Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ci sono i 20 grandi riuniti a Washington, che però non possono ancora decidere niente (manca Obama) e si limitano a emettere comunicati pieni di intenzioni buone e vaghe. Occupiamoci perciò di Claudio Baglioni.
• Che idea. E per dire che cosa?
Che l’altro giorno, da Milano, è cominciato il suo tour. No, è inutile che si metta a cercare i biglietti: è tutto esaurito. Ho visto che qualcuno su Internet offre posti a 80-100 euro. Mah. quasi tutto esaurito anche a Roma. E il bello è che il clou del concerto è Questo piccolo grande amore, roba di 34 anni fa.
• Come si spiega?
Beh, intanto si tratta della canzone più popolare del secolo (almeno secondo un sondaggio dell’85) e dunque a investirci di nuovo non si sbaglia poi troppo. Il nostro cantante ha poi fatto le cose in grande. Quello in scena all’Allianz di Milano non è semplicemente un concerto, ma il primo pezzo di un progetto in quattro parti che prevede: concerto (adesso), film (11 febbraio) romanzo (a marzo), doppio cd (a Pasqua). Un’operazione, se mi permette, colossale. E che sarebbe difficile non definire anche culturale.
• In che senso?
Lo so, non esitiamo a definire evento culturale l’uscita di un romanzo di Eco o l’arrivo in sala di un film di Monicelli. Mentre un’operazione costruita intorno a una canzone popolarissima ci sembra qualcos’altro. Eppure non sono solo canzonette. Baglioni tirò fuori la maglietta fina tre anni dopo l’autunno caldo e la strage di Piazza Fontana. Il Paese era attraversato da paurosi brividi sociali, proprio quell’anno le Brigate rosse avevano messo a segno la loro prima impresa, il sequestro-lampo di Idalgo Macchiarini, i cantautori erano tutti ultra-impegnati e questo qui che cosa ti combina? Un melò d’amore, musicalmente facile facile, che vendette subito centinaia di migliaia di copie (fino ad oggi sono 18 milioni). Lei può leggere tutta la storia sul mio blog, dove pubblico la voce Baglioni tratta dal Catalogo dei viventi. Che cosa significava un successo di quella portata in un contesto del genere? Che la pancia del Paese, la parte profonda dell’Italia, somigliava molto poco a quella che si vedeva sulla scena della politica. La frazione di giovani che occupava, contestava, sfilava in corteo e qualche volta entrava in clandestinità era quantitativamente trascurabile. I giornali scrivevano “gli studenti” o “i giovani”, ma i giovani o le masse studentesche – come avrebbero detto Togliatti e Berlinguer – stavano da un’altra parte. Guardi che è questo corpo solido, anonimo, che s’entusiasma alle canzoni d’amore quello che alla fine ci ha salvato dal baratro del terrorismo, dell’inflazione a due cifre e delle astrattezze di Pci e Dc. A proposito, il Pci e la Dc sono scomparsi, Baglioni è sempre lì. Significa qualcosa?
• Ma se i biglietti non si trovano più, ci sarà pure nostalgia del passato e passione per i bei sentimenti.
Certo. Moccia non vende un mucchio di copie? In scena, Baglioni si presenta in frac senza papillon e ricanta i brani del disco del 72. Però realizza – attraverso la sequenza di canzoni – quello che allora gli fu impedito, e cioè un concept, il racconto di una storia: Giulia e Andrea che si amano, si illudono e poi si lasciano.
• Perché gli fu impedito?
Baglioni voleva collegare la fine di quell’amore alla disillusione del Sessantotto, già evidente secondo lui nel 1972. Il direttore artistico della Rca Ennio Melis gli tagliò i brani In viaggio e Quanta strada da fare dicendo: «Di cantautori impegnati ce ne sono già troppi». Così si perse il senso della storia che adesso però, con l’acronimo QPGA (titolo dello spettacolo), dà l’avvio al progetto in quattro parti. Il romanzo l’ha scritto lo stesso Baglioni, il film, sceneggiato da Ivan Cotroneo, sarà diretto da Riccardo Donna. Scommettiamo che il cd venderà qualche milione di copie? [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 16/11/2008]
(leggi)