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 2008  febbraio 03 Domenica calendario

volare. La repubblica 3 febbraio 2008. Era una notte buia e tempestosa quando arrivò l´intuizione finale della più famosa canzone italiana di tutti i tempi

volare. La repubblica 3 febbraio 2008. Era una notte buia e tempestosa quando arrivò l´intuizione finale della più famosa canzone italiana di tutti i tempi. La moglie, Franca Gandolfi, una intera vita vissuta accanto a Modugno, ricorda ancora con trepidazione quel momento magico: «Eravamo nella nostra prima casa, c´era il pianoforte attaccato alla finestra. Mimmo si arrovellava, la canzone c´era, ma ancora incompleta, non era soddisfatto, il ritornello era "Di blu m´ero dipinto, per intonarmi al cielo", diceva che gli mancava un´apertura. Quella sera era scoppiato un temporale pazzesco, tanta elettricità nell´aria, c´era talmente tanto vento che a un certo punto la finestra si spalancò. Mimmo cominciò a recitare, sembrava uno sciamano, improvvisava versi». «Non ho mai capito se fosse una poesia che già esisteva o se li stava inventando, poi arrivò la frase musicale: prima fu "volavo oh oh", poi la spostò all´infinito, alla fine diventò "volare oh oh". Era felice, urlava a squarciagola. Chiamò subito Migliacci, gli disse vieni a sentire, la canzone è finita». Se ogni volta che nasce una canzone si può parlare di un piccolo miracolo dell´ingegno umano, allora il caso di Volare è un autentico prodigio, nasce da una concatenazione di eventi che ha dell´incredibile. La gestazione è stata lunga, non facilissima, a dispetto di quello che mostra, ovvero la sua irresistibile naturalezza, quella grazia che sembra arrivata di getto, come un´epifania. Lo fu certamente per il pubblico, per l´Italia che improvvisamente scoprì la sua voglia di rinascere, di diventare moderna, di volare, ma per gli autori ci volle del tempo. Franco Migliacci era amico di Modugno, si erano conosciuti al Centro sperimentale di cinematografia, entrambi pensavano che avrebbero fatto gli attori. Modugno gli diceva: prova a scrivere un testo. Non lo aveva mai fatto (e anche questo ha dell´incredibile), finché un sonno turbolento, agitato, lo portò al risveglio a guardare bene delle stampe di Chagall appese alle pareti e a conciliarle col sogno di volo che aveva fatto. Da lì la scintilla, le prime frasi: «Nel blu dipinto di blu, volavo nel cielo blu». Modugno intuì subito che era una grande idea, disse «Mi piace, mi piace assai», e ci lavorarono per giorni. A casa Modugno, in un sottoscala, c´è l´archivio che sta curando di persona la signora Gandolfi. Un computer, dove sta entrando tutto il materiale della strepitosa carriera di Modugno, ci restituisce manoscritto dopo manoscritto l´emozionante processo che ha portato all´idea finale: all´inizio si chiamava Sogno in blu, diceva: «Ieri ho sognato il più bello dei sogni perché mi dipingevo le mani e la faccia di blu, poi come un foglio di carta dal vento rapito, incominciavo a volare nel cielo infinito». Alcune parole sono rimaste nella versione definitiva, altre no, ma soprattutto cambia il ritornello: «Di blu m´ero dipinto e me ne andavo in cielo», ma era proprio questo che non convinceva, ci voleva dell´altro. In un´altra leggiamo l´incipit che sarà definitivo: «Penso che un sogno così...», ma ancora col vecchio ritornello. Di fase in fase, di gradino in gradino, nasce il capolavoro, fino alla notte di tempesta con la finestra che si spalanca. Ma non è finita, la concatenazione di eventi è ancora più straordinaria. «Nessuno capì subito la portata della cosa che avevano in mano. Sapevano che era molto originale, ci credevano, ma da lì a immaginare il successo che avrebbe avuto, ce ne vuole». Nessuno lo pensava, al punto che neanche lo stesso Modugno era sicuro di volerla cantare. Volevano mandarla a Sanremo ma interpretata da qualcun altro. Fortuna volle che ai cantanti di allora quella canzone sembrò una follia, incantabile, assurda, senza senso. Fu l´avvocato Caiafa della FonitCetra a dire: «Sei l´unico che può farla, Mimmo, questa la canti tu!». E così avvenne. Il resto è storia. Al festival del 1958 la canzone aprì una finestra su un mondo che allora si riusciva solo a sognare. Entrando nello studio di Modugno c´è ancora il riverbero di queste storie, una foto-santino dell´avvocato Caiafa, una chitarra fatta con fiammiferi che un gruppo di carcerati costruì per lui quando incise la canzone Libero, la prima locandina di Volare disegnata da Crepax, tanti quadri alle pareti, premi a non finire, dei bellissimi disegni di Guttuso che ritraggono il viso di Modugno, le sue pose quando suonava la chitarra. C´è ancora il pianoforte, ma soprattutto c´è ancora attaccata alle pareti la personalità di Modugno, il gusto per l´arte figurativa, la personalità aperta e prorompente, la generosità, la voglia di fare, indomabile, anche dopo aver subito l´ictus nel 1984, la volontà che lo portò a riprendersi, a cantare ancora, a svolgere attività politica a fianco dei radicali. «Certo, fu difficile per lui accettare la malattia», ricorda Franca Gandolfi, «poi si accettò e visse bene gli anni che gli sono rimasti. Aveva bisogno di assistenza, io stavo sempre con lui, era faticosissimo, mille impedimenti, scale, siamo stati dovunque, ma lui non si arrendeva. E alla fine è stato anche divertente, perché viaggiare con i radicali era diverso, sembravano viaggi alternativi, senza soldi». Nello studio campeggia una foto istituzionale, quella di Modugno senatore, a palazzo Madama, uno dei rari momenti in cui lo vediamo compassato, fermo, solo un frammento di una vita traboccante di avvenimenti, vissuta sempre come una sfida, fin da quando da Polignano volle trasferirsi a Roma, senza un soldo, e si fece ospitare in un convento dei Carmelitani, attratto dal sogno del cinema e della carriera di attore, un´idea che non lo ha mai abbandonato, malgrado i successi canori. «Non è così strano» ricorda la moglie, «quando era piccolo nei paesini non c´era la televisione, c´era il fascino del cinema, proprio come nel film di Tornatore, Nuovo cinema Paradiso; l´educazione musicale ce l´aveva in casa, il padre suonava la chitarra, cantavano le canzoni napoletane, però il sogno era il cinema, ci andava sempre, ci stava tutto il giorno, sognava Spencer Tracy, il suo attore preferito». Quando si presentò al Centro sperimentale di cinematografia il provino glielo fece Luigi Zampa (e ne esiste una memoria visiva ritrovata negli archivi del Centro, inclusa nel bel documentario Caro Modugno di Rudi Assuntino che la televisione ha messo in onda qualche anno fa). Modugno non aveva nulla di pronto ma, disse, «potrei raccontare una barzelletta...», e l´effetto fu travolgente, fu preso all´istante. In fondo, quando cantò Volare aveva già trent´anni e di canzoni ne aveva scritte già molte e alcune sono tra le sue più belle. La sveglietta, La donna riccia, Lu pisci spada, e soprattutto Vecchio frac, l´altro capolavoro, erano tutte precedenti, era già stato a Sanremo nel 1956 con Musetto (scritta con Riccardo Pazzaglia e dedicata alla moglie), ma il suo successo era relativo, era amato da intellettuali e intenditori, Massimo Mila scrisse un peana celebrando la forza tellurica e primigenia del suo canto, ma è indubbio che nella leggenda ci entrò grazie a Volare. «Tra le altre cose era stato a Parigi, lì aveva capito l´importanza della mise en scène, della teatralità, la canzone si interpreta, diceva, e noi infatti ridevamo sempre dei cantanti impostati, lui doveva andare controcorrente, voleva il gesto, e allora inventò quelle braccia alzate». Quando Franca Gandolfi parla si avverte il dolore del rimpianto, ma anche la gioia di rivivere i momenti belli della loro storia d´amore, l´abnegazione di una donna che aveva una promettente carriera teatrale davanti a sé e ci ha rinunciato per seguire il marito: «Mi usava come cavia, perché lui per giudicare una canzone voleva sentirla cantata e quindi sì, in un certo senso sono stata io la prima a eseguire Volare, ma ovviamente solo a casa, in privato. Poi ho anche inciso con lui, La cicoria, per esempio. Ci sposammo nel 1955. Quando scoppiò il successo di Volare io ero incinta di Marco, il primogenito, quindi restai a casa mentre lui stava in America, al posto mio se lo visse Migliacci che mi raccontava le cose assurde che accadevano lì, un successo trionfale, come solo in America sanno fare. Quando nacque Marco, Mimmo non c´era perché aveva calcolato tutto per esserci, ma fu un parto leggermente prematuro, mi ricordo che c´erano tutti gli amici intorno, chi mi teneva la mano, chi mi carezzava, chi mi parlava, facevano le veci di Mimmo». Dai ricordi emerge il ritratto di un uomo generoso, passionale, attento alle persone con cui lavorava, che lo amavano senza riserve, uno che non si tirava mai indietro, padre affettuoso («Non c´era quasi mai, ma quando ci stava si dedicava completamente, raccontava delle storie inventate, mi ricordo una serie che era Pissi pissi e il drago, i ragazzi stavano ore ad ascoltarlo»), dotato di una spiccata poliedricità, ma anche impetuoso, "fumino" come lo definisce la moglie, capace di rifiutarsi di portare Rinaldo in Campo in America, e sarebbe stato un sicuro trionfo, solo per un banale diverbio con Garinei e Giovannini, o di rifiutare Alleluja brava gente per una discussione con Renato Rascel, che pure stimava tantissimo. «Anche io ci litigavo spesso», ricorda la moglie, «quando una canzone non mi piaceva glielo dicevo, qualche volta l´ho convinto, altre no, per esempio Che me ne importa a me, la odiavo. Ci fu una litigata tremenda per Libero. Mimmo aveva anche Io e io gli dicevo che a Sanremo dovevano portare quella. Libero era una canzone che poteva dar fastidio alle donne, anche a me che ormai ero accasata, coi figli, dava fastidio, e infatti non vinse». Un artista che trovava sempre il modo di appagare la sua voglia di spettacolo. Quando il suo mondo di canzoni era meno capito, meno di moda, benché sia stato incontestabilmente il primo vero cantautore della musica italiana, Modugno cominciò a fare tanto teatro e questo lo esaltava, l´idea di conquistare il pubblico ogni sera lo rendeva felice, se ne fregava del successo delle canzoni, voleva vivere il palcoscenico, sempre, ma di questo purtroppo ci sono poche tracce. Perfino l´Opera da tre soldi con Strehler non fu mai filmata. Una storia ricca di alti e bassi, colpi di scena, geniali resurrezioni, sempre accompagnata idealmente dall´idea del mare, («il mio liquido amniotico» lo chiamava), ed è proprio davanti al mare che la sua vita è terminata. «Era un nuotatore straordinario» ricorda la moglie, «anche dopo la malattia, anzi si sentiva più libero in acqua, andava al largo, lontanissimo. Gli ultimi giorni li ha vissuti a Lampedusa. Quella sera siamo andati al solito caffè, a prendere il gelato di nocciola, vennero tutti i suoi vecchi amici, e stava benissimo, sembrava quasi che non avesse avuto la malattia. Quel giorno si era fatto tre ore in mare, lo avevo rimproverato, e lui rispose come sempre: "Mi va così", quasi con sfida. La sera poi arrivarono quelli del Wwf, dovevano mettere in mare una tartaruga, e dissero a Mimmo se aveva voglia di farlo lui. Ci aveva sempre litigato perché quei ragazzi a volte esageravano, allora lui, per riconciliarsi con loro, si mise la maglietta del Wwf e si avviò a piedi sulla spiaggia, era una distanza lunga e poi sulla sabbia, una gran fatica. C´era un sacco di gente a fotografare, lui in mezzo che camminava col bastone sulla spiaggia. Un ragazzo portava la tartaruga e quando arrivarono al bagnasciuga prese e la buttò a mare. Mimmo si arrabbiò come un matto perché diceva: ma come, tutta questa strada perché dovevo buttarla in mare io e poi… Pensava che l´avessero fatto apposta per prenderlo per il culo. Si arrabbiò come un matto e si sentì male». Non l´avevano fatto apposta. Solo dopo si è saputo che il ragazzo che portava la tartaruga era sordomuto, non aveva sentito le proteste di Modugno. Per una volta, la fortuna in cui aveva sempre creduto, gli aveva voltato le spalle e proprio di fronte al suo mare. Gino Castaldo