno in vantaggio sia su Hillary che su Barack: 46,8 a 45 e 44,7 a 43. I democratici, quindi, sarebbero in difficoltà.
• Strano, no? Sapevo che Hillary era quella con più denaro.
L’altro giorno Hillary Clinton e Barack Obama sono andati a confrontarsi in pubblico al Kodak Theatre di Los Angeles. Gran folla, con un sacco di celebrità in platea (per dirne alcuni: Leonardo Di Caprio, Diane Keaton, Steven Spielberg). Tutti ansiosi di vedere scorrere il sangue, tanto più che l’arbitro-presentatore – Wolf Bitzer – aveva annunciat «L’unica regola di questo dibattito è che non ci sono regole!». E invece. Obama: «Eravamo amici prima di questa campagna e saremo amici anche quando sarà finita». Hillary: «Siamo entrambi democratici e il prossimo presidente dovrà risolvere i problemi ereditati dall’amministrazione Bush». Il resto della serata è andato avanti in questa atmosfera idilliaca. Che cosa ci dice questo improvviso cambio di toni nella partita democratica? Che l’avversario McCain fa paura e che tutti e due temono – attaccandosi troppo l’un l’altro – di pregiudicare gravemente il tratto finale della corsa. A che serve essere nominati, se poi le probabilità di vincere sono prossime allo zero? In realtà già dopo il debutto in Iowa gli esperti avevano raccomandato di andarci pian se sparlate troppo uno dell’altro finisce che ad avvantaggiarsene sarà soprattutto il candidato scelto dai repubblicani. Ma le manifestazioni di simpatia tra i due democratici significano anche qualcos’altr è possibile che, già dopo il Super Martedì, sia chiaro che la Clinton ha un vantaggio eccessivo sul suo avversario. Allora potrebbe accadere quello che parecchi democratici sognano, cioè la formazione di un ticket: lei candidata presidente e lui al suo fianco come vice. Sarebbe una combinazione di importanza storica: una donna e un nero insieme!
• Possono davvero vincere?
I repubblicani, alla vigilia, speravano proprio in una combinazione del genere. Sulla carta, un candidato-donna e un candidato-nero sembrerebbero essere in svantaggio, per via del pregiudizio. D’altra parte altre analisi dicono che chi deve votare per te voterà sempre per te e che il tuo problema, in campagna elettorale, è aggregare quote di consenso residue. Una prova: Obama, ieri, ha fatto un giro speciale tra le comunità dei pellerossa sparse in ben 12 dei 22 Stati chiamati a votare domani. Una minoranza, ma di un milione di persone, il cui contributo potrebbe risultare alla fine determinante. come il mezzo milione di voti che ha in dote Mastella: un niente, ma che alla fine può spostare l’ago della bilancia. Negli Stati Uniti – ricordiamolo – vige il maggioritario puro e può bastare un voto in più per pigliarsi tutto. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 3/2/2008]
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