Stefano Agnoli, Corriere della Sera, 16/11/2008, 16 novembre 2008
Nel sottosuolo italiano ci sono petrolio e gas per 230 miliardi di dollari. Claudio Descalzi, neodirettore generale Exploration and Production dell’Eni
Nel sottosuolo italiano ci sono petrolio e gas per 230 miliardi di dollari. Claudio Descalzi, neodirettore generale Exploration and Production dell’Eni. Se quelle sono le cifre c’è da meravigliarsi che di questi tempi lo Stato, legittimo proprietario di quei beni, non vi abbia già messo gli occhi sopra. Come mai? «Abbiamo, come Italia, notevoli riserve che potrebbero essere messe in produzione dopo il 2012. Per svilupparle lo Stato dovrebbe lanciare un progetto ad hoc. Sarebbe un’operazione con grandi investimenti ma anche con grandi risultati». Proviamo a fare qualche cifra? «L’Italia è il quarto Paese dell’Ue per riserve accertate dopo i Paesi del mare del Nord. Dispone di 130 miliardi di metri cubi di gas provati e altri 120-200 miliardi potenziali, valutabili tra 75 e 100 miliardi di euro». Poi c’è il petrolio... «Certo. Anche qui abbiamo riserve provate di 840 milioni di barili e potenziali tra i 400 milioni e un miliardo. Altri 90-130 miliardi di euro. Se poi ci mettiamo l’alto Adriatico, dove dal 2002 tutto è fermo, ci sarebbero più di 34 miliardi di metri cubi di gas, altri 10-12 miliardi di euro. Vogliamo un termine di paragone? Nel 2007 l’Italia ha consumato circa 1,7 milioni di barili al giorno di petrolio e in tutto l’anno 83 miliardi di metri cubi di gas. Ma non finisce qui, perché si metterebbe in movimento anche tutto l’indotto, e lo Stato incasserebbe il 7% di royalties e il 40% di tasse». Sembrerebbe tutto facile... «Nel paragone internazionale, dove un progetto parte in 3-4 anni, l’Italia non brilla certo per rapidità d’esecuzione». In sintesi quali aree sarebbero interessate? «Sicilia, Emilia-Romagna, Puglia, in parte Calabria e Abruzzo, e poi Basilicata, Piemonte, Lombardia e Molise [...] Quanto a quello che chiama rischio ambientale, in Italia ci sono 770 pozzi in produzione ma non c’è stato nessun incidente serio negli ultimi 15 anni. Un barile "italiano" ha una finestra di costi globali, considerando anche le tasse, di circa 20-30 dollari, ma per un Paese che dipende dall’estero per l’85%, l’uso di risorse nazionali diventa strategico». Stefano Agnoli