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 2008  febbraio 03 Domenica calendario

UNO SQUILLO NELL’ALBA

Corriere della Sera 3 febbraio 2008.
L A STORIA CHE STO PER RACCONTARE TRISTE, AVVILENTE, URTANTE; EPPURE, NELLA SUA SINISTRA NEGATIVIT, SE SI AVR VOGLIA DI SEGUIRMI FINO IN FONDO, ESSA PU RISULTARE RINCUORANTE.
DAL PUNTO DI VISTA BASILARE PER UNA SOCIET CIVILE: QUELLO CHE AFFERMA IL PRINCIPIO DI VERIT E GIUSTIZIA.
E’ la storia di un ragazzo, bello è dir poco a guardarlo nelle foto dei giornali, fermato da una pattuglia della polizia all’alba di due anni fa presso casa, a Ferrara, e assurdamente morto in quella circostanza. Un ragazzo di diciotto anni compiuti da un mese, studente in un istituto per periti elettrotecnici, alto, riccioli neri, sportivo, disposto, per non gravare troppo sulla famiglia, a distribuire nel tempo libero pizze in giro per la città. Un confortante esempio di gioventù, in questi nostri giorni di disperato bisogno di futuro.
I francobolli all’Lsd
Certo, Federico Aldrovandi, la sera usciva con gli amici e come molti dei suoi coetanei, giusto per non essere da meno, non mancava d’impasticcarsi. Quella notte, in trasferta a Bologna, dove aveva ballato in un centro sociale, pare avesse leccato - così riferiscono i cronisti - un paio di francobolli all’Lsd, oppure assunto dell’ecstasy. Di ritorno in auto a Ferrara già oltre le 5, si era fatto lasciare dagli amici nei pressi dell’ippodromo, piuttosto distante da casa sua. Dicono facesse sempre così, che preferisse andare un po’ a piedi nella fresca aria di fine notte, forse per smaltire gli ultimi effetti dello stupefacente.
Quella mattina, era il 25 settembre 2005, una domenica, Federico stava dunque andando verso casa. Ma è conveniente usare il condizionale perché tutto, da quel momento, è oscuro, indecifrabile, contraddittorio, per certi versi irreale. Secondo quanto dichiarato in un primo tempo dai poliziotti che intervennero, il ragazzo dava in escandescenze, sbattendo la testa contro i pali della luce. Sarebbe stata una donna, alle 5.47, a chiamare il 112, il centralino del pronto intervento dei carabinieri. Ma i carabinieri non sarebbero intervenuti perché quella zona di Ferrara sarebbe di competenza della polizia (immaginate un caso d’urgenza? Voi che telefonate e dall’altra parte vi dicono che non è di pertinenza dei carabinieri ma della polizia? No, non lo si può credere, ma questa è un’altra storia…).
Chiarite le competenze, intervenne, dunque, una pattuglia della polizia. Due agenti che – è la versione della Questura – si sarebbero trovati davanti a un energumeno in preda a chissà quali furori, scalciante e urlante. Dico subito che Federico Aldrovanti risultò essere cintura marrone di karate, particolare aggravante per lui, ma che, viste come sono andate le cose quella mattina, ora appare soltanto grottesco. Arrivarono, chiamati, i rinforzi: un’altra volante dalla quale scesero altri due poliziotti, uno dei quali donna. Il ragazzo - sempre dalle dichiarazioni degli agenti - si sarebbe comportato da indemoniato, sferrando calci, urlando. Alla fine, dopo lunga colluttazione, sarebbe stato messo faccia a terra e ammanettato.
Basta? Sì, basta. Ma lo studente, «vestito come uno dei centri sociali», non parla più, non si muove più. Sembra svenuto o addirittura - ma chi lo avrebbe detto? - morto.
La sirena dell’ambulanza
E’ ormai giorno fatto quando la sirena di un’ambulanza della Croce Rossa sveglia via dell’Ippodromo, in un tranquillo quartiere della tranquillissima Ferrara. Il medico, la dottoressa Barbara Fogli, e l’infermiere Gerardo Coppa, tentano di «svegliare» quel povero ragazzo con il defibrillatore, poi tentano l’impossibile iniettandogli adrenalina in vena. Ma non c’è più niente da fare. Federico è morto. Ma perché quelle manette? Chiede la dottoressa. E perché il ragazzo presenta ferite al volto ed è insanguinato? E perché (ma questo se lo chiede chi scrive) il cellulare di quel povero cristo continua a squillare e nessuno dei poliziotti lo prende per rispondere? Ma è una domanda ingenua. Il perché è facilmente immaginabile. A chiamare sarà qualcuno della famiglia del ragazzo, forse la madre: e cosa si può rispondere in quei momenti? Cosa possono dire, quei poliziotti, prima di avere messo a posto il rapporto e chiuso quel maledetto caso?
Quel corpo a terra, ora coperto con un lenzuolo, e il telefonino che continua a squillare. Ed è la madre di Federico a chiamare, a intervalli sempre più ravvicinati: è il particolare più agghiacciante della storia che sto ricostruendo, questo; un particolare su cui ritorneremo, perché importantissimo da un punto di vista simbolico.
Il cadavere viene portato all’obitorio. Un poliziotto si reca in casa Aldrovandi. La madre di Federico, Patrizia Moretti, quarantasette anni, impiegata comunale, accoglie la notizia come può farlo qualunque madre. Si accascia e ascolta inebetita: suo figlio è morto perché era drogato, si è fatto male da solo, sferrando testate contro i pali della luce. Abbiamo fatto di tutto, ma non lo abbiamo potuto fermare. Ci dispiace. Siamo a disposizione… Lì per lì, la signora Aldrovandi non ha granché da dire.
Era andato con gli amici a Bologna, in un centro sociale, poi il ritorno a Ferrara e gli ultimi metri a piedi verso casa
Matteo Collura

La vicenda
Quell’arresto violento e misterioso
La morte
Federico Aldrovandi, 18 anni, muore la mattina del 25 settembre 2005 a Ferrara. Il giovane era appena tornato da una notte trascorsa a ballare e stava rientrando in casa. Fu fermato dalla polizia e, durante le violente fasi dell’arresto, morì.
La denuncia
I genitori e gli amici di Federico non hanno mai creduto alla spiegazione ufficiale fornita dalla polizia sulla morte del ragazzo. La madre ha aperto, poco dopo la morte, un blog ( foto) e da lì sono partite tutte le iniziative tese a stabilire l’esatta ricostruzione di quanto avvenuto quella mattina.

Il processo
E’ in corso a Ferrara, davanti al giudice monocratico, il processo per la morte di Federico. A giudizio quattro agenti di polizia accusati dal pubblico ministero di eccesso colposo per aver «cagionato o comunque concorso a cagionare il decesso» del diciottenne. Per il reato è prevista la stessa pena dell’omicidio colposo.

L’autore
Matteo Collura, nato nel 1945 ad Agrigento, vive da trenta anni a Milano. In letteratura ha esordito nel 1979 con Associazione indigenti,
romanzo pubblicato da Einaudi. Successivamente ha pubblicato la biografia di Leonardo Sciascia, Il Maestro di Regalpetra (1996) Sempre per Longanesi ha pubblicato Eventi (1999); Alfabeto eretico
(2002); In Sicilia (2004); Qualcuno ha ucciso il generale (2006) e L’isola senza ponte (2007). Ha appena scritto un dramma teatrale tratto da
Todo modo di Sciascia.