GIANCARLO DOTTO, La Stampa 4 febbraio 2008, 4 febbraio 2008
Patty Pravo. La Stampa 4 febbraio 2008. Prendi l’ascensore, schiaccia il pulsante giallo che ti tiro su io»
Patty Pravo. La Stampa 4 febbraio 2008. Prendi l’ascensore, schiaccia il pulsante giallo che ti tiro su io». Mi tira su lei. Da non crederci. La voce è quella dei gondolieri veneziani. Sei piani, dodici secondi per tornare indietro di quarant’anni, quando da schiacciare c’erano solo i brufoli della propria faccia e ci si turbava con poco, passare dopo le cinque davanti al Piper dove sfilavano le prime sventole in minigonna e stivali di vernice bianca. Patty Pravo o la devo chiamare Strambelli, dubbio che mi porterò nella tomba, è una di quelle bambole di porcellana che trovi in vetrina nella bottega di Avalon. Hai paura di toccarle perché ti si possono spezzare tra le dita e sono poi invece più infrangibili del titanio. Tiene in braccio Memè, un siamese indiano che pesa più di lei. Nell’insieme, due alieni. Sono appena sbarcati, lei e Memè, da un gigantesco tapis roulant, a lato della terrazza che si affaccia sulle statue del Vittoriano e le fontane del Bernini. «Ho fatto solo quaranta minuti oggi... Mi alleno al ritmo di James Brown, una volta o l’altra rischio di sfracellarmi». L’improbabile sessantenne calza Converse All Star quando sta in casa e se fa un party invita solo medici e musicisti. «I miei amici medici mi cacciano via quando mi vedono. L’ultimo check l’ho fatto l’altro ieri, la mia età biologica è di 35 anni. Del resto, ho una madre che a ottant’anni va ancora in moto». «Spero che ti piaccia... Pour Toi» è il suo ultimo disco. Dedicato a Dalida, a vent’anni dalla morte. «Avevo voglia di cantare le sue canzoni. Era una donna con le palle, molto divertente, il contrario della signora dark che tutti pensavano. Un’amica. Mi trascinava a Parigi a fare shopping, io che quando esco da un grande magazzino poi ho bisogno dello psichiatra. L’ultima volta l’ho lasciata a Lafayette...». Tutto cantato in francese e in arabo. Piacerà al suo pubblico? «Il mio pubblico va dagli otto agli ottant’anni. Quando abitavo nella vecchia casa c’era un ometto di dieci anni che veniva tutti i giorni sotto il balcone a cantarmi ”My Way”, come fossi Giulietta... Questo disco piacerà ai giovani. rilassante, ideale ascoltarlo mentre fai sesso». Era amica anche di Luigi Tenco. «Stava al Piper la sera in cui ci sono andata per la prima volta. C’era un grande affetto tra noi, ci siamo divisi anche la stanza. Lui tendeva all’autodistruttività. Erano gli anni degli esistenzialisti, dei blouson noir. Andavamo spesso con Renzo Arbore a salvarlo, prendeva di tutto, pillole, beveva. Fu molto spinto a farlo quel Sanremo. Lui voleva fare uno sberleffo. Invece dello sberleffo si è sparato». Era lui il ragazzo triste del suo primo folgorante singolo? «Circolava la voce che avesse collaborato al testo. Falso. Fu Gianni Boncompagni a scriverlo. Io contestavo quella storia del ”ragazzo triste come me”. Ma noi siamo allegri, protestavo. E Gianni: ”Mica posso scrivere "Ragazzo col malessere come me...”». «Pardonnez-moi. La vie m’est insupportable». il messaggio lasciato da Dalida il giorno in cui si suicida nella sua casa a Montmartre. Patty Pravo ha mai guardato con avidità un flacone di barbiturici? «No, per carità... al massimo due canne o un viaggio nel deserto a mangiare formiche con i tuareg. Ringrazio il cielo di essere una persona positiva... E poi, se proprio devi farlo, scegli i proiettili che ti scoppiano dentro, perché se poi sbagli rimani un vegetale a vita». Se non si muore giovani e hai superato i cinquanta tanto vale andare sino in fondo... parole di Patty Pravo. «Tutti sperano di morire giovani quando si fa il mio mestiere. Comodo. Uno passa alla storia, senza aver fatto nessuna fatica. La morte fa parte della vita. Ringrazio il cielo di essere nata a Venezia dove la morte si vedeva in casa. Ho visto morire mio nonno, senza dramma. Io mi auguro di morire nel sonno come mia nonna, oppure di sparire un giorno come i vecchi capi indiani». Canta un arabo che sembra napoletano. «Una rivelazione per un’anglofila come me. L’arabo è l’opposto dell’inglese, per dire l’amore è meraviglioso passi attraverso tre galassie e torni. Un giorno farò un disco tutto in arabo, ma il prossimo sarà in italiano e uscirà a ottobre». C’è anche un omaggio a Leo Ferrè. «Un grande amico Leo, un genio. Mi entra ancora dentro quando canto le sue cose. Divento una sua medium». Ha cantato «Ne me quitte pas» e «La bambola», «Avec le temps» e «La spada nel cuore» con Little Tony. «Volevo vedere com’era Sanremo. Abbiamo anche rischiato di vincere. Little Tony ci camperà altri cinquant’anni di felicità oltre che di diritti. Ho un grande rispetto per lui, si fa un culo così da sempre». Sempre sospesa tra il pop e l’aristocratico. «A breve partirò con due spettacoli, uno pop-rock, l’altro classico. Sarò un giorno alla Fenice di Venezia, l’altro in un palasport o in un’arena. A occhio e croce non sono molti artisti che possono permetterselo...». Intima di Red Ronnie e di Mario Schifano, di Aldo Fabrizi e di Mick Jagger, di Alighiero Noschese e di Juliette Greco, moglie di Riccardo Fogli e amica di Federico Fellini. «Lo accompagnavo spesso da uno che ci faceva le carte. Mi divertivo con lui, ci raccontavamo un sacco di bugie. Era deluso dalle mie tette. Non erano cresciute abbastanza». Quattro mariti e nessun figlio. «Non è compatibile con la vita d’artista. Che orrore quelle mamme che si portano i figli in concerto e li chiudono in camerino». Nella sua autobiografia esalta tre nomi, Battisti, Modugno e Vasco Rossi. Nessuna donna. «Ci metterei Jula De Palma. Quando cantava ”Tua tra le braccia tue, era avanti di vent’anni”. Mi piace molto Ornella Vanoni. Mina? Ha il dono ma tende a sprecarlo. Modugno è il più grande di tutti. Una sera tornammo tardi in albergo e scoppiò un casotto nella camera accanto la mia, dove Modugno e Shirley Bassey scopavano e urlavano con quei due vocioni. Dovetti bussare alla loro porta per farli zittire». Non cita Celentano. «Canta da Dio, ma il suo ultimo disco mi lascia un po’ così...». Ci risulta ospite al prossimo Sanremo. «Stiamo decidendo, dipende da cosa vogliono. Se mi chiedono di fare un medley non ci vado». Ha ancora senso un festival della canzone italiana? «No, ma lo sappiamo da vent’anni. La canzone italiana è diventata una cosa minore, prima era conosciuta in tutto il mondo. Poi dipende, se hai qualcosa, una visione da trasmettere, allora ci puoi anche andare a Sanremo...». Sarà una bella società fondata sulla libertà... Sembrava che il mondo dovesse cambiare molto in fretta. «Ma quale libertà... Fu solo una grande illusione. Le democrazie restano apparenti e gli uomini restano sotto padrone. C’è una totale confusione etica nel pianeta. Più passa il tempo e più credo alle leggi di natura». Il cardinale Roncalli frequentava casa sua a Venezia. «Lui e Cesco Baseggio venivano a prendere il tè da mia nonna, quando ero ancora Nicoletta, parlavo alle pantegane e facevo da giudice nelle gare tra i miei amici a chi faceva la pipì più lontano. Poi da grande ho molto amato Wojtyla, anche perché era uno di noi, aveva le folle ai suoi piedi. Ratzinger? Il popolo è stanco, ha bisogno di risposte, soluzioni, non di dogmi». Barack Obama o Hillary Clinton, prima donna presidente? «Che mi frega della prima donna presidente! Sono per Barack duemila volte. l’unico ad avere una statura internazionale. Ci credo, ora che si sono schierati i Kennedy con lui». L’uomo è sempre più superfluo. Non serve più neanche per lo sperma. «Quando la scienza si gingilla col nulla. A quando i gatti fluorescenti? Colpa delle donne se gli uomini sono in via di estinzione. Vogliono il potere, l’indipendenza, ma non gli puoi tagliare le palle così di colpo al maschio, dopo millenni. Va fatto con un minimo di grazia». L’aborto è un omicidio? «Gli americani hanno dimostrato che dopo nove settimane il feto è un essere compiuto. Io non sono per cambiare la legge. Piuttosto che abortire in un sottoscala, meglio l’ospedale. Ma incentiviamo l’uso e lo studio dei contraccettivi». Patty Pravo è un classico? «Ho scoperto di avere una gran voce a cinquant’anni, cantando sopra Ella Fitzgerald giovane. Mai preso lezioni. La maestra di Barbara Streisand e di Janis Joplin mi diceva: tu devi cantare d’istinto, le cose che tu fai sbagliate son quelle giuste». Giancarlo Dotto