Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  febbraio 04 Lunedì calendario

Sebastiano Del Piombo. La Repubblica 4 febbraio 2008. Giorgione ha avuto molti allievi e seguaci. Uno di questi è stato Sebastiano Luciani, passato alla memoria della storia con il nome di Sebastiano del Piombo

Sebastiano Del Piombo. La Repubblica 4 febbraio 2008. Giorgione ha avuto molti allievi e seguaci. Uno di questi è stato Sebastiano Luciani, passato alla memoria della storia con il nome di Sebastiano del Piombo. Insieme con Michelangelo, Raffaello, Leonardo da Vinci, un "grande" del Rinascimento, rivalutato nel corso dei secoli dalla critica, ma ancora poco noto al grande pubblico e che per questo sarà il protagonista di un’ importante esposizione, la prima a lui dedicata, in tempi moderni, che si svolgerà dall’ 8 febbraio prossimo a Palazzo Venezia di Roma (fino al 18 maggio) per poi spostarsi alla Gemaldegalerie di Berlino (dal 28 giugno al 28 settembre). Sebastiano compì un tragitto emblematico da Venezia a Roma. Finché fu a Venezia assimilò tutti i comportamenti e tutti gli aspetti più tipici di un ambiente laico e progressista; trasferitosi a Roma, divenne l’ interprete più scrupoloso del Rinascimento contraddittorio e travagliato vigente nella Curia Papale. Il suo stesso epiteto, "del Piombo", passato poi a designarlo definitivamente, viene dalla sua vita professionale all’ interno della Curia. Era entrato a lavorare in Vaticano come alto funzionario responsabile dell’ ufficio della cosiddetta "piombatura" apostolica, un settore di alta rappresentanza dove venivano registrati e inventariati gli atti ufficiali, una sorta di protocollo delle delibere papali, di quella che oggi potremmo definire la Segreteria di Stato. Come Sebastiano avesse ottenuto un incarico del genere non è affatto chiaro. Certo era una persona in grado di farsi apprezzare se si pensa che a Roma il primo incarico importante, nella sua professione di artista stimatissimo, gli venne dal principale committente attivo nella Città Eterna, Agostino Chigi, il banchiere del Papa e uno degli uomini più ricchi del suo tempo. Agostino comandava su tutti e, per ciò che atteneva alla cultura e all’ arte, comandava perfino sul Papa. Era lui che, meglio di ogni altro, poteva costruire la carriera di un artista, e i lavori fatti da Sebastiano del Piombo nella villa Chigi sul Tevere, oggi nota col nome di Farnesina, giustificarono la stima riposta in lui dal finanziere. Che, quando decise di regolarizzare la sua situazione di convivente, pretese di celebrare le nozze riparatrici nella sua Villa e come celebrante volle Leone X il Papa Medici figlio di Lorenzo il Magnifico, e il Papa andò nella Villa con tutto il codazzo dei cardinali e celebrò il matrimonio sotto le volte della Loggia che Raffaello Sanzio, il primo pittore di Roma e del mondo, si era affrettato a affrescare con le storie di Amore e Psiche. Era il 1519 e Sebastiano del Piombo teneva Raffaello sotto attenta osservazione perché ormai la rivalità tra i due era esplosa in tutta la sua evidenza. Sebastiano e Michelangelo. Agostino ormai aveva abbandonato il maestro veneto e tutta la sua stima si era riversata su Raffaello. Di contro Sebastiano si era spostato nel campo avverso e da anni era considerato un po’ da tutti il migliore amico di Michelangelo Buonarroti. Certo è che fra i due ci fu un’ amicizia strettissima, improntata ad un’ affettuosità inconsueta, se si pensa soprattutto al carattere burbero del Buonarroti. Tutti sapevano che Michelangelo incontrando per la strada Leonardo da Vinci neanche lo salutava e tutti sapevano che Michelangelo detestava il giovane urbinate Raffaello che in pochi anni era riuscito a scalzarlo dalla posizione di artista sovrano e sapeva come lusingare i potenti. Michelangelo non lo sapeva ma aveva la chiara sensazione che bisogna attrezzarsi per mantenere il potere. Bisogna, per esempio, fare squadra e provò a farla anche se non ne era capace. Aveva bisogno di avere vicino a sé dei fedeli seguaci, degli allievi che lo assistessero e propagassero la sua opera. Aveva pensato che Sebastiano Luciani, il veneto che manifestava un enorme talento per la pittura e un immenso rispetto per lui, fosse la persona adatta. Cominciarono a fiorire le leggende. Si diceva che Sebastiano, proprio perché allievo di Giorgione, in realtà non sapesse disegnare sul serio e quindi non fosse in grado di concepire vere e proprie composizioni pittoriche. Si diceva che Michelangelo avesse preso a ben volere Sebastiano e che lo aiutasse segretamente. Gli forniva disegni e lo sosteneva per fargli ottenere incarichi. Proprio le cose migliori che Sebastiano tirava fuori erano gravate da questo sospetto. Michelangelo gli guidava la mano. E lo guidava anche nelle cose della vita in generale. A Viterbo Sebastiano aveva ricevuto l’ incarico di fare una maestosa Pietà per la chiesa di San Francesco della Rocca. Era un capolavoro ma correva voce che il disegno del mirabile corpo del Cristo morto lo avesse fatto Michelangelo e Sebastiano lo avesse dipinto con lo scrupolo e la competenza che gli venivano comunque riconosciuti. Poi Raffaello era morto a trentasette anni nel 1520 e Michelangelo aveva cercato di inserire subito Sebastiano tra coloro che sarebbero stati incaricati di completare le cose lasciate incompiute dall’ urbinate, ma senza risultato. E senza risultato era rimasta anche la strana gara che il cardinale Giulio de’ Medici aveva indetto poco tempo prima proprio tra Raffaello e Sebastiano. Dalla corte papale alla malinconia. La famiglia Medici teneva rapporti privilegiati con la Francia e Giulio volle approfittare dell’ occasione per dare un segno della potenza artistica di Roma. Volle che venisse fatta la più bella pala d’ altare dell’ universo e collocata nella sua chiesa a gloria sua, dell’ Italia e della forza della Chiesa nel contesto internazionale. Lutero aveva appena proclamato la condanna al Papa, a Roma, e al culto pagano dell’ arte messa al posto della coscienza e della fede in Cristo. Su un punto le obbiezioni di Lutero alla Curia romana apparivano condivisibili per tutti. La chiesa costituita nel nome di Cristo lo aveva dimenticato e l’ arte ne era la prova tangibile. Con tanti lavori immani che si stavano facendo negli ultimi venti anni tra architetture colossali, sculture monumentali, dipinti, affreschi, codici miniati, oggetti liturgici, nessuno si ricordava mai di rappresentare l’ immagine del Redentore. Michelangelo, certo, aveva esordito proprio con la Pietà e quest’ opera si era impressa nell’ immaginario collettivo ma poi anche lui aveva pensato ad altro. Era rimasto solo Sebastiano del Piombo a proporre ogni tanto l’ argomento principe della cristianità. Sebastiano si era distinto, in questo senso, per un lavoro destinato a diventare a suo volta un simbolo dei tempi nuovi, quando nel 1516 e il 1524 aveva dipinto la cappella dei signori Borgherini nella chiesa romana di San Pietro in Montorio. Qui il tema del Cristo era ritornato nell’ arte romana in tutta la sua potenza e suggestione. Ancora una volta era girata la solita voce. Michelangelo gli avrebbe dato i disegni per dipingere sul muro della cappella la Flagellazione di Cristo. Sebastiano sapeva usare la tecnica dell’ olio sul muro quasi sconosciuta ai pittori romani che lavoravano l’ affresco e aveva lasciato sbalorditi i primi osservatori per la magnificenza del risultato. Lo si può vedere ancora oggi anche se va ricordato come l’ olio sul muro tenda a scurire enormemente. che Sebastiano voleva dipingere "scuro" e questo fatto non dipendeva da Michelangelo ma dalla sua ispirazione. Quando la cappella Borgherini fu compiuta si capì un po’ meglio chi fosse Sebastiano del Piombo. Il disegno era gigantesco e solido ma le immagini apparivano meste e frustrate come se un velo di possente malinconia fosse stato calato sulla sacra rappresentazione. Si capiva meglio l’ intenzione del maestro. Era quella di entrare nella dimensione del buio e della notte quando tutto ancora può essere visto ma sta sprofondando nell’ oscurità. Gli storici del futuro avrebbero potuto così interpretare l’ intera sua parabola in questa chiave. La gara con Raffaello. A quel punto il cardinale Giulio de’ Medici lo chiamò e gli chiese di fargli il quadro per la cattedrale di Narbonne ma lo avvertì che la stessa cosa aveva chiesto a Raffaello. Poi avrebbe scelto il migliore. Questa, almeno, è la leggenda. Nessuno vinse la gara ma i due quadri rimasero a maggior gloria dell’ arte in sé. Il quadro di Sebastiano ora è a Londra nella National Gallery e rappresenta la Resurrezione di Lazzaro. Il quadro di Raffaello è ai Musei Vaticani e rappresenta la Trasfigurazione di Cristo. Il quadro di Raffaello è il regno della luce e quello di Sebastiano è quello della tenebra. Però da un punto di vista ideale Sebastiano aveva vinto la gara ancor prima di cominciarla. L’ ultimo incarico fu la Nascita della Vergine per la chiesa di Santa Maria del Popolo. Una enorme pala d’ altare da dipingere su lastre di ardesia con la tecnica della pittura a olio. Una vera sfida perché in quel modo il colore può resistere bene al passare del tempo. Morì nel 1547 a sessantadue anni senza essere riuscito a portare a termine la sua ultima fatica. CLAUDIO STRINATI