La Repubblica 3 febbraio 2008, Natalia Aspesi, 3 febbraio 2008
Tags : Anno 1901. Raggruppati per paesi. Svezia
Le ragazze da Nobel geniali cenerentole. La Repubblica 3 febbraio 2008. Sofia Kovalevskaja adorava la matematica in tempi in cui uno scrittore come August Strindberg, non più misogino di altri, così aveva accolto il suo arrivo all´università di Stoccolma: «Una femmina professore di matematica è un fenomeno pernicioso e sgradevole persino, si potrebbe dire una mostruosità: e il fatto che sia stata invitata in un paese dove ci sono così tanti maschi matematici di gran lunga superiori può essere spiegato soltanto con la galanteria degli svedesi verso il sesso femminile»
Le ragazze da Nobel geniali cenerentole. La Repubblica 3 febbraio 2008. Sofia Kovalevskaja adorava la matematica in tempi in cui uno scrittore come August Strindberg, non più misogino di altri, così aveva accolto il suo arrivo all´università di Stoccolma: «Una femmina professore di matematica è un fenomeno pernicioso e sgradevole persino, si potrebbe dire una mostruosità: e il fatto che sia stata invitata in un paese dove ci sono così tanti maschi matematici di gran lunga superiori può essere spiegato soltanto con la galanteria degli svedesi verso il sesso femminile». In quella seconda metà del Diciannovesimo secolo in cui sempre più donne si infiammavano fastidiose per le scienze, gli stessi scienziati si affannavano ad affermare che ogni legame tra femminilità e cervello, essendo contro natura, non solo sarebbe stato causa della rovina delle donne, ma avrebbe anche portato alla fine dell´umanità. Quasi mezzo secolo prima che Sofia nascesse, era stata un´altra giovane donna, Sophie Germain, che per passare il tempo mentre impazzava il Terrore aveva imparato da sola il calcolo differenziale, a vincere nella Parigi napoleonica il gran premio dell´Istituto di Francia per le scienze matematiche e fisiche, pur essendo stata sempre tenuta fuori dalla comunità scientifica, ovviamente in quanto donna. Gli uomini sapevano tutto dei limiti e delle inadeguatezze delle donne, avendoli teorizzati loro senza peraltro consultarle, e si affannavano a spiegarglieli per il loro bene. Kant, che la sapeva lunga in quanto massimo pensatore, l´aveva già annunciato decenni prima, affinché non si facessero illusioni e stessero al loro posto: «Ogni conoscenza astratta, ogni conoscenza che sia essenziale, si avverte deve essere lasciata alla mente solida e laboriosa dell´uomo. Per questa ragione le donne non impareranno mai la geometria». Invece Sofia Kovalevskaja la geometria, anzi la geometria analitica, la imparò in un baleno, allenata com´era, sin da piccola, a scrutare i fogli delle lezioni litografate di Ostrogradiskij sul calcolo differenziale e integrale con cui in mancanza di carta da parati era stata tappezzata la sua cameretta. Come altre ragazze aristocratiche russe che volevano andare a studiare all´estero, organizzò un matrimonio di convenienza per poter avere il passaporto: poi si sa, anche in Europa, una donna, il suo fragile cervello, il decoro, la matematica! Immense difficoltà ad assistere alle lezioni, fatiche incommensurabili per avere il permesso di frequentare la biblioteca universitaria e lei imperterrita che nel 1875, a venticinque anni, presenta La teoria delle equazioni differenziali parziali e pubblica il saggio sulla Riduzione di una classe di integrali abeliani di 3° grado a integrali ellittici. Otterrà la laurea, sia pure "in absentia", in quanto era indecoroso che una donna si presentasse di persona, ma non un lavoro essendo impensabile un posto per un dottore in matematica così difettoso da essere donna; e tuttavia vincerà il massimo riconoscimento scientifico francese, il Prix Bourdin, con il miglior saggio sulla Rotazione di un corpo rigido intorno a un punto fisso. Molto carina, civetta, femminile, ottima scrittrice, nichilista impegnata, sposata, separata da un marito poi suicida, madre di una bambina, poi pazza d´amore per uno storico russo e decisa a piantar tutto per sposarlo, morì per un attacco di cuore a quarant´anni, sospirando: «Troppa felicità». C´è una sorta di vago legame tra la bella matematica russa e il Premio Nobel istituito dieci anni dopo la sua morte. Il celebre professore svedese Gösta Mittag-Leffler, fondatore della rivista Acta mathematica, l´ammirava molto e le diede un posto prezioso di redattrice che le consentiva di arrivare alla fine del mese con meno fatica (pessima nei lavori domestici, come tutti si aspettavano da una funesta matematica, usava dire: «Se fossi un uomo, anch´io sceglierei una bella mogliettina che li faccia al posto mio»). Quando Alfred Nobel scrisse il testamento in cui istituiva i famosi premi, "dimenticò" la matematica e si sparse la voce che Nobel avesse voluto vendicarsi di Mittag-Leffler, che gli avrebbe conteso, con successo, i favori di una giovane donna. Questa donna non era Sofia e la voce forse è priva di fondamento, ma sottolinea l´incredibile misoginia dell´ambiente scientifico, in cui le donne potevano (possono?) eventualmente essere oggetto di rivalità amorosa ma non serie interlocutrici. Poi ci si può anche vergognare e magari pentire, e infatti esiste una medaglia Fields per la matematica paragonabile al Nobel e da poco è stato istituito un premio Kovalevskaja che fa vincere ventidue milioni di euro. Il gossip scientifico, del resto molto noto, è contenuto tra altre succose notizie da Dagospia accademico, nel brioso, sin dal titolo, Troppo belle per il Nobel, scritto dal fisico Nicolas Witkowski qualche anno fa e adesso pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri: in copertina una bella foto del re di Svezia in frac e pieno di decorazioni che nel 1986 consegna il premio per la medicina e fisiologia alla meravigliosa Rita Levi Montalcini, diviso con il compagno di ricerca Cohen, per la scoperta del fattore di crescita nervoso. Il saggio francese non dedica una sola riga alla nostra impavida senatrice, che l´anno prossimo avrà cent´anni, ma ci ricorda con dovizia di storie il cammino accidentato di quelle poche donne cocciute che in passato furono ignorate, schernite, temute, disprezzate, allontanate, rinchiuse, punite, fatte fuori, per l´intrusione in mondi a loro preclusi. Prima martire diventata simbolo della donna scienziata e di tutti gli orrori con cui si tentò di scoraggiarne la sapienza, fu Ipazia di Alessandria, nata nel 370 dopo Cristo, matematica, astronoma, inventrice dell´astrolabio, del planisfero e dell´idroscopio, gentilmente fatta a pezzi da una squadraccia di furibondi monaci cristiani. Poi l´insondabile labirinto di esclusione continuò imperterrito nei secoli, quando la società maschile più buia affidò agli inquisitori il compito di difenderla dal fiorire di una scienza femminile: bastò bollare come streghe le donne più sapienti per mandarle al rogo in nome della morale e di Dio; non meglio si comportò secoli dopo la cultura più illuminata, appunto la cultura dei Lumi, che incaricò i suoi filosofi e i suoi rivoluzionari di togliergliele di torno, quelle noiose, rinchiudendole nel paradiso domestico in nome della Ragione e della superiorità maschile. Geniale Jules Verne nel suo Il mondo sottosopra (1899): «Dunque secondo voi, signor Maston, vedendo cadere una mela nessuna donna avrebbe mai potuto scoprire le leggi della gravitazione universale come fece l´illustre scienziato inglese alla fine del Diciassettesimo secolo?». «Vedendo cadere una mela, signor Scorbitt, a una donna sarebbe venuta altra idea che di mangiarsela, secondo l´esempio di nostra madre Eva!». Anche i responsabili dei Nobel scientifici si sono mostrati piuttosto distratti o scettici verso i meriti delle signore: da quando sono stati istituiti, nel 1901, ne sono stati assegnati più di cinquecento e solo una esigua manciata, undici, ha onorato le donne. D´altra parte la moltitudine di studiosi che negli ultimi decenni dell´Ottocento sfornavano teorie sulla pericolosa inconsistenza delle donne non dava tregua. Il patologo Möbius aveva fatto del suo L´inferiorità mentale della donna un fortunato bestseller, l´antropologo Karl Vogt affermò che essendo il cranio femminile più piccolo di quello maschile, il suo contenuto doveva essere simile a quello di un bambino o anche di uomini, però di razze inferiori. Secondo il lunatico scrittore americano Nicolas Cooke, la donna doveva evitare ogni inutile attività mentale perché «nell´uomo la materia cerebrale è più densa e consistente, nella donna più soffice e di dimensioni ridotte». In più, con le mestruazioni e le gravidanze, delirava il naturalista darwiniano George Romanes, la donna era sottoposta a continuo «esaurimento del cervello», il che non era poi così importante visto che nelle donne quell´organo non era che un meccanismo inutile e anacronistico, pre-evolutivo. E tuttavia, per quanto di genere altamente difettoso, già nel 1903 la polacca Maria Sklodowska, più conosciuta dopo il matrimonio come Marie Curie, vinceva il Nobel per la fisica col marito Pierre e con Henri Becquerel. Nel 1911 gliene fu assegnato un secondo, per la chimica, mentre anche sua figlia Irène Joliot-Curie assieme al marito Frédéric avrebbe ottenuto il Nobel per la chimica nel 1935. Scoprendo la radioattività, che si credeva debellasse il cancro e già celava il nero futuro della bomba atomica, Marie Curie fu «assieme fata e strega, in laboratorio come nell´alcova», ci informa Witkowski. «Quando si trattò di attribuire il Nobel ai Curie, si fece solo il nome di Pierre», e soltanto per le proteste del marito, innamorato e conscio del genio di Marie, lei non ne fu esclusa. Fu però pregata di stare zitta, e il discorso di accettazione lo fece solo Pierre. Rimasta vedova inconsolabile e depressa, tutta la scienza di Marie fu offuscata da una storia usata contro di lei per infangarla, la relazione con un collega più giovane, sposato e padre, che invase i giornali proprio come capita adesso, trasformando un premio Nobel in «una straniera ladra di mariti». E confermando l´idea diffusa che la scienza non giova alle donne, rendendole oltretutto immorali e pericolose per la famiglia e la società. L´ultima signora Nobel, Cristiane Nüsselein-Volhard, per la medicina e la fisiologia, risale al 1995, ma più di lei forse sono note le scienziate cui il Nobel fu scippato dai colleghi meno galanti e più svelti, e comunque, in quanto maschi, più credibili. Anthony Hewish, direttore del dipartimento di astrofisica di Cambridge, si prese il Nobel nel 1974 per aver scoperto le pulsar, che invece erano state rilevate, studiate e decifrate dall´allieva Jocelyn Bell, naturalmente neppure nominata. Appropriandosi senza il suo consenso del lavoro della giovane cristallografa inglese Rosalind Franklin sulla struttura intima del dna, tre colleghi di Cambridge (dove lei in quanto donna non aveva accesso alla sala ristoro) scoprirono la struttura a doppia elica del dna e nel 1962 ebbero il Nobel. Lise Meitner, detta la Marie Curie tedesca, ebrea, rifugiata a Stoccolma per sfuggire alle persecuzioni razziali, scoprì la fissione nucleare. Il Nobel lo prese però nel 1944 Otto Hahn, suo collaboratore rimasto in Germania. Di queste cenerentole della scienza, bistrattate nella ricerca e accantonate nella carriera e nei riconoscimenti, ce ne sono decine, e forse la più sorprendente è Mileva Mariç, della cui creatività si sarebbe appropriato, dicono, il marito: un uomo venerato dalla scienza, riconosciuto come il più grande genio del secolo scorso, Albert Einstein. Sarebbe stata la piccola serba, grande matematica abile nei calcoli in cui il fisico tedesco invece si perdeva, a collaborare attivamente alla rivoluzionaria teoria della relatività. Fu però un altro studio, l´interpretazione dell´effetto fotoelettrico, a far vincere il Nobel ad Einstein nel 1922; ma di Mileva, fregata nella scienza e nei sentimenti, non si sapeva già più nulla da quando, nel 1914, il celebre marito l´aveva lasciata per sposare poi la cugina Elsa. La rivolta delle scienziate, come del resto di altre donne in altri campi, cominciò negli anni Settanta con i primi studi femministi che mandavano all´aria la vetusta antropologia virilista, seguiti da una valanga di "gender studies" che riscrivevano tutta la storia, compresa quella della matematica, della fisica, della chimica, dell´astronomia, della cosmologia, dell´atomo, togliendo dalla polvere centinaia di donne geniali e creative, sottovalutate ai loro tempi e dimenticate poi. Oggi i laboratori scientifici sono invasi dalle donne, che fanno ancora fatica a fare carriera in un ambiente tuttora misogino, ma sanno difendersi e infastidire attraverso associazioni, network, lobby, gruppi di pressione, convegni, progetti internazionali, borse di studio come quelle istituite da L´Oréal. L´ex presidente dell´Università di Harvard, Larry Summers, per aver sostenuto due anni fa che le donne non avrebbero i geni adatti a scalare le vette della fisica, ha dovuto dimettersi e lo ha sostituito una donna. Al Mit si alternano i presidenti, una volta un uomo una volta una donna. Una donna, Carolyn Porco, guida la missione Cassini, la più importante lanciata nel sistema solare. Gli astrofisici hanno eletto loro presidente Catherine Cesarsky. una donna, Flavia Zucco, a dirigere la ricerca dell´Istituto di neurobiologia e medicina molecolare di Roma. una donna, Elisa Molinari, la coordinatrice dell´Istituto nazionale di fisica della materia. I sessisti hanno scoperto che quando il gioco si fa duro, quando ci si trova nei guai, non c´è niente di meglio, anche nelle scienze, che mandare avanti le donne affinché se la sbrighino da sole. Natalia Aspesi