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 2008  febbraio 03 Domenica calendario

«Un giorno sono andato in bagno e sono uscito che ero ministro». Libero 3 febbraio 2008. Uno è chiuso nella toilette a contare le sue boccette di profumo

«Un giorno sono andato in bagno e sono uscito che ero ministro». Libero 3 febbraio 2008. Uno è chiuso nella toilette a contare le sue boccette di profumo. A un certo punto, la suocera bussa e gli fa: «Vedi che ti cercano da Roma, dicono che devi andare a fare il ministro». Non è una barzelletta. la vera storia di Mario Landolfi. Un collezionista di colonie d’antan approdato in An - via Secolo d’Italia - che un bel giorno si è ritrovato nel governo Berlusconi, per giunta nel ministero più caro al premier (le Comunicazioni), senza sapere né come né perché . «Da infarto», giura lui che nel frattempo è diventato due volte presidente della commissione di Vigilanza Rai. Peggio: « come buttarsi col paracadute». Di più: «Come fare bungee jumping». Lì per lì gli è venuto un coccolone. Poi però c’ha preso gusto. E infatti, sentendo approssimarsi le elezioni, si rioffre volontario per largo di Brazzà. Mario Landolfi: l’unico uomo di Mondragone che detesta la mozzarella. «Mi piace cotta». Dal paradosso alla bestemmia. «La mozzarella mi piace sulla pizza e nella lasagna: quando perde il latte». Cos’ha fatto, indigestione da piccolo? «Una volta mia sorella mi inforcò una mozzarella intera in bocca. Fu un trauma. Una tragedia». Oltre agli attentati fratricidi di sua sorella, cos’altro ricorda della sua infanzia a Mondragone? «Il mio amico Pasquale, che è morto a 20 anni, nel ’73, l’anno del colera». Morì di colera? «No, morì di motocicletta. Suo papà, un professore di musica che oggi ha cent’anni, era il proprietario della casa in cui abitavo. Si trasferirono a Caserta, dove Pasquale diventò l’agitatore di un circolo marxista-leninista». Lo sa Fini che lei bazzicava i marxisti-leninisti? «Sono fiero del mio primo vero amico. Anche se Pasquale era più grande di me di sei anni...». Non si lasciò contagiare dal marxismo-leninismo? «Assolutamente no, ero refrattario. Poi un giorno partì per una gita in moto, e quando tornò fece un giro attorno a una fontana, perse l’equilibrio, cadde e morì. Era estate. Ricordo il feretro con sopra la bandiera rossa. La tolsero per farlo entrare in chiesa e tutti i suoi compagni, che avevano un fiore rosso all’occhiello, lo salutarono col pugno chiuso». La scuola? «Non ero uno studente modello». Quante volte è stato bocciato? «Mai. Rimandato sempre. Al ginnasio, in matematica fisso. Ma anche in latino e greco. La mia è stata un’infanzia un po’ turbolenta. Ricordo mia madre che mi cercava sempre e non mi trovava, perché venivo inghiottito appena giravo l’angolo». Inghiottito da che? «Dalla compagnia. Quando avevo otto anni, a pasquetta, dopo aver servito messa, me ne andai per i campi con i miei amici. Non mi accorsi del tempo che passava. Intanto a casa mia avevano quasi chiamato l’esercito. E quando tornai, mio padre mi fece un "paliatone" che non me lo scordo più». Che giochi facevate? «I campi venivano conquistati quasi sempre con una "petriata"». "Petriata"? «Era la sassaiola che si faceva tra bande di bambini per conquistare un campo». L’intifada di Mondragone. «Più o meno. Andavamo alla conquista con le pile e gli scatoli in testa. Alla fine degli anni Sessanta non è che ci fossero le palestre. Allora si giocava solo a pallone nei prati». Com’era il ’68 visto da Mondragone? «Pieno di capelloni». Anche lei era un capellone? «Avevo nove anni, però i capelli li portavo lunghi pure io. E anche i pantaloni a zampa d’elefante. Ne tenevo tre paia: viola, azzurri e verde pisello. Quelli viola mi si strapparono tutti un giorno che mi investì una Vespa mentre andavamo al mare». Capellone e con i pantaloni a zampa. Ma che razza di fascista era? «Era la moda. Si andava dal sarto. C’era tutta una litania: pantalone stretto sopra e svasato sotto. Corto di cavallo, a vita bassa, senza tasche laterali». Il suo papà monarchico avrà avuto un shock. «Appartengo a una dinastia di profumieri casertani. I miei erano aperti alla moda. Nella profumeria di mio padre il ’68 arrivò con i cinturoni che avevano dei fibbioni grossi così e con i medaglioni peace and love . Ricordo questi giovani che partivano dalla ruralità e diventavano figli dei fiori». Tipo lei. «In effetti tenevo pure una camicia viola fiorata con il collettone tondo». L’indole "fiorata" un po’ le è rimasta: è il più grande collezionista di profumi di Montecitorio. «Colleziono profumi francesi d’epoca, che risalgono a prima della guerra. Mio nonno, più che un commerciante, era un collezionista. Quando morì, a Caserta trovammo casse intere di prodotti di profumeria che conservo a casa in delle teche. Adesso ho trovato un bagnoschiuma degli anni Quaranta: "Pinbaume", balsamo al pino. Stupendo». Che profumo consiglierebbe a Fini? «Un vecchio profumo, "Classic Cologne", di Elisabeth Arden (Arden for man). Un’essenza molto maschia, adatta alla personalità di Fini, che è un uomo diretto, senza fronzoli». Come ha fatto da Mondragone ad arrivare a via della Scrofa? «Ci vuole fortuna. Ho cominciato a far politica nel movimento giovanile del Msi. Mi iscrissi a 13 anni, ma dissi che ne avevo 14 per potermi tesserare. Sono cresciuto in una sezione ricavata in una taverna dove sopra c’era scritto "Covo" con la vernice spray. Feci tutto il percorso classico della militanza, ma in un centro di 30mila abitanti, dove tutta la sezione del Pci era apparentata con un nostro iscritto». Manganellate? «Non si andava oltre qualche ceffone. Respiravamo il clima di quegli anni, ma a Mondragone era difficile succedesse qualcosa. Io lì mi candidai al Consiglio comunale nell’83 e fui eletto. Nell’85 fui il primo dei non eletti alla Provincia. Nel ’94 ci fu la candidatura alla Camera, dove fui uno dei sei, sette in tutt’Italia ad essere eletto solo col simbolo di An». Non le piaceva Berlusconi? «Da noi l’alleanza con FI non si chiuse». Lei è anche l’unico di An escluso dalla cerchia dei "governativi" che si è ritrovato ministro. «Quello fu un altro shock. Un’esperienza fantastica, irripetibile... Fantastica e basta, va. Tolga "ir ripetibile". Si può sempre ripetere». Si sta per caso ricandidando a ministro? «Sarei un ipocrita se dicessi che non ci penso». Sempre alle Comunicazioni? «Chi fa politica è giusto che sia generalista. Però mi piacerebbe rifare il ministro delle Comunicazioni». C’è stato tutto un florilegio sulla notte della sua investitura. Ci dice la sua versione? «Io stavo a casa. A un certo punto, mia suocera mi chiamò e mi disse: "Ti stanno cercando da Roma. Ti vuole una certa batteria..." (il centralino dei parlamentari, ndr). Riattivai il telefonino e mi arrivò subito la chiamata di Sottile, l’ex portavoce del leader di An». Lei allora non mirava a diventare sottosegretario alle Riforme? «Infatti, siccome ne avevamo parlato il giorno prima con Fini, pensai: forse mi chiama per dirmi che non lo faccio più. Invece Salvo mi disse: "Ti sta cercando Gianfranco per dirti che farai il ministro delle Comunicazioni». E lei? «"Mi prendi in giro?", gli dissi. "No, no", fece lui, "stasera è successo un casino, Gasparri non fa più il ministro, lo fai tu". Io continuavo a non crederci. Sin quando non mi chiamò Fini: "Te la senti?"». Manco a dirlo. «D’altra parte, se uno gioca in serie A e lo convocano in Nazionale, non può dire "non me la sento". Ci deve andare punto e basta». Non è che le facesse proprio schifo. «Per poco non mi prese un infarto. Ha presente quando uno si lancia col paracadute?». Non proprio... «Uguale. Mi sentivo come quando uno si butta con l’elastico». Bungee jumping. Fini lo aveva chiesto prima a La Russa che rifiutò. Lei non si sentì un ripiego? «Ci mancherebbe. In un partito esistono delle gerarchie. La Russa è il capogruppo alla Camera». Non si sentì neanche in imbarazzo verso Gasparri? «No, anche perché qualcuno avrebbe pur dovuto prendere il suo posto. Chiunque avrebbe accettato. La richiesta veniva dal presidente del partito». Ma se non lo chiamò neppure dopo che lo sostituì... «Chiamai Maurizio dopo qualche giorno perché fui investito dalla buriana». Questo non compromise i vostri rapporti? «Assolutamente no. Facemmo un passaggio delle consegne davanti alle telecamere». Poi dietro vi siete presi a pesci in faccia. «No, anzi, Gasparri mi diede anche dei consigli». Barbara Romano