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 2008  febbraio 03 Domenica calendario

«Se il feto è vivo va rianimato». Corriere della Sera 3 febbraio 2008. Documento degli atenei romani

«Se il feto è vivo va rianimato». Corriere della Sera 3 febbraio 2008. Documento degli atenei romani. La Turco frena: vale il limite delle 22 settimane Il testo firmato dai neonatologi della Sapienza, di Tor Vergata, del Gemelli e del Campus Biomedico ROMA – Pensiamo a un bambino minuscolo che decide di lasciare il grembo della mamma allo scadere della ventiduesima settimana, quindi con circa quattro mesi e mezzo di anticipo rispetto a quando avrebbe dovuto. leggero come una piuma, 500 grammi o giù di lì. Per i medici è un «prematuro di peso estremamente basso». Immaginiamo di chiamarlo Marco. Ebbene, Marcolino potrebbe ricevere cure diverse a seconda di quali fra i tanti documenti proposti nelle ultime settimane in Italia fossero applicati. Lasciato al suo destino, cioè assistito amorevolmente ma senza l’aiuto di macchinari artificiali, se i medici seguissero le indicazioni appena definite da una commissione del ministero della Salute («solo cure compassionevoli sotto la 22 settimana »). Dovrebbe invece essere rianimato e sospinto verso la vita secondo il Comitato nazionale di Bioetica. E ieri alle due raccomandazioni se ne è aggiunta una terza: «Un neonato vitale, in estrema prematurità va trattato come qualsiasi persona in condizioni di rischio ed assistito adeguatamente », a prescindere dalla sua età, anche se i genitori non sono d’accordo. In altre parole, non ci si deve basare sul calcolo dei giorni. Non solo, il consenso della madre non conta, anche se lei desiderasse il contrario Marco dovrebbe essere attaccato ai tubi. implicito che l’obbligo di rianimare vale anche nel caso in cui Marco doveva essere abortito. Firmato neonatologi e ginecologi delle Università romane, laiche e cattoliche, (La Sapienza, Tor Vergata, Gemelli e Campus Biomedico) riuniti in un convegno sulla «Giornata della vita». Il ministro Livia Turco non entra nella discussione: «Il mio riferimento è il parere dei tecnici della commissione. Mi dicono che il limite va fissato alle 22 settimane e per me conta quello e ciò che aggiungeranno gli esperti del Consiglio superiore di Sanità». «Col momento della nascita la legge attribuisce la pienezza del diritto alla vita e quindi all’assistenza sanitaria – scrivono i cattedratici ”. L’attività rianimatoria immediata dà il tempo necessario per una valutazione delle condizioni cliniche, della risposta alla terapia intensiva e delle possibilità di sopravvivenza e permette di discutere il caso con i medici e i genitori». Solo quando ci si rendesse conto dell’inutilità degli sforzi terapeutici «bisogna evitare ad ogni costo che le cure si trasformino in accanimento ». Ogni anno in Italia nascono 1000 neonati con meno di 26 settimane. Prima si lasciava fare alla natura, oggi le tecnologie hanno abbassato la soglia della vitalità (intesa come capacità del feto a respirare e muoversi autonomamente) fino a 22 settimane. Ma il rischio che i super-prematuri riportino deficit cerebrali o di altro tipo importanti resta molto significativo. In Olanda prevale un atteggiamento molto pragmatico. I neonatologi non hanno come obiettivo la sopravvivenza, ma la qualità della vita futura e per questo si astengono dal rianimare sotto le 25-26 settimane, salvo casi eccezionali. Cinzia Caporale, bioeticista liberale, sostiene invece il principio della garanzia: «Se i segni di vitalità non sono chiari dobbiamo dare al bambino una chance. Sono per l’eutanasia dell’adulto consenziente, mai per quella pediatrica anche se a chiederla fosse il genitore. Non ritengo necessario il consenso neppure se il feto sopravvive all’aborto». Domenico Arduini, ginecologo di Tor Vergata: «Il medico deve rianimare comunque se il bambino nasce vitale dopo un’interruzione di gravidanza. Non importa se i genitori si oppongono». Sull’aborto, nuove polemiche sulla pillola Ru486, che arriverà in Italia a maggio. Livia Turco ha ribadito che andrà utilizzata esclusivamente all’interno della legge 194. Quindi solo in ospedale. «Ma non chiamiamolo più aborto chimico – distingue il ginecologo del Sant’Anna di Torino, Silvio Viale ”. una terminologia dispregiativa degli antiabortisti ». Margherita De Bac