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 2008  febbraio 03 Domenica calendario

Antolini Beatrice

• Macerata 27 luglio 1982. Cantante • «I testi delle sue canzoni, solo in inglese, giocano sull’assurdo, l’irreale, il nonsense. Topogò è la storia di un topo omosessuale che conduce una vita dissoluta; Monster Munch è stata ispirata da una marca spagnola di patatine; Coca cola Shirley Cannonball è un ricercato richiamo all’opera di Allan Kaprow, inventore della performance artistica. ”Ma nessuno ha capito il riferimento, e questo la dice lunga sull’ignoranza che ci circonda”. [...] capelli corvini e le labbra rosse. [...] ”Io scrivo in modo isterico” dice Beatrice, ammiccando e abbassando gli occhi. ”Credo di avere più di una personalità [...] Non ho scelto un genere, ma ho deciso di crearmelo [...] Scrivo di tartarughe innamorate e topi malandrini perché parlare degli esseri umani mi fa paura. Queste canzoni hanno sprazzi di gioia, ma anche cadute negli inferi”. Big Saloon, il suo disco d’esordio pubblicato da un illuminato collettivo di artisti e produttori trevigiani di nome Madcap [...] l’ha scritto, cantato, suonato e registrato da sola, chiusa in una cameretta dalle pareti azzurre nella sua casa di Bologna. ”Quando racconto come è nato il disco e di come abbia suonato la batteria e il basso, il pianoforte e le chitarre, e cantato tutte le voci e tutti i cori, percepisco un certo scetticismo. Sono certa che, al contrario, nessuno farebbe fatica a credere che un artista maschio possa fare altrettanto. C’è poca fiducia nelle donne. Ma io vado avanti per la mia strada, e me ne infischio”. Cresciuta a Macerata in una casetta decorata da cornicioni blu elettrico e grappoli d’uva gialla, con i conigli e i pavoni a farle compagnia in giardino, a 3 anni ricevette in dono un organetto e si ritrovò ”a saper leggere la musica prima ancora di essere in grado di parlare”. L’adolescenza la trascorre in una sorta di ricercata solitudine: ”C’eravamo io, il sequencer e la tastiera Xp80 della Roland. Non ero certo la tipica ragazzina che andava in giro a braccetto con la migliore amica”. Una tendenza a cercare l’isolamento che ancora oggi l’accompagna, tanto da farle ammettere: ”Credo di avere un rapporto isterico e non proprio sano con la composizione. Mentre lavoravo al disco, per esempio, credo di non essere uscita dalla mia stanza per giorni interi. Non mangiavo, non bevevo, non andavo al bagno. Fumavo e basta. Le mie coinquiline ogni tanto bussavano per accertarsi che fossi viva”. Alla fine Beatrice sopravvive e Big Saloon vede la luce. Il suo nome comincia a girare nel mondo della cosiddetta musica indipendente e l’album viene recensito a quattro stelle dalle riviste e dai siti musicali più attenti: Jam, Rumore, Rockit, Il Mucchio, Rockerilla. Ed è forse proprio Elio Bussolino di Rockerilla a dedicarle la recensione più azzeccata: ”Beatrice Antolini è una rivelazione. Un microcosmo di canzoni ostinatamente anarchiche e inevitabilmente curiose. Come una scombiccherata sinfonia pop orchestrata da un rappresentante di strumenti giocattolo e un rigattiere specializzato in reperti di modernariato sonoro d’accatto. Una drag queen, allora? Macché, una sirenetta in gilet e speroni”. L’eco arriva anche a Francesco Bianconi dei Baustelle, che la contatta tramite Myspace e la invita a suonare il pianoforte in uno dei brani del nuovo disco della band di Montepulciano, Amen. E lo stesso fa Bugo, che ha attinto al suo talento per le parti di piano di Sesto senso [...] ”Quando sente di non avere idee, l’artista soffre, si sente in colpa. Si crede che fare musica sia un divertimento, invece è un percorso di rinunce, di ricerca di sé. Un musicista non è mai in vacanza” dice fissando negli occhi l’interlocutore, impegnata a far passare uno dei concetti che sembrano starle più a cuore. Diplomata all’accademia delle Belle arti di Bologna, giunta quasi al termine del suo percorso presso il conservatorio Frescobaldi di Ferrara, Beatrice Antolini è anche attrice e pittrice, oltre che un’agguerrita sperimentatrice di suoni. ”A corto di strumenti suono qualsiasi cosa: tavolini dell’Ottocento, pedane, posacenere di cristallo, che stanno molto bene nei lenti, e ultimamente persino l’acqua”. Lei è fatta così. Immersione totale in se stessa e giudizi al vetriolo su (quasi) tutto. Anche dei suoi coetanei non sembra avere un’altissima opinione: ”Per chi scrivo la mia musica? Per i sessantenni. Sono più recettivi, più puliti, e non hanno l’esigenza continua di fare paragoni”. Le piace provocare, essere spiazzante. Anche il suo sogno da cantautrice non è proprio quello che ti aspetti: ”Vorrei scrivere canzoni pop per Madonna”. E male che vada? ”Beh, male che vada, mi accontenterei di Britney Spears”» (Raffaele Panizza, ”Panorama” 7/2/2008).