Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ieri mattina Marini ha ricevuto Fini, Veltroni e Berlusconi, nel pomeriggio ha parlato con gli ex presidenti della Repubblica e ieri sera è salito al Quirinale per riconsegnare il mandato: benché tutti concordino sul fatto che la legge elettorale va cambiata, non c’è un’ipotesi di riforma capace di raccogliere una maggioranza. Napolitano dovrebbe prendere una decisione oggi. I telegiornali ieri sera davano per sicuro lo scioglimento delle Camere e le elezioni il 6 o il 13 aprile. Veltroni ha parlato di occasione mancata, Berlusconi ha detto che è certamente necessaria una fase costituente, che riformi lo Stato e le regole. Ma ha aggiunto che adesso si deve rinnovare il Parlamento e che ci sarà tempo dopo per praticare la politica delle larghe intese.
• Quindi si va alle elezioni?
Sì, non dovrebbero esserci ulteriori impedimenti al voto. Registro solo due stranezze. La prima è questa storia del Giornale, il quotidiano di famiglia. Ieri se n’è uscito con un titolone in prima pagina: «E se adesso Berlusconi facesse un patto elettorale con Veltroni?». Seguiva breve articolo del giovane direttore Mario Giordano, messo a quel posto da poche settimane, nel quale si parlava di un Cavaliere che rivolgeva a un tratto questa domanda ai suoi: «E se facessimo una coalizione con Veltroni per le prossime elezioni? In fondo basterebbero quindici punti di programma...» Seguivano un po’ di retroscena, per la verità assai sommari, in cui si raccontava dello stupore generale di fronte a questo nuovo colpo di genio del capo. Ieri hanno smentito tutti e Veltroni ha detto che è impossibile. Però è stran il direttore di quel quotidiano non è in grado di alzare il telefono e chiedere al Cavaliere che fondamento ha quella chiacchiera? Può pubblicare un retroscena simile senza che il padrone del giornale lo sappia? Tutto è possibile, ma converrà che è strano. Poi c’è il consiglio dei ministri, convocato ieri da Prodi per stamattina alle 10.
• Ah. E di che discutono?
All’ordine del giorno c’è l’approvazione del decreto presidenziale che fissa la data del referendum.
• Come!, un governo dimissionario può indire il referendum?
Sì, dopo l’approvazione della Corte costituzionale, la convocazione dei comizi referendari è un atto dovuto, cioè, ordinaria amministrazione. Il problema è casomai di natura logica: perché affannarsi a fissare la data del referendum, magari per il 20 aprile, se Napolitano sta per sciogliere le Camere? Ieri sera in televisione ho sentito questa spiegazione, data dal ministro Chiti: in questo modo si possono calcolare i 365 giorni da far decorrere per far svolgere il referendum l’anno prossimo. Ma è una spiegazione sballata: l’articolo 34 della legge istitutiva (la n. 352 del 1970) dice al terzo comma che i 365 giorni decorrono dalla data delle elezioni politiche, non da quella del referendum sospeso. Perciò non c’è alcun bisogno di fissare adesso la data del referendum.
• Non potrebbe essere che si sciolgono le Camere e poi si fa il referendum?
No, questo non può essere. Però l’altro giorno il Corriere della Sera ha pubblicato un articoletto di Luciano Violante, magistrato, giurista e soprattutto presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, la commissione cioè che dice di ogni legge se è in regola o no con la Costituzione. Insomma, uno che se ne intende. Violante ha spiegato che, pur essendoci la norma che vieta i referendum nell’anno delle politiche, si deve considerare il fatto «che questo referendum riguarda non una legge qualsiasi ma la legge elettorale, che, come hanno riconosciuto le recenti sentenze della Corte sul referendum, ha caratteri del tutto particolari perché determina le regole per eleggere i rappresentanti del Popolo. Chi ha sottoscritto il referendum - dice ancora Violante - intendeva eleggere il nuovo Parlamento con la legge referendaria. Se il Parlamento venisse eletto con la vecchia legge, verrebbe vanificato il senso stesso della richiesta dei referendari. In pratica, le forze politiche, incapaci di approvare una nuova legge elettorale, creerebbero le condizioni per lo scioglimento delle Camere, e quindi impedirebbero ai cittadini di pronunciarsi».
• Quindi?
Quindi se Napolitano sciogliesse le Camere, il Comitato dei referendari potrebbe sollevare conflitto di attribuzione e chiedere alla Corte costituzionale di imporre lo svolgimento del referendum prima delle politiche. Una legge del 1978 stabilisce che il Comitato promotore è un potere dello Stato alla pari della Presidenza della Repubblica e ha quindi titolo per mettere in discussione le decisioni dei Quirinale. Lo ha scritto Violante, e Napolitano di sicuro lo sa. Ed è probabile che lo sappiano anche Veltroni e Berlusconi. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 4/2/2008]
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